Consigliera di parità in azione

È il tema del Benessere organizzativo, affrontato con sguardo di genere e attenzione al lavoro femminile, l’argomento che caratterizza il mese di ottobre del ciclo Cambiamo discorso-Contributi per il contrasto agli stereotipi di genere, organizzato da Reti Culturali, nel webinar che si terrà giovedì 16 ottobre alle ore 17.00. L’esperta che si focalizzerà su precariato, tempi di vita e tempi di lavoro, trattamenti pensionistici e altri aspetti della cultura di genere nelle organizzazioni è la Consigliera di Parità della Provincia di Ancona Bianca Maria Orciani, che abbiamo già avuto modo di conoscere in una intervista precedente, in occasione di un suo intervento sulla violenza economica e le discriminazioni sul lavoro. In quell’intervista del 2023 ci parlava del suo cammino culturale e professionale, illustrando anche il ruolo di Consigliera di parità; ora le rivolgiamo alcune domande sul punto della situazione in questi ultimi anni, in attesa di ascoltarla giovedì prossimo sulle tematiche specifiche che tratterà. Questo il link per entrare nel webinar: https://meet.google.com/ooe-chpu-rzu . Chi non potesse partecipare alla diretta dell’incontro, potrà rivederlo (come tutti i precedenti) sulla pagina fb di Reti culturali.

Ben ritrovata sulla nostra rivista. La prima domanda riguarda proprio questo periodo trascorso dal nostro dialogo di due anni fa: dal tuo osservatorio privilegiato di CdP, hai notato un cambiamento nella qualità e nei numeri dell’occupazione femminile? Di che tipo?
Se guardiamo ai dati pubblicati agli inizi del 2025 dall’Osservatorio regionale del mercato del lavoro, in uno speciale dedicato al lavoro femminile, i principali indicatori ci parlano di un miglioramento di lungo periodo della condizione lavorativa delle donne marchigiane. A distanza di quattro anni dalla pandemia, l’occupazione femminile è cresciuta in misura superiore a quella maschile sia a livello regionale sia nell’intero Paese. Durante lo stesso intervallo temporale, è diminuito il numero delle donne disoccupate e si è ridotta considerevolmente anche l’area dell’inattività. Tuttavia, nello stesso documento si segnala come, malgrado i segnali positivi, il permanere di un tasso di disoccupazione femminile relativamente elevato sia un segnale della difficoltà del sistema economico regionale di assorbire una quota più ampia dell’offerta di lavoro, soprattutto quella femminile. Inoltre, dal punto di vista qualitativo, persistono quei nodi strutturali che si traducono in divari di genere tutt’ora presenti, come la minore partecipazione, la maggiore disoccupazione, il divario retributivo e la scarsa rappresentanza nelle posizioni manageriali, a cui si aggiunge il difficile equilibrio tra vita professionale e familiare, accentuato dalla concentrazione delle donne sui carichi di cura e assistenza. La precarietà lavorativa continua a essere la cifra identificativa dell’occupazione femminile in termini di maggiore incidenza di contratti a termine (es. lavoro intermittente, lavoro a tempo determinato, etc.), cosa questa che si traduce in salari più bassi, minori opportunità di carriera e un accesso più difficile alla pensione. La crescita delle assunzioni femminili nelle professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione, pur se sostenuta, è inferiore a quella maschile. Rimane elevato il numero delle donne che sono costrette ad accettare un orario part-time rispetto alla componente maschile, dato che va letto congiuntamente con l’evoluzione dell’occupazione lungo il ciclo di vita delle lavoratrici. Nel periodo che va tra 2018 e 2023, l’occupazione è cresciuta in tutte le classi di età a eccezione di quella 25-34 che risulta in lieve flessione. Non a caso si tratta di quella fascia di età in cui le donne si trovano a decidere fra lavoro e maternità. Se a ciò si aggiunge un andamento demografico caratterizzato da una decrescita più accentuata sia nei confronti della popolazione femminile del Paese, sia nei confronti della popolazione maschile della regione, lo scenario che stiamo vivendo è quello di un “inverno demografico” su cui pesano incertezza economica, precarietà lavorativa, difficoltà nell’accesso ai servizi e una generale sfiducia nel futuro.

