Luce Balla e le arti applicate

Lucia Balla, primogenita dell’artista Giacomo e di sua moglie Elisa Marcucci, dopo l’adesione paterna al Futurismo viene ribattezzata Luce, nome con cui attraversa tutto il Novecento. 

Luce Balla, Autoritratto, 1929, Collezione privata (da Francesca Lombardi, Passeggiate romane. Le artiste e la città)

Nata nel 1904 a Roma, dove morirà nel 1994, Luce (Lucetta in famiglia) è una bambina sensibile e silenziosa cresciuta nel pieno del grande turbine futurista. In mezzo all’occhio del ciclone la forza degli elementi è contenuta e l’atmosfera più calma: immagino così lo sviluppo della vita di Luce e di sua sorella minore Elica, nata dieci anni più tardi. Se all’esterno delle mura domestiche il Futurismo agita il mondo col suo rinnovamento totale, all’interno domina invece una tranquilla atmosfera di intimità familiare molto somigliante all’isolamento. Luce non frequenta la scuola come le altre bambine (e sarà così anche per Elica), è seguita in casa dai genitori e da insegnanti privati, vive un’infanzia e un’adolescenza senza aule, lezioni collettive e compagne di scuola; quando diventa grande le frequentazioni sono quelle del celebre padre, le amicizie lo stesso, non c’è traccia di giovanotti nella sua esistenza e, come la sorella, rimane a vivere nel “nido” familiare senza crearsi una propria dimensione domestica. Confida ad Adele Cambria, in un’intervista del 1985: «Forse stavamo tutti sulle nuvole. Tutta la famiglia Balla, così. Non ci siamo sposate, chi sa perché? Io dico per distrazione»; ammette inoltre di aver trascorso la maggior parte del tempo nella sua stanza a ricamare e cucire perché «il futurismo non riguardava mica la vita privata! Noi signorine continuavamo la nostra vita normale di ragazze di famiglia». Elica invece, nelle pagine del suo libro Con Balla, scrive: «Con nostro padre c’era sempre qualcosa da osservare e imparare, con lui non si sentiva quel desiderio di diversione dall’ambiente familiare, così frequente nei giovani». Certo, una dimensione artistica particolare e irripetibile quella di casa Balla, ma anche opprimente nella sua unicità.
Già a metà degli anni Dieci Luce, quasi adolescente, comincia a dedicarsi al ricamo e al cucito per realizzare quanto il padre crea con disegni e progetti: ha pazienza, possiede precisione esecutiva e la sua mano conduce con maestria ago e fili. 

Luce Balla, Futurcipressi, anni Settanta, Applicazioni e ricamo su stoffa su disegno e progetto di Giacomo Balla del 1925

Le ricerche futuriste di Giacomo Balla provocano l’allontanamento di molti committenti e collezionisti, più legati all’arte figurativa tradizionale, e il bilancio familiare diventa traballante. Realizzare oggetti di arte applicata, di abbigliamento e di arredo, arazzi e giocattoli diviene quindiuna necessità concreta per raddrizzare i conti domestici. Ricorda sempre Elica che l’inventivo padre «preferiva fare queste cose piuttosto che dipingere alla maniera passatista» e Luce confessa ancora ad Adele Cambria che Balla si dedicava alla pittura e alle ricerche del Futurismo di giorno, mentre «la sera faceva paralumi, paraventi, cornici, mobili. Tutto futurista, ma la gente queste cose le accettava di più. Ed io lo aiutavo ricamando, cioè ripetevo con l’ago i disegni che lui mi preparava». 

Luce Balla, Circolpiani, anni Settanta, Applicazioni e ricamo su stoffa su disegno e progetto di Giacomo Balla del 1925

Le necessità economiche conducono padre e sorelle Balla a mettere in piedi una sorta di laboratorio creativo in cui sono molteplici gli scambi tra loro e le fasi progettuali ed esecutive convivono, mescolandosi sempre ed esclusivamente nella dimensione casalinga. Quando poi, nel 1929, si trasferiscono nella nuova casa in via Oslavia, la loro abitazione diviene l’espressione concreta di quanto teorizzato nei Manifesti del Futurismo, una vera ricostruzione dell’universo, pur se racchiusa tra le pareti di un appartamento. 

Il disimpegno di casa Balla in via Oslavia

Arte e vita si mescolano nella realizzazione di mobili e suppellettili — anche con l’uso di materiale di riciclo per far fronte alle necessità economiche —, nella decorazione di ambienti e oggetti, nei quadri, nelle sculture, nei capi di abbigliamento; Luce, insieme a Giacomo e a Elica, contribuisce alla nascita di un fantasmagorico spazio di forme, colori e luce unico nel suo genere e ancora oggi di straordinario effetto. 

