L’imperialismo coloniale, i monopoli mercantili, lo sfruttamento dei territori lontani già nel XVIII secolo registrano a livello globale flussi di economia ad ampio raggio, condizionando le mode alimentari e i sistemi di approvvigionamento. America, Europa, Asia e Africa sono tenute insieme da un intreccio complesso di rapporti che sembrano riprodurre antiche contrapposizioni tra persone ricche e povere.

L’era coloniale si distinse dal resto delle colonizzazioni precedenti sul piano qualitativo e quantitativo per i notevoli cambiamenti e interazioni tra diverse culture e nazioni. Gli aspetti più significativi furono i movimenti del cibo, influenzati dal dominio coloniale delle potenze europee sulle nazioni conquistate, la diffusione di piante, ingredienti e ricette in tutto il mondo che lasciarono un’impronta duratura nella gastronomia di molte nazioni.
Le culture alimentari indigene subirono cambiamenti rapidi. A Cuba, i prodotti autoctoni furono quasi completamente distrutti, mentre in America centrale e nelle Ande, i sistemi alimentari a base di granturco e patate furono soggiogati dai conquistatori europei. In Africa, Europa e Asia, piante e animali furono integrati nei campi e nelle cucine ibride. I sistemi alimentari nel Vecchio Mondo subirono trasformazioni radicali: in Europa, si verificarono cambiamenti nella dieta e nei gusti di persone ricche e povere; in Africa, la tratta delle/degli schiavi e le nuove colture influenzarono la situazione; persino l’Asia fu colpita da questo impatto.

Un paio di storie ben illustrano i complessi movimenti del cibo nell’era coloniale, attraverso la quale si comprende in che modo una pianta asiatica fu alla base di cambiamenti a entrambe le estremità dello schiavismo, l’Africa occidentale e l’America. Nel 1839 un veliero spagnolo che trasportava illegalmente schiave/i africani nelle piantagioni di Cuba fu sopraffatto dagli stessi schiavi, che diressero la nave verso le coste del New England nella speranza di tornare nella loro terra. I ribelli furono chiamati con il nome della nave, l’Amistad, in un processo divenuto celebre in tutto il mondo, il tribunale di New Haven nel Connecticut decretò che i ribelli della Amistad avevano il diritto di tornare nel loro paese. Durante il viaggio di ritorno in Africa, si portarono attrezzi agricoli, semi di molte piante utili tra cui un riso asiatico, Oryza sativa. Cinque, il capo del gruppo di lingua mende (Sierra Leone), testimoniò di essere stato catturato e asservito mentre piantava del riso nella sua terra, l’Oryza glaberrima, domesticato in Africa. Questo riso piantato dai ribelli in Sierra Leone e in altre zone dell’Africa occidentale venne chiamato Méréki o Meriké dal nome della terra da cui Cinque e i suoi compagni l’avevano preso. Questa storia spiega l’evoluzione del sistema alimentare globale in viaggio dall’Asia passando dall’America, arrivando in Africa.

Altro elemento centrale che rimase, anche dopo la distruzione delle loro culture, nella cucina americana furono i cibi autoctoni: piatti e preparazioni culinarie tipiche di una regione o di un territorio, che rappresentano l’identità culinaria di una comunità che si sono sviluppati e tramandati per secoli. Gli europei e le europee giunte in America integrarono gradualmente gli ingredienti autoctoni nelle loro cucine, come il mais e le patate che divennero ingredienti fondamentali nella loro dieta; questo scambio culinario noto come «scambio colombiano» contribuì a diffondere e mantenere la presenza dei cibi autoctoni, non solo per motivi alimentari ma anche come parte del loro patrimonio culturale. Ciò ebbe inizio in Louisiana nel 1721, alla fine di una carestia di due anni che colpì la prima ondata di immigrate/i dall’Europa e dall’Africa (7000 europee/i e 200 africane/i, resi schiavi dai primi). Una stazione commerciale fortificata dai francesi aveva avviato commerci con la tribù indigena dei Pascagoula, città degli Stati Uniti, stabilendo scambi commerciali di granturco, fagioli, frutta, verdura e carne in cambio di manufatti europei. Questa interazione commerciale influenzò non solo l’economia locale introducendo oggetti e materiali nella vita indigena, ma coinvolse allo stesso tempo le/i francesi nelle dinamiche culturali e pratiche di quest’ultimi. Tuttavia i rapporti tra le colonie europee e le tribù indigene non sempre furono pacifici, le colonie francesi cercarono di imporre la loro politica e religione, causando alle comunità sfruttamento e violenza.

