Vietato studiare, vietato insegnare

È noto che la legislazione razzista antiebraica fu inaugurata con una misura che riguardava la scuola: il 5 settembre 1938 venne promulgato un Regio decreto legge dal titolo Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista, mentre il Regio decreto che generalizzava la persecuzione antiebraica, i Provvedimenti per la difesa della razza italiana, sarà pubblicato più di due mesi dopo, il 17 novembre 1938. Applicare queste norme ad anno scolastico iniziato avrebbe comportato molti problemi: così il 2 settembre furono varate urgentemente le misure per le scuole.

Come vennero applicate queste norme? Furono applicate in modo “morbido” o in maniera sistematica? Che peso ebbero nella vita delle scuole e in quella di studenti, docenti, personale scolastico? Ricordiamo che Liliana Segre, nel suo libro di memorie, descrive con queste parole l’esperienza traumatica subita: «Il 5 settembre 1938 ho smesso di essere una bambina come le altre».
E ancora: c’è traccia, nei documenti, di reazioni dei compagni, dei docenti non ebrei a queste espulsioni?

Per favorire una ricerca che sia in grado di rispondere in maniera accurata a questi interrogativi Vincenza Iossa e Manuele Gianfrancesco hanno raccolto in questo libro — che si inserisce tra le iniziative promosse dal Miur per gli ottanta anni dalla promulgazione di tali leggi — circa settecento disposizioni attraverso le quali nella scuola italiana si diede piena attuazione alla legislazione razzista del 1938. Si tratta di un’analisi attenta di una fonte specifica, i Bollettini Ufficiali degli anni 1938-1943, che ci restituisce, infatti, un quadro dell’applicazione minuziosa delle norme del Regio Decreto e ci aiuta a comprendere quali ripercussioni drammatiche esse ebbero sulla vita di moltissime persone; ci mostra bene anche come la Shoah non sia ʻcapitataʼ imprevedibilmente ma come essa sia stata preparata negli anni da molteplici azioni.

Manuele Gianfrancesco, nella preziosa e limpida Introduzione al volume, inquadra il lavoro svolto nel panorama della storiografia attuale e in quello della didattica della Shoah, che ha coinvolto negli ultimi anni un numero crescente di studenti con un approccio che ha unito lo studio a momenti di forte coinvolgimento emotivo grazie all’impegno di testimonianze dirette. Ora che l’ʻera del/la testimoneʼ sta volgendo al termine è necessario formare una generazione di ʻtestimoni di testimoniʼ che mantenga viva la riflessione e la memoria della Shoah: questo sarà possibile rinnovando le forme della didattica e avvicinando le/gli studenti all’analisi ragionata di fonti documentali quali quelle inserite in questo volume.

In secondo luogo questo lavoro si colloca in quel filone di ricerca storiografica che, dalla metà degli anni Novanta, ha corretto il mito degli ʻitaliani brava genteʼ, tali in quanto sarebbero stati in gran parte immuni dalla deriva razzista del regime. Fu veramente così? E quanto vi contribuirono la scuola e l’educazione? I provvedimenti adottati rimasero in superficie? O furono applicati in maniera sistematica e pervasiva? «È esistita una scuola intimamente fascista?». Anche solo scorrendo rapidamente questo volume si deve rispondere di sì.
Com’è noto la scuola è il primo settore in cui si intervenne con le leggi razziste. Preceduto dalla pubblicazione il 14 luglio 1938 del Manifesto della razza, già il 5 settembre fu emanato il Regio decreto legge Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista, cui seguirono tra il 23 settembre e il 15 novembre altri due decreti riguardanti la scuola: con esso si escludevano completamente dalla scuola italiana tutti gli studenti ebrei e tutti gli adulti, qualunque fosso il loro ruolo: docenti, dirigenti, personale amministrativo e così via; anche i libri vennero “epurati”. Bottai, in una conversazione alla radio per l’inizio della scuola, affermava: «all’inizio del suo nuovo anno, essa ha già predisposti i suoi quadri, sceverandone e separandone gli elementi razzialmente estranei»; ricordiamo che in quella data, invece, in Germania erano ancora presenti alunni ebrei nelle aule.

