Morfologie impreviste

La medicina di genere è una dimensione che si può definire nuova in quanto nata negli anni ‘90. Fino a quel momento la scienza aveva avuto un’impostazione androcentrica, relegando gli interessi per la salute femminile ai soli aspetti specifici legati alla riproduzione. Non si era mai posta il problema di una possibile risposta differenziale ai farmaci di uomo e donna, così come di una complessiva differenza tra i generi nella suscettibilità alle malattie e nella reazione ai fattori di rischio. In Italia il cambiamento ufficiale è intervenuto con il decreto Lorenzin: solo sei anni fa per la legge, cinque per i decreti attuativi.
Nella disattenzione istituzionale le donne hanno elaborato sui corpi un sapere nuovo e complesso, capace di disarticolare metodi e contenuti, di abbattere steccati, di mettere in luce la complessità della dimensione di genere nelle vicende umane. La maggior rottura operata dal femminismo come teoria e pratica si è fondata non tanto sull’estensione dei diritti, quanto sulla riappropriazione politica e simbolica del corpo e dei suoi significati, che sta a monte di quelli.
Il femminismo senza il situarsi nel corpo sessuato non può essere nemmeno immaginato. Affermando che il corpo è la prima pagina su cui una cultura imprime i propri segni ha violato le fonti antiche, la tradizione platonica e stoica fortemente duale, assunta dal patriarcato cristiano, di una prevalenza dello spirito asessuato sul corpo e sulla carne, realtà bassa e vile, zavorra mortale. L’intelletto della donna non può attingere al noumeno, appesantita e intorbidita com’è dalla carne, inchiodata alle necessità fisiologiche sue e altrui, alle condizioni materiali del vivere.
L’uomo è da allora mens, trascendente; la donna sensus, immanente. Mulier non est facta ad imaginem dei, scriveva Agostino. Errore di natura, nella Summa teologica di Tommaso d’Aquino. Tempio costruito su una cloaca, per Tertulliano.
La stessa fisiologia femminile, con il suo immondo carico di mestruazioni e di doglie, fu ritenuta conseguenza del peccato d’origine. Dalla curiosità malsana della donna avrebbe avuto inizio il male sulla terra (Pandora antenata di Eva!). Per Boccaccio la vagina è voragine infernale.
Il corpo delle donne è colpevolizzato dal mondo ecclesiastico per il richiamo sessuale che esercita sugli uomini: le donne accusate di stregoneria saranno rasate nelle parti intime, dove si ritiene che si annidino le armi e gli strumenti con cui compiono i loro malefici.

Tutte le definizioni funzionavano per negazione, dove la differenza si trasformava in disvalore.
Rileggere la tradizione filosofica non significa soltanto consultare il repertorio degli scritti dei filosofi: significa ricostruire la struttura del nostro pensiero.
Il modello per cui gli organi riproduttivi — monchi, incompleti e ripiegati all’interno, per le donne; completi e sviluppati liberamente, per gli uomini — erano considerati riflesso di una gerarchia che impregnava l’intero cosmo, si sarebbe mantenuto valido fino alla seconda metà del ‘700: l’ovaia e la vagina non ebbero termini specifici che le definissero, in quanto ritenute difetto di fabbrica, mera versione mal sviluppata dei testicoli e del pene.

È dovuta arrivare l’elaborazione femminista per regalare alle donne conoscenze su se stesse e autonomia nelle scelte riproduttive, per sondare le dinamiche del biopotere, per ricostruire la serie di privilegi che quella concezione gerarchica del mondo offriva al sesso maschile. Le reazioni del patriarcato sono state immediate e violente.
Perché stupirsi, dunque, delle discriminazioni che ancora subiamo nella ricerca sperimentale e farmacologica? Abbiamo dimenticato la storia?
La mancanza a lungo praticata perfino delle conoscenze anatomiche sull’apparato di riproduzione sessuale femminile è un fenomeno storico stupefacente, durato da Avicenna e Galeno in poi, immutato per secoli e secoli.
L’assunto dell’inferiorità femminile è stato talmente pervasivo da strutturare la percezione ad un punto tale che fu persino difficile indirizzare lo sguardo e gli strumenti. Gli intellettuali vi si appellavano come se fosse “scientificamente” constatato e dunque trascurabile, allo scopo di legittimare il potere dell’uno e la subordinazione dell’altra.
Il loro ispiratore era il più autorevole, l’indiscusso:

«L’uno si mostra superiore, l’altra inferiore, l’uno quindi è fatto per comandare, l’altra per obbedire, perché la femmina è come un maschio menomato e le mestruazioni sono seme, ma non puro. Di una cosa dunque mancano: del principio dell’anima».
Aristotele, Politica

