Il voto alle donne, la Repubblica e la Costituente, il trionfo della Democrazia Cristiana
Dopo la cacciata dei tedeschi e la definitiva sconfitta del fascismo, l’esercito angloamericano resta in Italia fino a che la situazione politica della penisola non sarà tornata stabile e sotto controllo. Tra giugno e dicembre del 1945, finita l’emergenza della guerra, il governo viene affidato prima a Ferruccio Parri, ex capo della Resistenza e figura importante del Partito d’Azione, poi a Ivanoe Bonomi, liberale antifascista già a capo del CLN durante la Resistenza. Sotto il governo Parri vengono introdotte importanti modifiche, come il diritto di voto alle donne in occasione delle elezioni amministrative, le prime dopo la dittatura. Nell’esecutivo sono presenti e collaborano insieme tutti i partiti che hanno fatto la Resistenza, come concordato con la svolta di Salerno.
Per giugno del 1946 è previsto il referendum istituzionale: si deciderà se mantenere la monarchia o istituire la repubblica. Il governo di Washington ha dichiarato che accetterà il verdetto del popolo italiano qualunque esso sia. Dopo che il re è scappato al Sud nel momento più difficile della guerra lasciando la popolazione senza punti di riferimento e l’esercito senza ordini, la credibilità di casa Savoia è ormai gravemente compromessa. In contemporanea con il referendum, si voterà anche per le elezioni: se rimarrà in vigore la monarchia le elezioni formeranno il nuovo Parlamento, se invece vincerà la repubblica dalle urne uscirà la composizione dell’Assemblea incaricata di scrivere la nuova Costituzione. Il 9 maggio, meno di un mese prima della consultazione, Vittorio Emanuele III, il re responsabile del fascismo e della partecipazione italiana in entrambe le guerre mondiali, abdica in favore del figlio Umberto II e si ritira a vita privata in Egitto. È l’ultimo disperato tentativo di salvare la faccia e il trono.
Ma non basta. Al referendum del 2 giugno 1946, la prima tornata elettorale nazionale svolta a suffragio universale maschile e femminile, vince la Repubblica. Vince con un largo margine al Nord, che si è sentito tradito dalla fuga del re, mentre la monarchia mantiene un buon vantaggio al Sud e specialmente in Puglia, dove Sua Maestà si era rifugiato. Alcuni monarchici denunciano brogli e irregolarità nel voto; a Napoli, città a maggioranza monarchica con forti simpatie sabaude, sorge una rivolta antirepubblicana contro una sede comunista, rivolta cui la polizia risponde a raffiche di mitragliatrice causando alcuni morti. Ma gli Stati Uniti non appoggiano i moti filosabaudi. Umberto II, offeso, si reca in esilio nella casa estiva in Portogallo, meta scelta anche per evitare la Spagna, che avrebbe confermato le sue simpatie verso il regime di Franco, della cui ascesa al potere l’Italia ha grandi responsabilità.
Alle elezioni della Costituente la maggioranza dei voti, non assoluta ma comunque netta e significativa, va alla Democrazia Cristiana (DC), sostenuta dagli Stati Uniti e guidata da Alcide De Gasperi, che diventa capo del governo di transizione. Sono rilevanti per numero di voti anche il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP) e il Partito Comunista Italiano (PCI) di Palmiro Togliatti, tanto che se il PCI e il PSIUP si fossero presentati come lista unica avrebbero superato la DC. Sono presenti nella Costituente anche l’Unione Democratica Nazionale, il Fronte dell’Uomo Qualunque, il Partito Repubblicano Italiano e il Partito d’Azione. Quest’ultimo, laico e anticlericale, antiliberista e fortemente di sinistra, rompe con il PCI proprio per i legami con l’URSS. Togliatti, ministro della Giustizia, rifiuta di concedere l’amnistia ai prigionieri politici del Partito d’Azione arrestati durante la Resistenza, concedendola invece a molti altri detenuti, inclusi numerosi ex fascisti tra cui il generale Mario Roatta accusato di gravi crimini di guerra, in particolare in Grecia e in Albania.
Nella Costituente sono presenti soltanto 21 donne (9 democristiane, 9 comuniste, 2 socialiste e una dell’Uomo Qualunque) su un totale di 556 membri dell’Assemblea, tutte contrassegnate da un importante ruolo svolto durante la lotta partigiana.
