Questo mese ho scelto una delle più celebri artiste portoghesi dell’età barocca, specializzata in soggetti religiosi, ma diventata famosa come pittrice di nature morte, Josefa de Ayala Figueira, più nota come Josefa de Óbidos, nata a Siviglia nel 1630. Il padre, Baltazar Gomes Figueira, pittore portoghese originario del paese di Óbidos, si era recato a Siviglia nel 1620 per migliorare la propria tecnica pittorica, in un momento in cui Portogallo e Spagna erano unificati, e aveva iniziato a lavorare come assistente nella bottega di Francisco Herrera il Vecchio. A Siviglia conobbe e sposò la nobile andalusa Catarina de Ayala y Cabrera, dalla quale ebbe sette figli. Padrino di battesimo per Josefa fu proprio il maestro Francisco Herrera. Ma la fortuna e il successo non erano favorevoli a Gómez Figueira, tanto che venne incarcerato per debiti nel 1633, e l’anno dopo decise di lasciare Siviglia con la famiglia e di stabilirsi a Óbidos, suo paese natale. Pare che Josefa sia rimasta a Siviglia per qualche altro anno con il suo padrino-maestro, per completare la formazione.
Nel ‘400 e nel ‘500 il Portogallo era stato una potenza mondiale, a capo di un impero che andava dal Sud America, all’Africa e all’Asia. Nei due secoli successivi perse la maggior parte delle ricchezze e delle colonie, e nel 1581 fu incorporato nell’Unione Iberica; solo nel 1640 il paese riconquistò l’indipendenza: il duca di Braganza diventò re del Portogallo con il nome di Giovanni IV. L’arte divenne uno strumento per recuperare prestigio: si abbellirono chiese, monasteri, le case dei sovrani e dei notabili del tempo. Sin da bambina Josefa aveva dimostrato vocazione per la pittura, iniziando a lavorare al fianco del padre. All’età di quattordici anni, a Coimbra, entrò come novizia nel Convento agostiniano di Sant’Anna, dove realizzò le sue prime opere firmate note, e incisioni, tra cui quella con Santa Caterina e un’altra con S. Giuseppe.

Tra i suoi primi dipinti figurano un Matrimonio mistico di Santa Caterina del 1647, e una Maddalena del 1650.

Ben presto, però, si rese conto che la vita in convento non le si addiceva e nel 1653 tornò a Óbidos. Uno dei primi generi che sviluppò insieme al padre e grazie al quale insieme ottennero fama e fortuna furono le nature morte, poiché questo soggetto, poco praticato in Portogallo, si rivelò un fantastico successo commerciale.

Josefa, riconosciuta ormai come abile artista, essendo in stretto rapporto con la sfera ecclesiastica, venne chiamata a dipingere pale d’altare per chiese e conventi nel Portogallo centrale. Lavorò anche per la corte di Braganza in un programma di esaltazione della regina Caterina che aveva appena sposato Carlo II d’Inghilterra. Dipinse il ritratto della regina Maria Francisca Isabella di Savoia, moglie di Pedro II e di sua figlia Isabel, promessa sposa di Vittorio Amedeo Duca di Savoia, cui il quadro fu inviato per mostrargli la futura sposa.