Ma erano veramente tanto importanti la scuola e l’educazione per il fascismo? O rappresentarono un elemento marginale nella costruzione del regime? Certamente furono molto importanti: Bottai, Ministro dell’Educazione nazionale, in una circolare del 6 agosto del 1938, promuoveva con queste parole la diffusione della rivista La difesa della razza nelle scuole superiori e nelle università «la scuola superiore fascista, da cui promana la determinazione scientifica dell’unità razziale, è chiamata dal Duce a divenire la depositaria di questo canone fondamentale e la tutrice del patrimonio intellettuale e morale che il popolo ripete da Roma».

Lo ʻStato Educatoreʼ, come Gabriele Turi definisce quello mussoliniano, investì moltissimo sulla scuola, fin da quella dell’infanzia, e sull’educazione di cui voleva avere il monopolio. Qui solo si poteva formare quell’ʻuomo nuovoʼ, espressione di una rivoluzione antropologica, fascista in ogni espressione della vita, anche la più intima e personale, che Mussolini – come del resto gli altri totalitarismi – intendevano plasmare. Per questo s’intervenne in numerosi ambiti della cultura, dell’educazione e della scuola: dalle organizzazioni studentesche alla didattica, al libro di testo unico, alla riscrittura della storia e alla modifica dei piani di studio in chiave razzista. Anche la formazione dei futuri maestri deve essere orientata verso tale direzione; nel volume del 1938 di Felice Cassano Argomenti di pedagogia fascista: guida per la preparazione ai concorsi magistrali ben due capitoli sono dedicati alla Necessità del razzismo e al Razzismo a scuola: così il regime si preoccupava di perpetuare ed estendere l’impostazione razzista. Questo fortissimo convincimento spiega anche quanto avvenne nel 1931 con le violenze contro gli iscritti all’Azione Cattolica (che rappresentava per il fascismo un pericoloso concorrente nel campo dell’educazione) e con lo scioglimento dei suoi circoli, episodi che raffreddarono i rapporti col Vaticano.

Vediamo dunque ora cosa contiene questo volume. Nato per censire i provvedimenti di carattere razzista pubblicati dal 1938 al 1943 nei numeri del Bollettino ufficiale del Ministero della educazione nazionale, esso contiene le copie anastatiche della normativa primaria e un indice ragionato e completo dei provvedimenti applicativi delle leggi razziste, diviso utilmente per anni e integrato dalla riproduzione di alcuni atti esemplificativi. Pubblicare integralmente tutti i settecento atti rinvenuti sarebbe stato inutile e avrebbe reso ostica la consultazione del volume. Quanto è qui presentato è comunque sufficiente a far emergere chiaramente la minuziosità e la pervasività dell’attuazione delle leggi razziste, nonché l’impatto che esse ebbero sulla vita della scuola e su quelle delle numerosissime persone colpite.