Proprio il tema delle donne apre alcune polemiche. Nell’Italia monarchica lavoravano quasi solo gli uomini (tranne durante le guerre, in cui le donne venivano usate come tappabuchi per ricoprire i posti lasciati dagli uomini che erano al fronte ma poi non ottenevano il giusto riconoscimento della fatica svolta), quindi le donne passavano molto più tempo in chiesa o intente a svolgere i lavori domestici: ciò le ha tenute più lontane dalla propaganda socialista e comunista, presente soprattutto nelle fabbriche, e più esposte a quella cattolica conservatrice. Secondo molti esponenti della sinistra istituzionale italiana, se le donne non avessero votato nel 1946 avrebbero vinto i comunisti e i socialisti anziché la Democrazia Cristiana, che ha premuto per l’allargamento del suffragio elettorale proprio in quanto ne sarebbe uscita favorita. Ma la rivoluzione in Italia non ci sarebbe stata comunque: in primis per la presenza nella penisola dell’esercito americano e in secondo luogo perché Stalin continua a non volere rivoluzioni in Occidente e Togliatti, con la svolta di Salerno del 1944, ha accettato di entrare nelle istituzioni borghesi un tempo tanto disprezzate.
La Costituzione della Repubblica italiana che entra in vigore nel 1948 è il frutto del compromesso tra il pensiero socialista, quello liberale e quello cattolico. Abolisce i titoli nobiliari e affida allo Stato il compito di rendere effettiva l’uguaglianza sostanziale delle cittadine e dei cittadini, che non sono più chiamati sudditi, mentre lo Statuto Albertino si limitava a sancire un’uguaglianza formale senza preoccuparsi in nessun modo di renderla reale e concreta; la nuova Carta istituisce un Parlamento formato da due Camere entrambe elettive (mentre il Senato del Regno era di nomina regia) e con identici poteri e un sistema elettorale proporzionale; stabilisce inoltre che i governi risponderanno non al capo dello Stato ma alle Camere: lo scopo è evitare che un solo partito possa governare da solo, in maniera da impedire che si ripetano situazioni simili a quella che ha generato il fascismo.
Il monaco Giuseppe Dossetti, linguista esperto di storia e letteratura francesi entrato nell’Assemblea con la Democrazia Cristiana, propone di inserire nella Carta costituzionale il diritto alla resistenza, appena applicato contro il fascismo, riprendendolo dall’articolo 35 della Costituzione giacobina del 1793 che teorizzava il diritto-dovere all’insurrezione nel caso il governo violasse i diritti del popolo; è Togliatti ad affossare questa proposta sostenendo che la resistenza se serve viene da sé e non c’è bisogno di scriverla su carta.
A giugno del 1947, durante i lavori della Costituente, i ministri comunisti vengono espulsi dal governo subito dopo il rientro di Alcide De Gasperi da un viaggio a Washington: ora il comunismo è ufficialmente nemico delle democrazie occidentali. È finita l’unità antifascista aperta con la svolta di Salerno.
Il 1 gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione repubblicana. Lo stesso giorno il liberale Enrico De Nicola assume provvisoriamente la carica di Presidente della Repubblica e Alcide De Gasperi quella di Presidente del Consiglio dei Ministri fino alle prime elezioni politiche, che si terranno il 17 aprile dello stesso anno.
Le elezioni del 1948 determinano la struttura dell’Italia repubblicana.
Vince la Democrazia Cristiana superando il 48% dei voti. Il PCI e il PSIUP sono candidati in un’unica lista con il nome di Fronte Democratico Popolare ma non superano il 30%. Alcide De Gasperi forma il nuovo governo insieme a liberali e repubblicani. La DC trionfa alle urne dopo una massiccia campagna morale contro l’ateismo dei comunisti e il divieto in vigore in Russia di praticare culti religiosi, temi che hanno spaventato la popolazione non istruita, prevalentemente povera, meridionale e contadina: la Chiesa proclama addirittura la scomunica automatica per i comunisti italiani. Non volendo o non potendo puntare alla rivoluzione, le forze della sinistra hanno tentato la strada della democrazia borghese e hanno perso credito, il Sol dell’Avvenire è definitivamente tramontato: invece della “rossa primavera”, le elezioni dell’aprile 1948 confermano che le speranze rivoluzionarie sono spente, mentre è forte il potere clericale. Lo slancio politico dato dalla Rivoluzione d’Ottobre è esaurito e i vertici del partito nato dall’internazionalismo bolscevico hanno accettato la sconfitta elettorale e intendono sottostare alle regole istituzionali. E questa scelta non è stata premiata: rispetto alle elezioni del 1946 per la Costituente, i partiti del Fronte Democratico Popolare hanno perso complessivamente quasi un quinto dei consensi.
A partire dalla primavera del 1948, il nuovo Presidente della Repubblica è il liberale Luigi Einaudi. È il primo a completare il regolare mandato di sette anni. Solo dopo la formazione definitiva e l’insediamento stabile del governo De Gasperi, l’esercito americano lascia la penisola.
Le elezioni del 1953 confermano la situazione e anzi la rafforzano: la DC ottiene quasi il doppio dei voti del PCI, che stavolta si candida da solo e supera i socialisti. D’ora in avanti il PCI sarà il principale partito d’opposizione in Parlamento alla DC, maggioritaria fino alla fine del secolo.
Articolo di Andrea Zennaro
Andrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.