Una storia antica a lungo dimenticata quella di Gracia Nasi, banchiera marrana dai due nomi: Beatriz de Luna per la Chiesa cattolica, per le autorità portoghesi e per quelle di mezza Europa, Gracia Nasi per se stessa, per la sua famiglia e per poche fidatissime persone.
Nata in Portogallo intorno al 1510, discendente della facoltosa e potente famiglia Nasi giunta dalla Spagna dopo l’espulsione della popolazione di religione ebraica da quei territori, fu battezzata col nome di Beatriz per proteggere come un prezioso gioiello, nella riservatezza delle mura domestiche, quello di Gracia, l’equivalente dell’ebraico Hannah. L’ebraismo non fu mai rinnegato da Gracia, fu segretamente coltivato con passione e fede, una condizione perenne dell’animo e della mente in base alla quale fece le sue scelte, prese le sue decisioni, affrontò i doveri, i compiti, le fasi diverse della vita. Simulare di essere la nuova cristiana Beatrice per poter mantenere in vita la vera Gracia ebrea.

ottobre 2020
A 18 anni sposò un facoltoso e potente mercante, il cugino Francisco Mendes, anch’egli convertito forzatamente al cristianesimo, anch’egli sempre attento a nascondere il proprio ebraismo. Dal matrimonio nacque una bambina battezzata con il nome di Brianda, lo stesso della sorella di Gracia, che in ebraico significa regina.
Francisco Mendes era a capo di un’importante ditta di commercio con una sede a Lisbona e una ad Anversa guidata dal fratello Diogo. Le grandi ricchezze erano state accumulate grazie ai traffici con l’Oriente, soprattutto quelli delle spezie, un patrimonio che faceva gola alle autorità portoghesi e garantiva una sorta di incolumità all’intera famiglia.

Quando Francisco morì, in base al suo testamento Gracia si trovò a capo della sede di Lisbona divenendo amministratrice di tutte le fortune commerciali insieme al cognato Diogo ad Anversa. La scelta lascia presupporre che già da tempo la nobildonna avesse affiancato il marito nella gestione economica della ditta, seguendone non solo gli scambi commerciali ma anche gli interessi monetari e finanziari; lascia supporre anche che Francisco fosse pienamente consapevole delle abilità gestionali e imprenditoriali della moglie e che si fidasse ciecamente di lei. Il gioco di simulazione e di dissimulazione al quale erano da sempre abituati aveva portato la ditta Mendes a mascherare dietro ai traffici commerciali una particolare rete di assistenza in favore delle famiglie ebree forzatamente convertite e costantemente minacciate dal clima di intolleranza e sospetto del mondo cattolico. Spesso i mercanti erano anche banchieri e la ditta Mendes non faceva eccezione: questo permise tramite giroconti, operazioni bancarie, lettere di cambio, assegni di trasferire in gran segreto i capitali delle famiglie ebree che intendevano emigrare. Riuscirono così a far uscire dal Portogallo, dalla Spagna e dalle Fiandre ingenti patrimoni senza che le autorità riuscissero a fermarli. Una volta poi che i beni erano messi in salvo, i componenti dei nuclei familiari potevano espatriare di nascosto e immaginare un futuro in qualche altra parte del mondo. Gracia doveva essere a conoscenza di questi traffici finanziari segreti perché l’organizzazione di soccorso e assistenza continuò su vasta scala anche dopo la morte del marito. Fu costretta a mettere in moto la macchina di protezione per i suoi averi quando si rese conto che l’istituzione dell’Inquisizione in Portogallo, nel 1536, costituiva una concreta minaccia per la sua vita, quella della figlioletta, della sorella Brianda e della stessa ditta Mendes; in un paio di anni fu in grado di lasciare Lisbona e trasferirsi ad Anversa dove la ditta di commercio aveva l’altra sede operativa.