La scoperta del clitoride risale alla metà del ‘500 e si deve a un italiano, il professore di anatomia Realdo Colombo, che notò questa “misteriosa” protuberanza visitando una paziente. Dopo aver approfondito la questione esaminando altre decine di donne, annunciò la scoperta di una parte anatomica che, se stimolata, produceva piacevoli spasmi nervosi. Fu arrestato e messo sotto processo per eresia e stregoneria. Rivoluzionario pensare che si potesse interrompere la logica del comando e dell’obbedienza, prevedere un godimento complementare ai due sessi che non implicasse uno scopo.
Dall’illuminismo in poi la nuova scienza si occupò del sesso, contribuendo a sottrarre alla filosofia e alla religione il controllo dei corpi, ma partiva anch’essa dal presupposto che il solo modello “giusto” fosse quello maschile. Un linguaggio che distinguesse non esisteva, non occorreva che esistesse, non importava che esistesse.
Il residuo di queste idee è sopravvissuto nella medicina fino al XIX secolo, quando lo sperma era ancora considerato superiore al sangue e il ruolo del maschio nella procreazione superiore a quello della femmina, che si riteneva fornisse semplicemente l’utero. Altro non si cercava.

Analogo silenzio riguardò il ciclo mestruale, tabù arcaico per eccellenza, immondezza nella Bibbia, ritenuto da Ippocrate evacuazione di umori cattivi e definito immondo flusso da Columella; soprannominato nel Medioevo la maledizione. Una contrapposizione potente tra puro e impuro, se nel terzo millennio la naturalità dei corpi femminili è ancora relegata nel limbo dell’indicibile o del funambolismo verbale che evoca ma non nomina («ho le mie cose», «è arrivato il marchese»).
D’altronde le nostre nonne, per indicare la zona proibita da non nominare, dicevano «là sotto».
La giustificazione biologica dell’inferiorità della donna = contenitore cominciò ad andare in crisi nel 1827, quando la scoperta dell’ovulo dimostrò scientificamente la parità tra i sessi nel perpetuare la specie. Poiché tuttavia le immagini mentali perdurano anche quando hanno perso ogni giustificazione razionale, non dobbiamo stupirci se Freud un secolo dopo ancora sosteneva che principale caratteristica della femminilità è la passività, basandosi sulla staticità dell’ovulo rispetto alla mobilità degli spermatozoi e presentando ogni atteggiamento femminile come risultato di sforzi per compensare un difetto.
La stessa conoscenza della sessualità è relativamente recente: le prime osservazioni scientifiche del comportamento sessuale umano furono effettuate soltanto nel secondo dopoguerra. Soltanto negli anni ‘70 uscirono i volumi di Foucault sulla sua storia.

‘Sessualità’ è parola e nozione del secolo XIX, apparsa allora per la prima volta nei romanzi e nei testi di una medicina che da poco aveva imparato a decifrare le diverse funzioni biologiche dei due sessi. Freud — disorientato dal femminile — dichiarava però (basandosi sulla mobilità degli spermatozoi e sulla stabilità dell’ovulo) che la sola libido è fallica. Il fallo è il pieno, l’attività, il tutto; la vagina è il vuoto, la passività, il niente.
La nascita della scientia sexualis non mutò dunque l’ordine gerarchico: concorse anzi da un lato a generare una sfera pubblica esclusivamente maschile, d’altro lato a irrigidire le categorie del normale e del patologico. La negazione dell’orgasmo femminile, la condanna dell’erotismo non finalizzato alla riproduzione, la colpevolizzazione della masturbazione non passarono più solo attraverso il peccato ma anche attraverso motivazioni di ordine medico.
L’orgasmo femminile fu termine, concetto e soprattutto esperienza sconosciuta. Il sesso, uno spiacevole inconveniente del matrimonio. Non lo fo per piacer mio, ma per dar dei figli a Dio. La madre perfetta elude il piacere, è svincolata dalla sessualità. Un solo soggetto è legittimato al desiderio; l’amore coniugale per le donne non è che devota affezione. L’orgasmo per loro deve essere termine, concetto e soprattutto esperienza sconosciuta. Il matrimonio è male minore, remedium concupiscentiae che però ha bisogno di regole e restrizioni severissime.

Nacque la peregrina convinzione che una frigida sia in grado di trattenere il seme maschile molto meglio di una voluttuosa. Lombroso (un medico!) nel 1909 chiarì la presunta impossibilità della donna di avere “voglie” affermando:
«Già nello studio dei sensi vedevamo come in tutte le forme di sensibilità la donna si mostri inferiore al maschio, e questo più specialmente nella sensibilità sessuale, e perciò nell’intensità d’amore (..). L’amore femminile è una funzione subordinata alla maternità. Quelle che più propriamente manifestano una esagerata e continuata libidine sono insieme criminali-nate e prostitute-nate, in cui la lascivia si mescola alla ferocia. Questo erotismo, che le differenzia dalle donne normali in cui è così debole e tardivo, le ravvicina al maschio, differendone solo per la maggiore e a volte stranissima precocità».
Sulla stessa lunghezza d’onda lavorava De Krafft-Ebing, docente di psichiatria all’università di Graz. Anche per lui vale il principio che mentre l’uomo sente più vivace il bisogno dell’amplesso, una donna d’intelligenza normale e di buona educazione è soggetta a un desiderio sessuale languido.
Il binomio lussuria femminile – follia (ovvero disordine sociale) era d’altronde già presente nei miti: le figure tragiche e potenti di Medea e di Fedra già avevano messo sull’avviso. L’assassina, la gelosa, la seduttrice, la fedifraga … nessuna letteratura come quella greca ha presentato un panorama così ampio e grandioso di figure perturbanti.

