Editoriale

Carissime lettrici, carissimi lettori,

la settimana che ci divide dall’ultimo numero di Vitaminevaganti.com e ci apre a questo quarto appuntamento con la rivista è segnato da parecchi episodi che devono farci riflettere, per l’ennesima volta. Proprio sabato scorso il piccolo feto di plastica esibito a gadget al Congresso delle Famiglie di Verona ha tenuto l’attenzione delle cronache puntando, secondo noi con molto cattivo gusto, a un dubbio scuotimento delle coscienze a discapito soprattutto delle donne, e particolarmente di quelle donne che hanno scelto, mai a cuor leggero, di interrompere la gravidanza. Ci sentiamo di chiamare questo gesto come un gesto “osceno” nel suo significato primo, obscenus, di cattivo augurio e, aggiungerei, di cattivo auspicio per la parità, per la libertà, per la pace di tutte e di tutti.

Tra domenica e lunedì scorso sono morte due donne, ancora una volta per mano maschile. Sono state uccise, nelle due isole più grandi del nostro Paese, in meno di quarantotto ore l’una dall’altra, mentre la Rai, nella seconda serata di domenica, raccontava in tv l‘assurda e triste storia di Vincenza Avino, il cui compagno, dopo averle sparato, ha annunciato il suo gesto con una sorta di vittoria crudele, anch’essa oscena, ai parenti e agli amici della vittima, telefonando con il cellulare stesso della donna. In questi giorni si è ritornati anche a parlare ancora di Desireé, la ragazzina trovata morta in un palazzo abbandonato di San Lorenzo, il quartiere che ospita la più grande e la prima università romana. Qui, e ora è stato confermato, la giovanissima ragazza di Latina ha trovato la morte dopo un mix di droghe, ma anche di abusi sessuali perpetrati su di lei da tre uomini,. Di loro non ci interessa il colore della pelle o  la religione, se ne praticavano una, ma guardiamo, abbiamo il dovere di guardare con spavento, alla loro violenza voluta e al disinteresse ad aiutare la loro vittima quando si sono resi conto che Desireé, ad appena 16 anni, stava morendo. Dobbiamo fermamente condannare chi ha anteposto il proprio bisogno di farla franca alla vita, oltre a quello di soddisfare i propri istinti più infimi. Sempre contro la vita, quella vera, reale, palpabile, davanti a noi.

Nella cronaca di questa settimana spicca un episodio che lascia spazio allo stupore e all’incredulità. Il fatto non è accaduto in questi giorni, ma nel mese di febbraio, a Torino. Un ragazzo cammina lungo i Murazzi del Po, va verso il lavoro, con la musica per compagnia, che sente attraverso gli auricolari, e forse l’asseconda con l’espressione del viso, come quando si sente una canzone con piacere, come capita spesso. Viene ucciso, con un taglio netto alla gola e l’assassino si perde nel nulla, o si mimetizza perfettamente tra la gente, seppure fosse un  sabato mattina, nonostante i tanti palazzi che si affacciano sul fiume, al centro della città. Nessuno  ha visto, nessuno risponde alla lettera messa dai genitori nelle cassette della posta degli appartamenti lì intorno. Ora, martedì scorso, l’assassino si è costituito dicendo:  “L’ho fatto perché ho visto che era felice”!  Ha raccontato che non sopportava più il peso di ciò che aveva compiuto, seppure prima di costituirsi sembra si sia fermato a mangiare hamburger e patatine. Ora, andando avanti nella settimana, si è saputa anche l’orribile e altrettanto incredibile notizia della “dimenticanza” della Corte d’appello di Torino, per cui forse l’assassino a febbraio doveva stare già da tempo in carcere. Amara la sorte, orribile se evitabile!

