Lenin aveva avvertito il Comitato centrale del PCUS che Stalin sarebbe stato un uomo pericoloso, troppo brutale e per niente attento. Ma di fatto era stato già lo stesso Lenin a spianare la strada a uno Stato fortemente autoritario con la repressione a Kronstadt, l’istituzione della Ceka e dei gulag e la messa al bando di tutti i partiti d’opposizione. Dopo la morte di Lenin e l’esilio di Trozkij la brutalità di Stalin si rivela senza limiti.
Con l’attivazione dei piani quinquennali, i contadini che durante la NEP avevano svolto piccoli commerci vengono letteralmente sterminati in quanto «nemici del popolo», «traditori borghesi», «parassiti» e «sabotatori». Solo nel 1930 si contano quattordicimila manifestazioni antistaliniste, tutte represse nel sangue nonostante la larga partecipazione di donne e di persone disarmate. Durante il periodo staliniano la mortalità nelle campagne sale intorno al 10%.
Alle donne non vengono riconosciuti il diritto all’aborto e al divorzio: come in Italia sotto il Fascismo, la «vera madre sovietica» deve fare tanti figli per alimentare l’industria e l’esercito e sottostare al marito-lavoratore perché – parole di Stalin – «avere gli stessi diritti non esenta la donna dal grande e nobile dovere di procreare». E i lavori casalinghi e la cura della prole non esentano la donna dal lavoro extradomestico. Dunque lo Stato sovietico, pur incitando l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, non risolve il sessismo di base nell’economia e nella società. Il mito della madre non sottrae le donne alla repressione in caso siano parenti di «traditori» o non abbiano denunciato presunti tradimenti. Nonostante la miseria delle campagne, i film e i manifesti della propaganda sovietica si riempiono di immagini di famigliole felici e pasciute donne rurali.
Religiosi e artisti sono condannati a morte con l’accusa di aver diffuso idee borghesi e antisocialiste. Nella categoria dei «parassiti» rientrano anche omosessuali, viaggiatori, persone senza fissa dimora e Rom. Nell’URSS di Stalin una persona accusata di un reato e poi assolta è ritenuta amministrativamente colpevole di un crimine e quindi «pericolosa per la società» anche se giuridicamente un tribunale l’ha dichiarata innocente.
Tra fame e repressione, le vittime sono talmente tante da creare malcontento persino tra i vertici del Partito. Gli anni Trenta sono contrassegnati dalle cosiddette «grandi purghe», epurazioni all’interno dello stesso PCUS. Con l’accusa totalmente falsa di «complotto ai danni dello Stato, tradimento, cospirazione antisocialista e intesa con il trozkismo», vengono uccisi tutti i vecchi dirigenti bolscevichi che hanno fatto la Rivoluzione insieme a Lenin.

Il punto finale di questa situazione porta a un livello in cui la polizia segreta e i tribunali speciali prendono il sopravvento sullo stesso partito e diventano del tutto incontrollabili: finché in Unione Sovietica regna il terrore puro, sganciato da qualsiasi reale posizione ideologica.

Articolo di Andrea Zennaro
Andrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.
