Marlen Haushofer (1920-1970) è una scrittrice austriaca sconosciuta in Italia. Altre scrittrici, prima di lei, hanno riflettuto su temi importanti della vita e hanno scritto su tavoli da cucina mentre accudivano i propri figli o preparavano la cena. Scrivevano cronache quotidiane, a volte di infelicità femminili raccontate in forma diaristica per sé stesse, per sopravvivere e resistere. Non è certamente la prima a rientrare in questa categoria.
Quando Marlen Haushofer consegna il manoscritto senza titolo e senza punteggiatura al suo amico scrittore Hans Weigel, dice, e sono sue le parole, «non ti piacerà, è la storia di una gatta». Invece aveva scritto un libro che si chiamerà La parete, un viaggio senza ritorno nella solitudine, al riparo dagli uomini, protetta dalla natura.
Negli anni Ottanta il libro ebbe un successo di nicchia presso gli ambientalisti e le femministe (la mia prima lettura del libro risale al 1989). Nel 2012 il regista Julien Polsler ne fece un film Il muro invisibile. Anche il film ebbe riconoscimenti soprattutto per l’interpretazione della protagonista Martina Gebech, premio Oscar per Le vite degli altri. Il film non è mai arrivato tradotto nelle sale italiane.
Il libro La parete di cui ci occupiamo, affronta il tema dell’ecologia in tempi non sospetti. Si era all’inizio della problematica, si parlava di consumismo e di ecologia della mente. Sono passati da allora ben sessant’anni, ora il problema è diventato drammatico e forse la lettura del libro potrebbe aiutarci a riflettere sul nostro futuro. Il libro è stato scritto in forma di cronaca, racconta i fatti con un linguaggio crudo. «È un diario destinato a non essere letto da nessuno», così dice la scrittrice. Attuale e moderno, ci costringe a riflettere sui nostri stili di vita passati e futuri. «Che bella storia, per una metafora su quella solitudine diventata un fenomeno sociale», scriveva sulla Stampa (Tuttilibri) Lietta Tornabuoni. Anche Daria Bignardi, sempre attenta alla scrittura al femminile, lo lesse per una settimana alla radio (Radio Capital), nel settembre del 2020. Anche noi allora facevamo i conti con la nostra “parete invisibile”, in tempo di pandemia e di covid.
Veniamo ai fatti. La donna del libro, senza nome, si trova un giorno in una casa di vacanza in montagna, in casa di amici. Succede un evento grave e imprevedibile. Una parete invisibile – perché trasparente ma reale – l’ha tagliata fuori dal mondo. Un mondo pietrificato e glaciale. È rimasta sola, ma non proprio. Con lei ci sono un cane e una gatta, più tardi una mucca e un toro. La sua nuova vita nella natura, una vita di sopravvissuta, diventa la sua vera vita. «A volte, già prima che esistesse la parete, desideravo morire per poter finalmente scrollarmi di dosso questo fardello. Di questo peso opprimente ho sempre taciuto; un uomo non mi avrebbe capita, e le donne si trovavano nella mia stessa situazione. E così preferivamo chiacchierare di vestiti, delle amiche o di teatro, la segreta ansia divorante negli occhi. Ognuno di noi sapeva, e perciò non ne parlavamo mai. Era il prezzo che si pagava per la capacità di amare» (pag.49). La sua vita nel bosco è fatta di cose concrete: via anelli e fronzoli, le mani devono essere libere per procurarsi il cibo come per piantare le patate o tagliare la legna per riscaldare la casa. E allora le stagioni diventano un filo rosso da seguire: seminare, raccogliere, conservare. Ma c’è una vicinanza con gli animali. «La gatta e io eravamo fatte della stessa pasta e ci trovavamo nella stessa barca, trascinate insieme a tutto ciò che viveva, verso le grandi cascate tenebrose. In qualità di essere umano avevo solo l’onore di rendermene conto, senza poter intraprendere nulla per arrestarla» (pag. 134). Anche prendere il fucile e uccidere un capretto e dividerlo con i suoi amici animali è sopportabile. Stranamente, dopo lo smarrimento iniziale, tutto diventa ordinato e rassicurante in quel piccolo mondo. La donna sembra aver raggiunto finalmente una pace interiore nuova. «In sogno metto al mondo dei figli, e non sono solo umani, tra loro ci sono gatti, cani, vitelli, orsi e altre curiose creature pelose… Io sono solo un semplice essere umano, il quale ha perduto il suo mondo e si trova in cammino alla ricerca di un mondo nuovo. Questo cammino è doloroso e ancora lontano dall’essersi concluso» (pag. 156). Naturalmente ci sono dei colpi di scena.
Altro non anticipiamo ma possiamo dire, con le parole della scrittrice, come finisce. «Oggi 25 febbraio, concludo la mia cronaca. Non mi è rimasto un foglio di carta. Ora sono quasi le cinque di sera, ed è già tanto chiaro che riesco a scrivere senza il lume. Le cornacchie si sono levate in volo, e volteggiano gracchiando sopra il bosco. Quando saranno scomparse, andrò nella radura a portare il cibo alla cornacchia bianca. Mi sta già aspettando».
Il mondo sognato da Marlen Haushofer sembrerebbe un mondo di solitudine ma la sua è una visione della natura non più matrigna ma salvifica. Ecologista e femminista ante litteram? A noi il compito di continuare oggi più che mai a proseguire sulla strada da lei tracciata.

Marlen Haushofer
La parete
Edizioni e/o, Roma, 2013
pp. 256
***
Articolo di Luciana Marinari

Insegnante di scuola primaria per quasi quarant’anni, ha conseguito nel 2010 il Master Insegnare italiano agli stranieri presso la facoltà di Lingue di Urbino. Studiosa del pensiero della differenza, ha frequentato seminari di lettura e scrittura con Gabriella Fiori, studiosa di Simone Weil. Relatrice a incontri culturali sul tema della differenza, ha pubblicato articoli su riviste specializzate. Insegna italiano per stranieri presso il comune di Senigallia (AN) dove risiede.