La felicità come motivo per indurre la morte violenta di un’altra persona, colpisce. Dostoevskij il grande anticipatore della psicanalisi, fece progettare dai suoi personaggi degli omicidi, una serie di “omicidi filosofici”, “giustificati” per pulire il mondo da “un pidocchio” (come nel caso della vecchia uccisa sotto i colpi d’accetta dallo studente Raskol’nikov) o del padre dei Karamazov, vittima per il suo carattere dispotico. Ma la punizione con la morte per la felicità il grande scrittore russo non l’aveva contemplata. Il diritto alla felicità, direi quasi il dovere che l’umanità ha verso la sua conquista, è il motivo che sta alla base di queste enormi migrazioni verso le Terre del benessere, per cui tante donne, tanti uomini, ma anche tanti ragazzini e ragazzine rischiano la morte (e spesso la trovano) nel deserto e nelle acque del Mediterraneo. La mano di un uomo spesso si arma per interrompere (e qui ritorna il tema del femminicidio, lessicalmente non contemplato nel sostantivo “omicidio”) la felicità riconquistata di una donna, anche togliendo la vita al suo nuovo amore. Questo pian piano sembra essere il movente più credibile del delitto, ora castigato, dei Murazzi. Ancora una volta contro una donna, trasversalmente. Ma i brividi ci assalgono quando veniamo a sapere che l’assassino della condanna “dimenticata” passa ancora per la sofferenza di una donna: violenza contro la sua ex compagna!

Triste, e per tanti versi raccapricciante, la storia che viene da Roma, la più recente. Le donne, gli uomini, ma soprattutto i bambini e le bambine (circa 35/40) sono i protagonisti di una notizia di cronaca che sta durando da giorni, sporcata (possiamo ben dirlo) dall’odio razziale e dall’intervento di una politica a pieno titolo anticostituzionale. È accaduto nel quartiere periferico di Torre Maura dove è stato trasferito, in un centro di accoglienza, un gruppo di persone di etnia Rom. Sicuramente il disagio, quello ispiratore del famoso e bellissimo film francese del 1992, “La crisi”,  ha giocato un ruolo nella rabbia degli abitanti del luogo, sicuramente entra in gioco  l’eterno contrasto, che urge risolvere, tra chi vive a una delle Saint Denis del mondo (in periferia) e chi sta comodamente a Neuilly nella sponda “luxury “ di una qualsiasi città. Un compito che spetta alle istituzioni, che hanno l’obbligo di risolverlo.

E invece a Torre Maura si è consumato l’ennesimo delitto contro l’umanità, il rifiuto della diversità in modo assoluto, violento, arrivando alla minaccia di morte, seppure (ma è grave lo stesso) solo verbale, all’incendio di macchine, ai toni alti negli insulti e ancora nelle minacce, alle braccia alzate in segno di saluto romano, all’inneggiamento del fascismo, senza che nessuno prendesse provvedimenti contro questa serie di atti dichiaratamente anticostituzionali.

Un episodio dei fatti di Torre Maura, un atto reiterato nei giorni, passato davanti alle telecamere dei telegiornali e agli occhi di chi assisteva in diretta o in modo mediatico a ciò che stava accadendo, cattura l’attenzione e ne diventa, secondo noi, un amaro e metaforico simbolo. I panini (quelli del primo giorno della contestazione) e il pane affettato, che era stato destinato da parte dei volontari soprattutto ai bimbi e alle bimbe della comunità appena trasferita, sono stati presi a calci e schiacciati sotto i piedi da chi non voleva queste persone come “vicini” o presenti in quel luogo.

Tutto questo ci rimanda all’articolo su De André apparso sulla nostra rivista la settimana scorsa,  per conferma che i poeti sono sempre attuali. “versò il vino e spezzò il pane”: qui il pane viene spezzato sotto i piedi, negato, offeso per offendere e negare i destinatari. Mi viene in mente un ricordo dell’infanzia, quando mi dicevano di baciare il pane caduto a terra per rimediare e farsi perdonare l’atto ritenuto offensivo contro la divinità.  Quei panini buttati a terra, presi a calci, tra braccia tese in segno di saluto fascista e auto date alle fiamme negano l’evangelicità essenziale del Faber/moderno Cristo laico, nella loro politicizzata risposta a chi diceva: ”ho sete, ho fame”. E anche il De André visitato qui questa settimana è improntato sul perdono e sull’amore, ma anche sull’accoglienza, di un Dio che asciuga le lacrime o fa entrare in paradiso tutti i suicidi (come Tenco, grande amico del poeta). Un ragazzino quindicenne, di quelli che il Cristo diceva di non toccare se non come offesa diretta a lui stesso, ha scosso la gente. Prima è stata una voce isolata, che ha interrotto con la sola forza della sua idea di ragazzo, ha interrotto una diretta video di un esponente della rivolta. Poi la voce è rimbalzata sui social e sui media. Pian piano poi la voce giovanile raccoglie consensi tra gli abitanti di questa abbandonata periferia romana e in molti “umanizzano” le loro posizioni. Insomma come Greta, la ragazza che si oppone al degrado dell’ambiente Terra, di cui qui abbiamo parlato a lungo, la speranza sta nelle ragazze e nei ragazzi che sembra si stiano impegnando a salvare da sole/i il loro mondo.