Etichettare e patologizzare è stato un modo per tenerci a bada, per non renderci autonome.
La donna è fisiologicamente fragile e irrazionale, diventa facilmente isterica: è questo il verdetto finale dell’indagine della scienza positiva, legittimata da pretese di imparzialità e di obiettività.
Intanto nell’immaginario poetico i desideri assumevano la veste di amore romantico fusionale, che in pratica manteneva solide le basi dell’antica struttura patriarcale dirottando altrove la progressiva affermazione di rivendicazioni femminili. Lo spirito di indipendenza e di iniziativa della donna venne percepito come tendenza alla mascolinità e fu tanto temuto quanto la simmetrica femminilizzazione dell’uomo: quella che da secoli ossessionava le paure.
Trattandosi di riproduzione della specie, i precetti che riguardano la sessualità sono numerosissimi e dettano prescrizioni su ogni aspetto: dalla masturbazione ai contraccettivi, dal sesso prematrimoniale alle relazioni omosessuali. Hanno creato dannosi sensi di colpa, inutili frustrazioni, cupe ossessioni diffondendo morbosi, imbarazzanti silenzi.
Solo verso la fine degli anni ‘40 i rapporti Kinsey svelarono al mondo che anche le donne possono (e vorrebbero) provare piacere.
L’associazione tra sistema riproduttivo femminile e disturbi mentali fu particolarmente forte nel secolo dell’eroina romantica dallo svenimento facile (la nevrosi isterica è scomparsa dal Dsm — Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders — solo nel 1980). Debole, passiva, fragile, esangue, serviva per contrasto a enfatizzare le volitive, positive qualità virili.
Sull’evidente inferiorità della donna disserta Auguste Comte nel Corso di filosofia positiva (1839-42). L’aveva già sostenuta il liberale Tocqueville, compiaciuto nel notare come nella democrazia americana ci si guardasse bene dall’impegnare le donne in affari che esulassero da quell’ambito famigliare in cui loro sono sì regine, ma sottoposte all’uomo che ne è il “capo naturale”.
Il tutto si era da sempre trasferito all’organizzazione intera della società. Infirmitas, imbecillitas, fragilitas sexus, figure partite dalla tradizione del diritto romano ed elevate a principio dalla scienza penalistica, sono le identità negative che impediscono alle donne di essere soggetti pieni. Si tratta di categorie duttili, capaci di attuare forme di coercizione accanto a forme di tutela che comunque sanciscono minorità ed espropriazione: che proteggendo reprimono.

Jean Jacques Rousseau, Sofia, o la donna:
«
Nell’unione dei sessi ciascuno concorre egualmente allo scopo comune, ma non alla stessa maniera. Da ciò deriva la prima diversità determinabile nell’ambito dei rapporti morali dell’uno e dell’altro. L’uno dev’essere attivo e forte, l’altro passivo e debole; è necessario che l’uno voglia e possa, è sufficiente che l’altro offra poca resistenza».
Troviamo traccia di tutto questo in qualunque sondaggio sugli atteggiamenti nei confronti della violenza di genere.
Per cercare le matrici del presente bisogna partire da lontano: da quando la donna tramite la sessualità è stata definita da sacerdoti, filosofi, medici, educatori e poi da psicologi, psichiatri, demografi, sociologi.
Fingiamo di aver sepolto quella lunga storia, ma — nonostante l’evidente secolarizzazione e il relativismo etico delle nostre società — vi siamo ancora almeno in parte immersi.
È incredibile constatare come in tempi in cui i media utilizzano una sessualità esibita ed eccitata — decontestualizzandola spesso da qualsiasi contesto relazionale ed emotivo — gli adulti spesso perseguano la stessa strategia del silenzio che ha connotato le relazioni tra genitori e figli nelle decadi passate. Sono passati i secoli ma i silenzi, le reticenze e gli imbarazzi rimangono: “certi” argomenti i genitori o gli insegnanti li affrontano malvolentieri. Ne hanno paura, li ritengono temi scottanti e difficili: con questo suggeriscono implicitamente che siano cose sporche e malsane. L’educazione sessuale nelle scuole italiane era e rimane un tabù: in Parlamento è definita scabrosa, scomoda, spinosa, delicata, sconveniente, imbarazzante, controversa. La Chiesa fa muro, la politica si adegua (decenni di proposte — la prima nel 1902 in occasione di un’epidemia di sifilide — e nemmeno una legge).

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Articolo di Graziella Priulla

Graziella Priulla, già docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Scienze Politiche di Catania, lavora alla formazione docenti, nello sforzo di introdurre l’identità di genere nelle istituzioni formative. Ha pubblicato numerosi volumi tra cui: C’è differenza. Identità di genere e linguaggi, Parole tossiche, cronache di ordinario sessismo, Viaggio nel paese degli stereotipi.

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