Continuando il nostro viaggio che si propone di esplorare le relazioni tra madri, padri, figlie e figli, sosteremo a lungo ad Argo, una delle città più antiche del Peloponneso, che prende nome dal mitico fondatore, figlio di Zeus e di Niobe. Il più celebre re di Argo (o di Micene: le due città vengono spesso sovrapposte) è Agamennone, fratello di Menelao, comandante supremo della flotta raccolta per la spedizione che ha per obiettivo la riconquista di Elena — o, più verosimilmente, il controllo di quello che oggi è lo stretto dei Dardanelli, porta dell’Oriente.
Agamennone e Menelao sono figli di Atreo: sulla loro vita aleggia sinistro il ricordo del crimine commesso dal padre che, in lite per il potere col fratello Tieste, lo invita a una cena di riconciliazione e gli offre in pasto le carni dei suoi due figli. Degni discendenti di tale genitore, Agamennone e Menelao, ovvero gli Atridi, come li chiama Omero, concordemente non esitano a sacrificare Ifigenia, figlia dell’uno e nipote dell’altro, sgozzandola sull’altare di Artemide, che impedisce alle loro navi di salpare.
Questo è l’antefatto, una storia molto familiare al pubblico ateniese del 459 a. C., anno in cui Eschilo vinse con la trilogia nota già dall’antichità come Orestea: il nucleo conflittuale della vicenda, su cui il poeta vuole che il pubblico rifletta, sta infatti nel personaggio di Oreste, unico figlio maschio di Agamennone, dilaniato dalla scelta di assolvere al compito di vendicare il padre assassinato dalla madre uccidendo a sua volta quest’ultima o sottrarsi con ignominia ad esso.
Nella tragedia che apre la trilogia, l’Agamennone, non c’è un vero e proprio conflitto: la sorte del re appare già decisa e il poeta si limita a metterne in scena il compimento. La vera protagonista dell’opera è infatti Clitennestra, moglie di Agamennone, presentata fin dai primi versi come una donna dal cuore maschio e che tale si dimostra fino in fondo, senza arretrare neppure davanti alla consapevolezza di poter soccombere per mano del figlio. Le vicende degli Atridi sono ampiamente evocate dalle parole del coro, costituito dagli anziani cittadini di Argo, ma restano sullo sfondo e funzionano, se mai, come funesto presagio di nuovi orrori.
Clitennestra è sorella di Elena, o meglio è la sua sorellastra, perché, se la madre è la stessa Leda che aveva ammaliato il re degli dei, pronto a trasformarsi in cigno per unirsi a lei, il padre invece è Tindaro, un semplice mortale. Ma Clitennestra è anche cugina di Penelope. Questa doppia parentela comporta l’implicito confronto con le due eroine in relazione alle virtù principali richieste a una donna — pudicizia, fedeltà al marito, cura della casa e dei figli — e al comportamento che ne consegue, cui Penelope si conforma ed Elena si sottrae.
Eppure la sovrana di Argo non assomiglia a nessuna delle due: sarebbe ingenua una lettura che ne facesse semplicemente un’adultera, come la moglie di Menelao, che il coro evoca più volte, attribuendole la responsabilità della guerra più rovinosa del mondo antico: nei racconti che ce ne tramandano il mito — con l’eccezione notevole dell’ode di Saffo a lei dedicata — Elena appare priva di una volontà sua, è puro strumento nelle mani di Afrodite e s’identifica tutta nella sua bellezza, il suo unico attributo notevole.
Dell’aspetto esteriore di Clitennestra, invece, nulla ci viene detto, come del resto di quello di Penelope. Ed è proprio a Penelope che paradossalmente Clitennestra può essere accostata. Ne è prova il fatto che Eschilo usi per lei, o per i suoi pensieri, lo stesso aggettivo che troviamo costantemente associato alla sposa di Odisseo: períphron, vale a dire intelligente ,accorta, astuta. Cioè non succube degli uomini e nemmeno degli eventi, ma capace di guidarli, quegli eventi, nella direzione a lei più utile.
Nell’attesa del ritorno del suo sposo, un’attesa lunga, per lei, solo dieci anni, Clitennestra non si è limitata a custodire la casa, come cagna fedele, a organizzare il lavoro delle ancelle e a respingere ogni opportunità di un nuovo matrimonio: al contrario di Penelope, ella ha assunto tutte le funzioni che spettano al signore della casa. Glielo riconoscono, mostrando nei suoi confronti il rispetto e il timore che ispira la figura di un re, sia gli anziani argivi che la sentinella posta a guardia dei segnali di fuoco. E non ha esitato a scegliere un nuovo compagno per il suo letto: Egisto, un uomo che è, non a caso, figlio di quel Tieste orrendamente beffato da Atreo, cui offre l’opportunità di vendicare il padre collaborando all’assassinio di Agamennone.