Qui, accanto al cognato Diogo, continuò a seguire e gestire le sue attività commerciali, bancarie e finanziarie e ogni forma di aiuto nei confronti delle famiglie correligionarie in pericolo. La meta agognata erano i territori dell’Impero ottomano da raggiungere passando attraverso quelli italiani: avrebbero trovato, se non proprio una vera tolleranza, almeno un clima di possibile convivenza con le altre religioni, avrebbero potuto innalzare i loro luoghi di culto e praticare liberamente la loro religione, senza più necessità di nascondersi e senza più temere l’Inquisizione. Il sultano accoglieva con favore le famiglie ebree in fuga dall’Occidente, con loro arrivavano ingenti capitali e anche molte conoscenze in fatto di credito, azioni bancarie, gestione finanziaria. Anche Gracia Nasi, che ancora ufficialmente era Beatriz de Luna, aveva come obiettivo quello di raggiungere Costantinopoli e tornare all’ebraismo in modo aperto e senza timori: lo farà nel giro di alcuni anni e non senza difficoltà.
La gestione e il controllo congiunti della ditta Mendes e degli affari economici proseguirono fino alla morte di Diogo nel 1542, quando Gracia si trovò unica amministratrice dell’intera fortuna di famiglia visto che Diogo – che nel frattempo era diventato suo cognato sposando Brianda, la sorella, e aveva avuto una figlia chiamata Beatriz – così aveva disposto nel suo testamento. Il clima di intolleranza verso tutto ciò che non era cattolico era aumentato anche ad Anversa, il controllo dell’Inquisizione spagnola era sempre più forte, la ricchezza di Gracia e di sua figlia faceva gola a molte potenti famiglie, compresa quella reale, che attraverso il matrimonio combinato con la bambina vedevano un modo per accaparrarsi le sue fortune. Se già simulare di essere cristiane era un immane sforzo, le nozze con un rampollo di fede cristiana sarebbero state inaccettabili e insostenibili. E non accettare le proposte nuziali avrebbe significato dichiarare ufficialmente l’appartenenza all’ebraismo.
Gracia si trovò costretta a elaborare un altro piano di fuga. Per cercare di allontanare i controlli imperiali fu necessario prestare un’ingente somma di denaro senza interessi a Carlo V, poi la donna con la figlioletta Brianda e la sorella con la sua bambina Beatriz lasciarono Anversa. Era il 1546. Per evitare i controlli fu simulato un viaggio di piacere di tutta la famiglia ad Aquisgrana da dove, sempre facendo finta di proseguire lo svago, raggiunsero Lione e infine Venezia, tappa finale della fuga. Gracia, da abile banchiera qual era, aveva trasferito gran parte del patrimonio e per questo motivo inizialmente il governo della Serenissima accolse con favore l’arrivo delle due sorelle vedove di banchieri. Ma Gracia non aveva previsto il rancore della sorella, gelosa del suo ruolo di amministratrice unica del patrimonio: Brianda la denunciò alle autorità veneziane accusandola di praticare clandestinamente la religione ebraica. Le notizie sono un po’ incerte e sembra che per un certo periodo Gracia fu sottoposta al domicilio coatto.


Nel 1549, però, Gracia era già a Ferrara, città aperta e tollerante nei confronti della religione ebraica. Qui poté finalmente rivendicare ufficialmente il suo ebraismo e tornare pubblicamente a essere Gracia Nasi e non più Beatriz de Luna; con l’approvazione del duca Ercole d’Este proseguì nell’aiuto e nell’assistenza delle ebree e degli ebrei provenienti dai territori spagnoli, a sue spese pubblicò in spagnolo la Bibbia e altri testi sacri. Definita «il glorioso diadema delle genti d’Israele […] la più saggia delle donne d’Israele» le fu dedicato il libro di Samuel Usque Consolazione delle tribolazioni di Israele, nel quale venne riconosciuta come salvatrice morale e materiale di molte persone in fuga dalle persecuzioni. Nel 1553 Gracia Nasi arrivò a Costantinopoli con circa metà del patrimonio di famiglia, l’altra metà era stata consegnata alla sorella Brianda a Venezia.


Prima di partire era entrata direttamente in contatto con il sultano Solimano il Magnifico e il suo governo, che probabilmente avevano avuto voce in capitolo nella soluzione delle controversie in Italia. Alla corte del Sultano fu riverita e rispettata, la comunità ebraica la accolse con tutti gli onori, per loro era “La Señora”, colei che li aveva salvati nei momenti di pericolo. Gracia Nasi visse a Costantinopoli come una gran dama, circondata da miriadi di servitori, vestendosi come una nobildonna europea e circondandosi di cose lussuose, continuando al contempo il suo impegno nell’aiuto e nella protezione delle persone di fede ebraica in difficoltà. Mantenne inalterato anche l’impegno verso la religione, fondando scuole talmudiche e rabbiniche.

Morta probabilmente nel 1569, di lei non rimane neanche un ritratto, svanita presto dal ricordo e dalla celebrazione storica.
In copertina: Illustrazione del fumetto L’ebrea errante, scritto da Gianluca Piredda con disegni di Leo Sgarbi, in Lanciostory, n.2377, ottobre 2020, particolare.
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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.

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