Dopo la carestia, la Louisiana fu in grado di avviare un’agricoltura basata su una mescolanza di elementi tratti dai sistemi alimentari dell’Africa occidentale e dei popoli nativi americani. Gli schiavi e le schiave provenivano da una regione africana che conosceva il granturco introdotto durante lo schiavismo; inoltre su richiesta del governatore, i trafficanti cercavano schiavi che conoscessero già la coltivazione del riso. Infatti non desta sorpresa che le/i cuochi schiavi della colonia utilizzassero granturco e riso in un piatto chiamato couscous, termine francese derivato dalla lingua nativa delle Molucche. Negli anni Sessanta del Settecento, le/i nativi africani e americani condividevano sia le colture sia le tecniche di orticoltura nella colonia francese della Louisiana, questi legami creoli modificarono anche i rapporti di potere.

La prima ondata di globalizzazione ha diffuso e combinato persone, piante, animali, tecniche agricole, cucine e gusti. Molti ingredienti di piatti e bevande che consideriamo oggi tradizionali hanno origine nelle nuove scoperte provenienti dalle colonie. Ad esempio, le arachidi e le patate dolci si diffusero nell’Asia sudorientale, il peperoncino (Capsicum) in India, Cina e Africa occidentale, le patate e la vodka in Russia, lo zucchero melassa e il rum in Giamaica, i pomodori, i peperoni e il mais dolce in Spagna e Italia. Tutti questi sono il risultato degli scambi avvenuti durante quel periodo.

Queste nazioni divennero fonti di approvvigionamento di alimenti per le potenze coloniali, che spesso imponevano nuove pratiche agricole e produzione alimentare per soddisfare le proprie esigenze. Ciò ha avuto un impatto negativo sulle comunità indigene, che spesso sono state costrette a modificare le loro competenze agricole tradizionali.
Le nazioni europee hanno costruito colonie e possedimenti nelle terre scoperte, cercando di sfruttarne le risorse e stabilire vie commerciali per trasportare i prodotti verso i mercati europei. La creazione di importanti rotte commerciali, come quella delle spezie e dello zucchero, è stata una delle principali attività dell’era coloniale. Ingredienti esotici come caffè, cacao, tè e zucchero sono diventati preziosi beni di scambio tra le colonie e l’Europa, orientando in modo rilevante la cultura alimentare sia delle nazioni coloniali che delle metropoli europee.

Le spezie e altre prelibatezze rare erano state portate nelle corti europee da tutto il mondo per secoli. Tuttavia, l‘innovazione più significativa fu l’introduzione dello zucchero di canna dal Nuovo Mondo. Originariamente una pianta domestica e un prodotto delle Americhe, lo zucchero di canna fu portato in Spagna dai Mori nel IX secolo e successivamente nelle Canarie e a Madeira. Fino alla seconda metà del XVII secolo, lo zucchero rimase un bene prezioso in Europa, consumato principalmente come medicinale, conservante e spezia; in particolare nei paesi settentrionali, iniziò a essere utilizzato come dolcificante e alimento. Nonostante lo scarso interesse della Spagna nello sviluppo dei Caraibi, dopo il 1650 altre nazioni europee si dedicarono alla produzione di zucchero, che crebbe rapidamente diventando un prodotto fondamentale. La distillazione del rum seguì a breve e nel XVIII secolo ogni marinaio della marina britannica riceveva mezza pinta di rum al giorno, un sostegno pubblico all’industria nascente che durò per un secolo.