Per garantirsi il successo in un’impresa tanto rischiosa, Clitennestra ha fatto buon uso delle armi che sa maneggiare una donna, la pazienza e la capacità di dissimulazione; e ha mantenuto vivo il desiderio di vendicare la figlia Ifigenia che il legittimo marito le ha strappata dalle braccia con l’inganno. Poi ha predisposto con cura ogni dettaglio del suo piano: ha allontanato Oreste, il figlio maschio; ha messo una sentinella a guardia del mare, inventandosi un ingegnoso sistema di segnali di fuoco, per essere informata precocemente della fine della guerra; ha preparato gli oggetti necessari: un tappeto di porpora e una scure – o, secondo alcune versioni, una spada, presa in prestito da Egisto.
Infatti il suo cuore, dicono gli anziani di Argo, è capace di volere, di decidere e progettare, di prevedere e attendere, doti precipuamente maschili: alla donna sono attribuite impulsività e sconsideratezza. Il suo amore materno è tutto indirizzato alla vendetta e la soddisfazione del suo piacere rinviata. Può essere paragonata a una regale leonessa, veloce e coraggiosa quando va a caccia per i suoi cuccioli… altro che cagna!
Soprattutto Clitennestra è una vera artista — o un vero uomo — nell’uso della parola: di volta in volta è sincera, poi reticente, raramente falsa, ma soprattutto è capace di sfruttare abilmente le ambiguità del linguaggio per dire senza rivelare, per argomentare e convincere, per adulare e blandire. È maestra nel maneggiare il logos, la parola che dà voce al pensiero razionale, la lingua dei filosofi e non soltanto il mýthos, la lingua delle donne, capaci al massimo di raccontare favole. Così, quando Agamennone sbarca, tra lui e la regina si svolge una lunga battaglia verbale, in cui lei veste di volta in volta i panni della donna disincantata che non ha più né riserbo, né lacrime, si fa beffe di chi le ha tante volte annunciato la morte del marito, e, senza parere, previene ogni domanda sull’assenza del figlio Oreste: «O cittadini, anziani cittadini di Argo, non ho pudore di parlare davanti a voi dei sentimenti per il mio uomo: col tempo il ritegno svanisce per tutti. La vita ho imparato a conoscerla direttamente, non dai racconti di altri, perciò posso dirvi delle mie difficoltà nel lungo tempo che lui è stato sotto le mura di Ilio. Per una donna è dolore e sventura stare a casa da sola, lontana dal suo uomo, ad ascoltare continuamente le voci che arrivano, sempre più cattive […] molte volte hanno dovuto salvarmi dai lacci cui mi ero impiccata, tirandomi giù a forza. Per questo non è qui nostro figlio, il pegno della nostra unione: Oreste non è qui come dovrebbe, ma non meravigliarti: lo ospita e lo alleva un caro amico, Strofio, in Focide. Fu lui a mettermi in guardia da un doppio pericolo: tu rischiavi di morire sotto le mura di Troia e qui avrebbero potuto scoppiare dei tumulti popolari, se si diffondeva la notizia della tua morte: chi cade viene calpestato. Quanto a me, le sorgenti delle lacrime si sono prosciugate. Vegliando la notte fino a tardi, mi sono rovinata gli occhi a cercar di scorgere quel segnale di fuoco che non arrivava mai; e a piangere per te; se mi addormentavo bastava il ronzio di una zanzara per svegliarmi e il dolore cresceva intorno a me […]. Ora scendi da quel carro, ma non voglio che i tuoi piedi poggino sulla nuda terra: tu hai conquistato Ilio! Ancelle, cosa aspettate? Stendete tappeti lungo il suo percorso, come vi è stato ordinato. Subito, qui, la via sia coperta di porpora. Dike [personificazione della giustizia] lo accompagni alla casa cui non sperava di giungere. Io non mi lascerò vincere dal sonno e mi occuperò del resto, perché tutto si compia, secondo giustizia, con l’aiuto degli dei». Eschilo, Agamennone, vv. 855 — 913.