Dimostrò interesse anche per la stampa, la lavorazione dell’argilla, la progettazione di costumi, tessuti, e accessori vari. Nell’Accademia delle Belle Arti di Lisbona si conserva un suo telaio.
Josefa non si sposò mai e, cosa più notevole per l’epoca, visse come una donna indipendente guadagnandosi da vivere con i suoi dipinti. Collaborò con il cognato José Pereira da Costa, il fratello Antonio de Ayala e il suo assistente Antonio Pinheiro do Lugo, che insieme formarono la “Scuola di Óbidos” di cui Josefa era la figura principale. Appena trentenne, era già una pittrice affermata, e la sua produzione aveva superato quella del padre, tanto che alla sua morte, avvenuta nel 1674, l’artista si rifiutò di proseguire con la bottega del padre. Visse circondata da servi e da due nipoti, alle quali chiese nel testamento che i suoi beni fossero legati a una discendenza femminile. Donna emancipata, conduceva affari, firmava contratti e compiva transazioni senza la supervisione di un uomo, sia esso padre, marito o tutore. Fu una delle artiste barocche più prolifiche del Portogallo: le sono state attribuite circa 150 opere, pale d’altare, nature morte e ritratti per privati.
Morì a Óbidos il 22 luglio 1684, all’età di cinquantaquattro anni e fu sepolta nella chiesa di Sao Pedro. Josefa era molto legata alla città in cui aveva trascorso praticamente tutta la vita, un piccolo villaggio alla periferia di Lisbona, ma molto attivo nelle arti nel XVII secolo grazie alla committenza di una piccola nobiltà. Nel Museo, situato accanto alla Chiesa di Santa Maria, sono conservati alcuni dipinti di Josefa. Circa un centinaio delle sue opere firmate sono custodite all’Accademia di Belle Arti e al Museo di Arte Antica di Lisbona. Il suo lavoro appare in molti altri musei e in collezioni private portoghesi; alcune sono andate disperse nel terremoto del 1755, che distrusse molti edifici di Lisbona.
La sua pittura mostra l’influenza del naturalismo tenebrista che caratterizza lo stile del padre, soprattutto per l’utilizzo di contrasti chiaroscurali molto forti, mentre un fascio di luce viene concentrato sulla figura centrale, per metterne in risalto i dettagli, oscurando lo sfondo. Ma Josefa sviluppò una propria personalità adottando una tavolozza sciolta e libera da regole accademiche, concentrandosi nelle sue tele sul dettaglio degli elementi decorativi. Il suo stile è prettamente barocco, con gli sfondi scuri e i colori brillanti, l’attenzione alla realtà e la tensione religiosa tipica della Controriforma. Un’artista colta che ha incarnato pienamente la spiritualità del suo tempo, aggiungendo al suo immaginario religioso un decorativismo esagerato e festoso e una forte componente teatrale.
Tra le sue opere di soggetto sacro figurano sei tele da lei realizzate per la chiesa di Santa Maria di Óbidos (1661), un’Adorazione dei pastori per il Monastero di Santa Maddalena ad Albobaça (1669), sei dipinti di S. Teresa d’Avila (1672-1673) per il monastero carmelitano di Cascais, e quattro dipinti per la Casa de Misericórdia di Peniche (1679).


San Giuseppe col Bambino Gesù è ambientato all’aperto, forse di notte e comunque sotto un cielo nuvoloso, mentre i volti e i vestiti dei due protagonisti sono ben illuminati. San Giuseppe regge con la mano sinistra un ramo di giglio, simbolo del padre putativo, mentre con la mano destra stringe quella di Gesù Bambino, che con l’altra mano tiene un bastone; sopra la sua testa una sfera lucente simboleggia lo Spirito Santo.
Altri suoi lavori sono nel Monastero di Batalha, nel Monastero di San Girolamo a Evora, dove si può ammirare un Agnus Dei circondato da festoni di fiori.




Il suo ritratto più famoso è quello di Faustino das Neves del 1670, che si trova nel Museo Municipale di Óbidos.

Ma sono le nature morte che le hanno dato più popolarità e sono considerate la sua specialità. In collaborazione con suo padre realizzò una serie di dipinti dei mesi dell’anno, ognuno dei quali ha come sfondo un paesaggio, con in primo piano una natura morta del cibo consumato in quel mese. La serie vuole simboleggiare il passare del tempo, l’inevitabilità della morte e la possibilità di rinascita.



Ritenuta ingenua e provinciale, solo dal 1949 in poi gli storici dell’arte hanno iniziato a valutare criticamente la sua opera, portandola fuori dall’oblio. Nel 1957 il biografo Luis Reis-Santo ha scritto la prima monografia di Josefa de Óbidos. Lo storico dell’arte Vitor Serrão, professore presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Lisbona, dove dirige l’Istituto di Storia dell’Arte, ha osservato che la sua fama raggiunse proporzioni mitiche al suo tempo e che è stata ammirata per essere una donna. Durante una mostra al Museu Nacional de Arte Antiga di Lisbona, i curatori hanno compilato un elenco di cinquantatré opere che possono essere attribuite con certezza a lei. Nel 1991 la prima retrospettiva e la sua definitiva riscoperta. Nel 2015 al Museu Nacional de Arte Antiga di Lisbona furono esposte più di centotrenta opere (pittura, scultura e arti decorative), provenienti da diverse istituzioni portoghesi e internazionali, e da numerose collezioni private.

Nel 2016, il Museo del Louvre di Parigi ha acquisito un olio su rame rappresentante L’agonia di Santa Maria Maddalena confortata dagli angeli (1679). Questo dipinto è un’opera relativamente tarda dell’artista ed esprime tutto il profondo misticismo che pervade le sue opere di soggetto religioso. La Maddalena è raffigurata nel momento stesso della sua conversione, riccamente vestita, è in estasi circondata da angeli musicanti, mentre altri due angeli inginocchiati la sostengono teneramente.
In copertina: Natura morta con torte, 1660-70, Josefa de Óbidos.
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Articolo di Livia Capasso

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.

Come sempre gli articoli di Livia Capasso ci fanno scoprire artiste brave e interessanti e sono ricchi di notizie relative sia al loro ambiente che al periodo storico artistico nel quale hanno vissuto e prodotto le loro belle opere. Bellissime le nature morte di Josefa !
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