Denunciare la pericolosa situazione mondiale caratterizzata sempre più da conflitti e sostenere il disarmo nucleare; rifondare le Nazioni unite tra cui il Consiglio di Sicurezza, il Consiglio di Sicurezza Ambientale e il Consiglio di Sicurezza Socio-Economica; creare le condizioni per un pianeta sostenibile; implementare il piano di riduzione della fame nel mondo; eliminare le discriminazione di qualsiasi tipo e promuovere la cultura della nonviolenza come metodo d’azione: questi sono gli obiettivi della seconda Marcia mondiale per la Pace e la Nonviolenza (2019-20) che, partendo da Madrid, percorrerà Africa, America, Oceania, Asia, Europa per tornare a Madrid l’8 marzo, Giornata internazionale della donna. Tra le varie tappe, a febbraio del 2020 ci sarà l’arrivo dell’équipe base mondiale che, dopo aver circumnavigato tutto il Pianeta, entrerà in Italia da Trieste attraversandola da est a ovest e da nord a sud, prima di ritornare nella città di partenza; probabilmente ci sarà anche un percorso secondario che partendo dalla Puglia sarà rivolto verso il Medioriente per poi arrivare nei Balcani.
La prima Marcia partì nel 2009 da Wellington nella Nuova Zelanda e attraversò parimenti tutti i continenti e circa 100 nazioni, tra cui l’Italia dal 7 al 12 novembre; si concluse il 2 gennaio 2010 a Punta de Vacas in Argentina.
Dunque, con la Risoluzione A/RES /61/271, dal 2007 le Nazioni Unite hanno deciso di consacrare proprio il giorno della nascita di Gandhi, il 2 ottobre, alla nonviolenza e come dichiarato dal pensatore Mario Rodriguez Cobos (ovvero Silo) fondatore dell’Umanesimo Universalista e ispiratore della prima Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza: «È urgente creare coscienza per la pace e il disarmo. Ma è anche necessario risvegliare la coscienza della Nonviolenza Attiva che ci permetta di respingere non solo la violenza fisica, ma anche ogni forma di violenza economica, razziale, psicologica, religiosa e di genere.»
Gandhi, infatti, propose la nonviolenza non solo come via personale di salvezza, di cammino intimo e di stile di vita ma anche come un messaggio profondo della spiritualità di ogni popolo: una forma collettiva di lotta popolare dalla quale è nato un metodo politico scientifico e ripetibile, un rivoluzionario impulso di cambiamento sociale.
È però evidente che, mentre in vaste aree del pianeta molte popolazioni soffrono a causa della mancanza di cibo e acqua, le spese per gli armamenti aumentano poiché gli Stati si ostinano a utilizzare la guerra per risolvere i conflitti e l’elabo-razione della satyagraha, la “resistenza passiva”, ossia la tattica di disobbedienza non-violenta adottata da milioni di indiani per opporsi al dominio britannico senza alcun ricorso all’uso delle armi, da realizzazione di un’utopia sembra diventata all’opposto pura distopia. Lo stesso Gandhi nel 1947, all’indomani dell’indipendenza dell’India, nuovo Stato tutt’altro che unito a motivo della presenza di popolazioni con culture, religioni e lingue molto diverse tra loro, assistendo alla separazione pure sanguinosa del Pakistan, a maggioranza musulmana, cercò di pacificare le parti ma, appunto, fu assassinato nel gennaio nel 1948 da un estremista: la sua spiritualità nonviolenta attirò l’estremismo della violenza.
«Un pianeta migliore è un sogno che inizia a realizzarsi quando ognuno di noi decide di migliorare se stesso» diceva il Mahatma (Grande Anima) o, come preferiva, il Bapu (Padre), che non vinse mai il premio Nobel ma che nel suo ricordo vede da dodici anni soprattutto in questa Giornata pensare e agire creativamente per ribadire che il potere delle autorità dipende dal consenso della popolazione: la nonviolenza punta a indebolire tale potere, qualora ingiusto, attraverso il rifiuto del consenso e della collaborazione.
Il futuro, nella memoria di questo principio fondamentale, è dunque nell’attivismo di chi non si arrende e continua a sognare.
Articolo di Virginia Mariani
Docente di Lettere, unisce all’interesse per la sperimentazione educativo-didattica l’impegno per i temi della pace, della giustizia e dell’ambiente, collaborando con l’associazionismo e le amministrazioni locali. Scrive sul settimanale “Riforma”; è autrice delle considerazioni a latere “Il nostro libero stato d’incoscienza” nel testo Fanino Fanini. Martire della Fede nell’Italia del Cinquecento di Emanuele Casalino.