Nelle colonie dell’Europa settentrionale, come l’isola di Barbados, inizialmente si coltivava il tabacco, una pianta nativa delle Americhe. Tuttavia, in un primo spostamento all’interno dell’Impero britannico, il tabacco caraibico perse la sua posizione nel mercato inglese a favore del tabacco superiore della Virginia. Un’altra importante coltura esportata dalle colonie caraibiche era il caffè. La colonia francese di Saint-Domingue divenne uno dei principali centri di produzione di caffè e presto la colonia più redditizia nella storia del mondo. La diffusione del caffè trasformò le società europee e le caffetterie divennero luoghi di ritrovo per gli uomini benestanti. Anche in Inghilterra, dove il tè superò il caffè come bevanda nazionale, i caffè vennero aperti vicino ai porti e nei centri urbani, in cui i mercanti si incontravano per scambiarsi informazioni sulle spedizioni e sui prezzi delle merci coloniali. Sia lo zucchero sia il tabacco erano prodotti dal lavoro di schiavi e schiave africane e della loro discendenza fino allo scoppio della rivoluzione del 1791.

Il cacao era un altro alimento destinato all’esportazione, molto interessante e di origine americana. Il Theobroma cacao, una specie autoctona, era stato addomesticato in Messico: il nome del genere significa “bevanda degli dei“. Verso il 1750, si sviluppò il sistema delle piantagioni nelle colonie tropicali, creato dai dominatori europei, che rivoluzionò le abitudini alimentari in Europa. In quell’epoca, alcuni carboidrati complessi provenienti dall’America arrivarono in Europa e furono introdotti alimenti come pomodori, topinambur, patate dolci e vari legumi.
Le nuove tecniche di coltivazione e lavorazione furono sviluppate per supportare l’espansione del commercio internazionale e la promozione dei prodotti europei; questo portò a una omogeneizzazione e diffusione di questi per garantire la disponibilità a livello globale. Un processo inverso è avvenuto anche con le specie animali allevate in Europa, molte delle quali originariamente domesticate in Asia, che si diffusero nel mondo coloniale. Ad esempio, le pecore e le capre nelle regioni montuose dalle Montagne alle Ande, polli e bovini in molte altre parti: contribuendo all’erosione e alla ricostruzione degli agro-ecosistemi e delle culture alimentari.
La rivoluzione industriale del 1750 portò, ancora, a profondi cambiamenti, come le conquiste delle navi a vapore oceaniche, l’inscatolamento dei cibi, la produzione di zucchero granulato dalla barbabietola, l’estrazione del burro di cacao, l’invenzione della margarina e molte altre innovazioni che avrebbero nuovamente modificato il mondo del cibo.

In conclusione, il colonialismo e la globalizzazione sono argomenti complessi che suscitano problematiche differenti. Il colonialismo rappresenta un periodo storico in cui gli imperi europei hanno colonizzato varie parti del mondo, esercitando il controllo politico, economico e culturale sulle popolazioni indigene. Ciò ha comportato conseguenze considerevoli per le società coinvolte, come l’imposizione di nuove strutture politiche, lo sfruttamento delle risorse naturali e la violazione dei diritti umani. D’altra parte, la globalizzazione ha contribuito a favorire l’adattamento creativo delle persone a nuovi ambienti, all’introduzione di una vasta gamma di cibi provenienti da diverse culture e regioni e a una maggiore diversificazione delle diete. Tuttavia, la diversità alimentare ha anche generato uno squilibrio nei cicli produttivi dei mercati e sollevato preoccupazioni riguardo alla sostenibilità, alla sicurezza, all’equità e alla complessità delle dinamiche di potere che hanno contribuito a plasmare tali sistemi. Per comprendere l’impatto di questi processi e bilanciare i benefici, è fondamentale promuovere una collaborazione generale al fine di affrontare e risolvere in modo adeguato gli aspetti storici, gli eventi politici, economici e sociali correlati. Questo approccio mira a promuovere sistemi alimentari sani, sostenibili ed equi per tutti e tutte.
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Articolo di Giovanna Martorana

Vive a Palermo e lavora nell’ambito dell’arte contemporanea, collaborando con alcuni spazi espositivi della sua città e promuovendo progetti culturali. Le sue passioni sono la lettura, l’archeologia e il podismo.

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