Un altro ragazzino, figlio di una famiglia proveniente da una delle tante periferia del mondo, dalla quale si deve fuggire per non morire di fame, è il protagonista di un’altra storia recente (vedi articolo), nata su un autobus, a Crema, in territorio lombardo. L’articolo non si sofferma tanto sul fatto in sé, terribile e che poteva spezzare l’esistenza di cinquantuno giovani vite, ma dà uno sguardo sulle polemiche e sul ridicolo cambiamento di rotta per “convenienza elettorale” del ministro degli interni, nonché vicepresidente del Consiglio, che prima dice un fermo (e oserei dire arrogante nei modi) ”No” al conferimento della cittadinanza al piccolo Ramy, attore vincente del salvataggio, e poi, sentendo (ahinoi, anche lui “di pancia”) il vento contrario dell’opposizione popolare, cambia bandiera e va addirittura a trovare a scuola quel bambino egiziano che nel momento del rischio mortale, ha chiamato la mamma e, d’istinto, ha esternato la sua paura in italiano! Chissà se il ministro leghista si sarà accorto di questo tra le polemiche!!!

Alla cronaca densa di questa settimana appartengono anche le dimissioni di Lucetta Scaraffia (vedi articolo), coraggiosa direttora di Donne chiesa mondo, il periodico legato all’Osservatore Romano, rea di aver contestato la mentalità maschile che voleva dettar legge e “mitigare” certe posizioni nette prese da questa novella Cassandra e dalla sua redazione.

Tante altre storie di donne si dipanano tra gli articoli presenti in questo numero della rivista. Donne di ieri, illustri, ma anche di oggi, non meno illustri e sicuramente combattive e volonterose a far sì che il loro nome, se di valore, rimanga nella Storia umana. Ci sono le musiciste, le mediche militari, le ricercatrici, le artiste. Alle musiciste, alla meravigliosa numerosissima loro presenza nei tempi dell’umanità è dedicato l’articolo che ci avvisa della quarta giornata di studio sull’argomento organizzata a Roma (11 aprile) dal dipartimento di Scienze dell’Educazione di Roma Tre e dalla Fondazione Teatro Palladium. Delle musiciste si parla anche nella recensione del libro che ne racconta la storia e la loro validissima presenza nel corso del XIX secolo. Le donne laureate in medicina sono entrate in tante e preparatissime nell’esercito ancora prima dell’anno 2000 quando di legge viene aperta la carriera militare alle donne.

Tre donne fantastiche ci trascinano nelle loro rispettive storie per condurci per mano verso le sorelle dei giorni nostri: tra studiose che donano all’umanità cerotti in grado di accelerare la guarigione delle ferite o insegnanti capaci di invogliare le ragazzine di oggi a non temere di eccellere nella matematica, contro ogni stereotipo. Poi uno sguardo alla cronaca della più importante Fiera, qui annunciata la settimana passata,  riguardante i libri per ragazze e ragazzi e appena chiusa a Bologna. Continua il viaggio tra le riviste d’avanguardia per vedere e rivedere il mondo in un flusso d’arte e invenzione da uno sguardo tutto al femminile. Cinque fantastiche sorelle sono le protagoniste del film recensito questa settimana “Mustang”.

E i maschi? Ci sono. Cominciando dal nostro Alfabetiere che affronta, insieme alla quarta puntata, la corrispondente lettera dell’alfabeto: la “d”, come Danza. Una situazione imbarazzante,  dove lo stereotipo colpisce l’uomo. Il ragazzo che si sente portato alla danza è sicuramente un gay, una femminuccia con tutta l’accezione negativa inclusa in questo sostantivo. Qui inizia il triste bilanciamento dello stereotipo verso la donna, che può danzare, semmai, ma non tirare di box: roba da uomini!

 

Editoriale di Giusi Sammartino

IMG-20190303-WA0028Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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