Spesso quando si parla di “politiche di conciliazione” per agevolare l’ingresso nel mondo del lavoro, ci si riferisce ad azioni positive riguardanti le donne, come se fosse un favore a loro riservato… mentre l’equilibrio fra vita familiare e tempi di lavoro dovrebbe essere un tema che riguarda anche gli uomini… che ne pensi?
Si evidenzia da tempo il rischio di un effetto involontariamente perverso delle politiche di conciliazione. Lo spirito indubbiamente innovativo della legge n. 53 del 2000, nota come Legge sui Congedi parentali, è stato addomesticato sotto il peso di misure che nel rivolgersi esclusivamente alle donne hanno veicolato il messaggio che il lavoro di cura è una prerogativa “tutta femminile”. In molti casi, le azioni positive hanno tradito lo scopo per cui sono nate. Da questo punto di vista, occorre dare nuove risposte al dilemma della differenza di genere e della (re)distribuzione dei ruoli nella sfera produttiva e riproduttiva. Ripensare alla conciliazione in termini di “conciliazione condivisa”, come molti propongono, richiede di passare da un approccio individualistico a una soluzione collettiva basata sulla condivisione equa dei carichi di cura e di lavoro, coinvolgendo sia uomini che donne, come pure le istituzioni pubbliche. Al contrario, manca a livello nazionale un approccio sistemico di genere nelle politiche e nei diritti del lavoro. Nel rapporto annuale sull’occupazione femminile in Italia, Gender policy report 2024 (Inapp, 2024) si parla di “transizione infinita” per segnalare un percorso lento e ancora lontano dal traguardo della parità di genere, obiettivo oggi più che mai cruciale per trasformare le attuali sfide (in particolare quella demografica) in opportunità di sviluppo economico e sociale. Sappiamo tutto sui divari in Italia ma tardiamo ad affrontarli.

Detto questo, ovviamente va ribadito che “parità di genere” non significa “uguaglianza acritica”, ma rispetto delle differenze per conseguire uguali diritti… mi riferisco alle tutele rispetto alla maternità e a tutto ciò che ne consegue. Ci sono stati dei progressi in questo? Sto pensando alle “dimissioni in bianco”…
A questo proposito è stato detto che è sul terreno delle concezioni dell’eguaglianza e delle connesse pratiche politiche, sociali, culturali ed economiche che si gioca una partita fondamentale. Se guardiamo al dato normativo, l’Italia vanta una legislazione di tutto rispetto a tutela della maternità e della paternità, anche in una prospettiva comparata. Questo però non impedisce che le donne siano discriminate se decidono di avere un figlio, molestate sui luoghi di lavoro, mal retribuite. La normativa sulle dimissioni in bianco (le dimissioni di una lavoratrice madre sono efficaci solo se convalidate dall’Inl) rappresenta un esempio di come una legge pensata per tutelare le madri lavoratrici sia, di fatto, aggirata dalle pratiche sociali, culturali ed economiche. I dati annuali dell’Ispettorato del Lavoro restituiscono una realtà in cui le dimissioni femminili non sono quasi mai una scelta libera, ma il frutto di un sistema che ancora non sostiene davvero la genitorialità. Le donne lasciano “liberamente” il lavoro perché mancano gli asili nido oppure costano troppo, perché gli orari di lavoro sono incompatibili con le esigenze di cura, perché in famiglia guadagnano di meno e possono “sacrificare” lo stipendio e il posto di lavoro nell’interesse familiare. E lo stesso dicasi per quelle dimissioni legate alla necessità di sottrarsi alle violenze o molestie, un fenomeno tutt’oggi considerevole. L’80% delle vittime è costituito da donne, soprattutto giovani, con contratti precari, impiegate in settori a prevalenza maschile e con livelli di istruzione più elevati. Si tratta di “vere e proprie trappole” che impediscono all’occupazione femminile di allinearsi alla media europea. Oltre alla trappola legata alla forte incidenza della disoccupazione di lunga durata, vi è il nodo dell’inattività. La terza trappola riguarda la scarsa conciliazione tra vita privata e lavoro. Un altro aspetto delicato è quello della vulnerabilità. Ancora un volta, la maggiore vulnerabilità riguarda le lavoratrici madri, le donne straniere, le donne che offrono servizi alle famiglie.

Ci vuoi raccontare dei casi di vertenze sul lavoro, che hai affrontato come CdP e che sono stati dei successi, tali da diventare dei modelli di comportamento virtuoso da far conoscere e seguire?
Quando una vertenza/conflitto arriva sul mio tavolo, il rapporto fra la lavoratrice e la controparte è, il più delle volte, compromesso. Dare una risposta in questi casi richiede tempo e fatica. Finora sono sempre riuscita grazie al coraggio e alla tenacia delle donne che si sono rivolte alla Consigliera di Parità per rivendicare i propri diritti. Ecco, se proprio devo parlare di modelli di comportamento virtuoso, il mio pensiero va a loro. In più di un’occasione mi sono sentire dire di andare avanti non solo per tutelare i loro interessi, per sé stesse, ma anche per evitare ad altre donne di vivere le stesse situazioni. Se non è un esempio di impegno civile e etico questo, non saprei dire cosa altro lo è.

Grazie a Bianca Maria Orciani per questi aggiornamenti e arrivederci a giovedì 16 ottobre prossimo.

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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, già docente di filosofia/scienze umane e consigliera di parità provinciale, tiene corsi di formazione, in particolare sui temi delle politiche di genere. Giornalista pubblicista, è vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile e caporedattrice della rivista online Vitamine vaganti.

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