Agamennone esita e appare quasi infastidito dal lungo discorso di Clitennestra, che sembra sopportare solo perché è stato assente da casa per tanto tempo; le lodi da parte della moglie, d’altra parte, gli paiono scontate, si aspettava che fosse la città ad accoglierlo con grandi onori. E c’è qualcosa nell’offerta della porpora che non lo convince: il lusso attrae le donne, i barbari, non un rude soldato come lui. Infine, teme l’invidia degli dei, pronti a colpire chi troppo s’innalza: «Figlia di Leda, custode della mia casa, io sono stato lontano a lungo e tu hai fatto un lungo discorso… e va bene. Ma onore e lodi dovrebbero venirmi da altri. Non offrirmi mollezze, come se fossi una donna; non rivolgerti a me come se fossi un barbaro, spalancando la bocca con grida di omaggio e prostrandoti ai miei piedi. E non suscitare l’invidia stendendo ai miei piedi tessuti preziosi: agli dei soltanto spettano questi onori. Ti chiedo di venerarmi come uomo, non come dio» Ivi, 914 — 925.
Ma messo alle corde dalla capacità dialettica di Clitennestra, alla fine Agamennone cede e si avvia verso il palazzo sul tappeto di porpora. Lei lo attende sulla soglia, in un audace rovesciamento del simbolismo del rito nuziale: superata quella soglia, il re si troverà inerme e nudo nelle sue mani e il suolo si ricoprirà presto del rosso del suo sangue. Sulla scena arriveranno solo le sue urla disperate che chiedono aiuto, invano: gli anziani che le sentono perdono tempo a discutere tra loro su come interpretarle, come reagire e alla fine non muovono un passo.
Chi invece entra risoluta nel palazzo, pur consapevole della fine che l’attende, è un’altra donna di statura eccezionale: Cassandra, la figlia di Priamo, sacerdotessa di Apollo, che avendo rifiutato l’amore del dio, è stata da lui punita con la condanna a non essere creduta quando profetizza il vero: l’unica ad aver visto chiaramente l’inganno del cavallo e la fine di Troia.
Di lei si è invaghito Agamennone, sensibile al fascino delle fanciulle: come si ricorderà, l’ira di Achille da cui prende le mosse il racconto dell’Iliade, è provocata dall’arroganza del figlio di Atreo, che gli porta via la schiava Briseide, dopo che è stato obbligato a restituire al padre quella assegnata a lui, Criseide. Anche Cassandra fa parte del bottino di guerra, una delle tante donne destinata, come è costume, alle voglie del vincitore: Agamennone non dubita neppure per un istante di avere il diritto di far entrare la principessa in casa, al suo seguito, come concubina: nessuna moglie osa opporsi alla tradizione.
Ma per una moglie come Clitennestra l’arrivo di Cassandra rappresenta l’estremo oltraggio e la rafforza nel suo desiderio di vendetta. Una vendetta che rivendica con orgoglio, senza tremare, davanti agli anziani della città: «Per mano mia è caduto. Io l’ho ucciso, io lo seppellirò. E sarà sua figlia Ifigenia che lo accoglierà e lo abbraccerà come si deve» Ivi, 15551 — 1555.
Quanto a Egisto, Eschilo lo fa entrare in scena solo dopo il compimento del duplice assassinio, a sottolinearne l’irrilevanza. A lui, tuttavia, che si presenta con arroganza, millantando meriti che non ha, e prefigurando una signoria superba, gli argivi sembrano intenzionati a ribellarsi. Sarà di nuovo Clitennestra a risolvere il conflitto, scongiurando la rivolta, e promettendo di governare la città secondo giustizia a lei, benché sia una donna; i sudditi sono disposti a riconoscere il kratos: parola che racchiude in sé l’idea di forza e quella di potere.
In copertina: Clitennestra tenta di risvegliare le Erinni mentre il figlio viene purificato da Apollo. Cratere apulo a figure rosse, 480—470 a.C., Louvre (particolare).
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Articolo di Gabriella de Angelis

Docente di latino e greco nei licei e nei corsi dell’Università delle donne Virginia Woolf, si è dedicata alla rilettura dei testi delle letterature classiche in ottica di genere. All’Università di Aix-Marseille ha tenuto corsi su scrittrici italiane escluse dal canone. Fa parte del Laboratorio Sguardi sulle differenze della Sapienza. Nel Circolo LUA di Roma intitolato a Clara Sereni, organizza laboratori di scrittura autobiografica.