La norma generale (il Regio decreto del 5 settembre del 1938 in primis) escludeva infatti tutte le persone di razza ebraica da qualsiasi istituzione scolastica o educativa; gli altri provvedimenti mostrano dettagliatamente come questo principio venne applicato, realizzando una persecuzione che si concluderà con la Shoah. Scorrendo gli indici si trovano le decadenze dagli uffici svolti, le sospensioni dal servizio, il divieto di fare supplenze e ricoprire incarichi, il divieto a partecipare a selezioni per l’assegnazione di borse di studio e a concorsi di qualsiasi tipo. Per applicare quest’ultima norma nei mesi finali del 1938 si chiese ai partecipanti una dichiarazione di non appartenenza alla “razza ebraica”; a partire dal 1939 la domanda assunse un carattere più generale (ricordiamo che dopo la guerra di Etiopia le ʻpreoccupazioniʼ per il mantenimento della purezza della razza aumentarono) e si richiese una dichiarazione di appartenenza alla “razza ariana” o, in altri casi, alla “razza italiana”; solo in due casi si abbinarono i fattori razziali a quelli religiosi. Importante poi è notare come questi provvedimenti fossero diffusi in maniera omogenea in tutto il territorio nazionale e come non diminuissero col tempo, neanche dopo l’entrata in guerra dell’Italia (si potrebbe immaginare che, dopo un primo periodo di attuazione, fossero meno ʻnecessariʼ); anzi «all’interno del Bollettino ufficiale n.37 del 16 settembre 1943 si trovano ancora pubblicati tre provvedimenti con un’impostazione di carattere razziale».
Scorrere l’indice di queste misure, leggere l’elenco di coloro che furono in varia forma ʻdispensatiʼ dal servizio e cacciati dalle istituzioni scolastiche, promuove lo studio ragionato di questo periodo e tocca le corde dell’emotività; soffermarsi sui nomi e sulle mansioni dei docenti «decaduti dall’abilitazione alla libera docenza perché di razza ebraica» o su quelli degli autori di libri scolastici ʻepuratiʼ rende vivo e tangibile il clima traumatico in cui tali misure furono applicate. Quest’opera rappresenta un importante passo in avanti per la ricerca storica e apre ad altri possibili ambiti di approfondimento. Innanzitutto sulle circolari di Gabinetto che non furono tutte pubblicate sui Bollettini Ufficiali e che potrebbero illuminare ulteriormente la questione; in secondo luogo, come chiarito nell’Introduzione, poiché la scuola rappresenta un punto d’osservazione privilegiato per indagare la società e la mentalità in epoca fascista, la ricerca, limitata in questo volume al «campo delle norme strettamente riconducibili alla questione del razzismo antisemita nell’universo educativo» potrebbe ulteriormente ampliarsi; potrebbe per esempio affrontare il discorso su tutti gli elementi fortemente nazionalisti, riconducibili a un razzismo di matrice biologica.Non va dimenticato poi che gli archivi delle scuole e delle università sono una miniera che si comincia a esplorare solo da poco tempo; voglio segnalare a questo proposito due iniziative (non certo le uniche in Italia, ma quelle che conosco meglio): la prima è un progetto della Sapienza di Roma che ha mappato, schedato, censito le fonti del suo Archivio Storico, creando una banca dati consultabile per lo studio della politica antisemita e sull’espulsione degli ebrei dall’università di Roma e focalizzandosi «sulle origini, i caratteri e la specificità dell’antisemitismo fascista, sull’elaborazione degli strumenti persecutori e il loro impatto sulla società».

L’altro è il progetto Archivi in rete, promosso dal Liceo Ennio Quirino Visconti, ideato e coordinato dalla prof.a Romana Bogliaccino, che ha coinvolto diverse scuole romane. Attraverso l’analisi dei registri scolastici e di altra documentazione, gli studenti dei diversi istituti hanno individuato i nomi degli alunni espulsi (o meglio, non iscritti nuovamente: i loro nomi, presenti nei registri dell’anno scolastico 1937/38, spariscono, senza traccia, in quelli dell’anno seguente). Le ricerche delle singole scuole confluiranno, anche con la collaborazione dell’Archivio della Comunità ebraica, in un comune database da cui partire per una ricerca sull’entità e incidenza delle leggi razziali nella scuola romana.

Un primo risultato di questo progetto è il ricchissimo, coinvolgente e affabulatore libro di Romana Bogliaccino Scuola negata. Le leggi razziali del 1938 e il liceo “E. Q. Visconti”, uscito nel 2021. Progetti come questo sono esemplari perché uniscono due aspetti imprescindibili per la scuola: il lavoro sulle competenze trasversali e disciplinari (della storia in questo caso) e il compito educativo e morale di «combattere ogni forma di discriminazione e far sì che non si ripetano gli orrori del secolo scorso».

Come scrive bene Michele Sarfatti nella Prefazione al volume «la scuola odierna deve rimanere baluardo nella difesa dei diritti di tutte le minoranze e nel respingimento dell’antisemitismo e di qualsiasi razzismo. E per questo è opportuno ricostruire, come ottimamente fa questo libro, la nauseante ma vera vicenda del razzismo nel sistema dell’istruzione nell’epoca fascista».

Vincenza Iossa, Manuele Gianfrancesco (a cura di)
Vietato studiare, vietato insegnare
Palombi Editore, Roma, 2019
pp. 284

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Articolo di Angela Scozzafava

Si è laureata in filosofia della scienza con il prof. Vittorio Somenzi e ha conseguito il Diploma di perfezionamento in filosofia.  Ha insegnato — forse bene, sicuramente con passione — in alcuni licei. Ha lavorato nella Scuola in ospedale, ed è stata supevisora di Scienze Umane presso la SSIS Lazio. Attualmente collabora con la Società Filosofica Romana; scrive talvolta articoli e biografie; canta in cori amatoriali e ama i gatti.

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