La cucina di casa Balla in via Oslavia

Ma stabilire quanto ci sia di suo nella creazione di quella strabiliante dimora (e di sicuro molto), risulta quasi impossibile perché tutto resta schiacciato dalla fama paterna. La visibilità e i riconoscimenti non arrivano per lungo tempo e anche oggi scarseggiano: Luce resta per tutta la vita la “figlia” di Balla, brava e ricca di sensibilità artistica individuata però, secondo la critica, solo attraverso le orme paterne. Prendendo in prestito le parole di Germaine Greer, la sua partecipazione appare «una risposta filiale e sottomessa all’ambiente familiare e alle sue pressioni»; amputata in partenza delle proprie ambizioni e cresciuta all’ombra del “genio”, per il mondo dell’arte Luce rimane silente traduttrice dell’opera di Giacomo Balla, ancella della sua creatività, «megafono» nella diffusione delle sue ricerche e, dopo la morte del pittore, fedele vestale, insieme a Elica, della sua memoria. 

Luce Balla, Forme rumore, anni Settanta, Applicazioni e ricamo su stoffa su disegno e progetto di Giacomo Balla del 1930

Luce è una giovane donna alta e snella, di carattere schivo e pacato, con notevoli capacità manuali e doti creative, in più occasioni riconosciute e apprezzate dall’ingombrante e vulcanico padre che spesso, nel corso della vita, la ritrae. A partire dall’infanzia, nel celebre dipinto Bambina che corre sul balcone del 1912, realizzato osservando la figlia scorrazzare sul lungo terrazzo della casa in via Paisiello, dietro il Parco dei Daini di Villa Borghese. 

Giacomo Balla, Bambina che corre sul balcone, 1912, olio su tela, Milano, Museo del Novecento

Nel suo libro Elica ricorda che la sorella «posava per delle ore silenziosa e apparentemente tranquilla, mentre mio padre dipingeva con fervore». 

Giacomo Balla, Ritratto di Luce, 1922 ca., olio su tela, Collezione privata

Dei molti ritratti uno in particolare ottiene il favore di un aristocratico cliente, il barone Alberto Fassini, che lo acquista ancora in fase di esecuzione evidentemente conquistato dai «mirabili passaggi di colore trasparenti che quasi incorniciano il volto luminoso […]. La mamma approfittò di questo fatto per dire a mio padre di fare un altro quadro con Lucetta, cosa che venne da lui accettata gradevolmente poiché poteva, così, approfondire lo studio delle trasparenze dei veli con altri colori». Il nucleo familiare in cui vive Luce è saldo e coeso, ma tutto incentrato sul valore artistico maschile e paterno. Lo dimostra un altro dipinto di Giacomo dal titolo Noi quattro allo specchio, realizzato nel 1945. 

Giacomo Balla, Noi quattro allo specchio, 1945, olio su tela, Roma, Galleria Nazionale d’arte moderna di Roma Capitale

Il pittore si raffigura in primo piano e quasi interamente visibile, armato di molteplici pennelli ci accoglie sorridente e quasi sorpreso per l’improvvisa “visita” nell’ambiente in cui è indubbiamente protagonista. Luce, alle sue spalle e vestita di bianco, è alle prese con un ritratto del padre nel quale è inserito, pur tagliato, un proprio autoritratto: un fraseggio pittorico che rivela con chiarezza ruoli e posizioni, che consente di leggere l’affettuoso e intenso “dominio paterno” e l’incondizionata ammirazione filiale. Alle sue spalle la madre Elisa è distolta dalla lettura del giornale mentre la sorella Elica, l’unica a non guardare nella nostra direzione, appare distratta da qualcosa all’esterno della scena. Giacomo Balla ha amato teneramente e tenacemente le due figlie, che ha voluto indirizzare nel campo dell’arte insegnando loro molte cose ma non l’autonomia. Per la realizzazione dei suoi progetti ha bisogno dell’abilità manuale di Luce, alla quale affida anche compiti di progettazione, di collaborazione nella preparazione dei dipinti e conferisce il ruolo di insegnante delle giovani allieve che frequentano il suo atelier. Ma non le concede il naturale confronto con l’esterno se non filtrato attraverso sé stesso. Le dinamiche familiari contaminano molto l’esperienza artistica di Luce, che si avvicina all’arte totale ma con la riservatezza e lo stile appartato che le è stato insegnato fin da piccola. Il giudizio critico presente nel catalogo di una mostra tenuta da Luce ed Elica nel 1935 le definisce «sgorgate» dalla fantasia del genitore, entrambe «anime dolci piegate alla dottrina paterna» e il giudizio è rimasto a lungo invariato. 

Luce Balla col padre Giacomo e la sorella Elica nella loro abitazione di via Oslavia, 1932

Scrive Giuliana Altea in un interessante saggio dal titolo «Con papà». Creatività, domesticità e dinamiche familiari nella vicenda di Luce e Elica Balla, che la collaborazione filiale era «fatalmente destinata ad essere ignorata in quanto appunto “silenziosa”, ma soprattutto in quanto contraddice nettamente il canone della creatività novecentesca, fondato su due presupposti: la norma dell’artista virile e quella del genio individuale».

Qui il link alle traduzioni in francese, spagnolo e inglese.

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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.

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