
In una bellissima scena del film The Hours, tratto dall’omonimo romanzo a firma dello scrittore statunitense Michael Cunningham – a sua volta ispirato, nella trama e nello stile, alla prima stesura di Mrs. Dalloway intitolata appunto Le ore – Virginia Woolf, interprete Nicole Kidman, e il marito Leonard, alias Stephen Dillane, conversano a proposito del libro che lei sta scrivendo, che sarà dato alle stampe nel 1925:
Leonard: «Nel tuo libro – hai detto – qualcuno deve morire. Perché?».
Virginia: «Qualcuno deve morire affinché noi tutti possiamo attribuire più valore alla vita. È una questione di contrasto».
Leonard: «E chi morirà?»
Virginia: «Il poeta morirà. Il visionario».
In questo dialogo è infuso un tema ricorrente nella vita e nelle opere della scrittrice, ossia la morte. La consapevolezza che tutto può finire in un attimo è probabilmente intrecciata agli avvenimenti che hanno scandito la sua vita: la morte della madre, delle sorelle acquisite, poi del padre, infine dell’amatissimo fratello Thoby e del nipote Julian Bell, figlio della sorella Vanessa. Sparisce letteralmente il protagonista de La stanza di Jacob, muore la signora Ramsey in Al Faro, Percival ne Le onde, Septimus Smith si procura la morte in Mrs. Dalloway.
In quest’ultimo romanzo – la passeggiata che ha cambiato la storia della letteratura – una mattina di metà giugno, Clarissa Dalloway esce per andare a comprare i fiori per la festa che si sarebbe tenuta la sera stessa nella sua casa. Il flusso dei suoi pensieri andrà a costruire la storia, non più scandita da una trama, bensì dalla dialettica delle ore: un insieme di istanti, attimi, percezioni, perché «La vita è ciò che si vede negli occhi delle persone». L’intero romanzo copre il lasso temporale di una giornata: Woolf riuscirà a racchiudere la vita intera di una donna in un giorno e in quel giorno la sua vita intera. Durante il party, Clarissa apprende del suicidio di Septimus. La fine istantanea di questa giovane vita, di una persona che lei nemmeno conosce, irrompe nella sua realtà e la farà riflettere:
«Oh…nel bel mezzo della mia festa, ecco la morte […] Era, in certo modo, un’infelicità, una vergogna; era il suo castigo, essere condannata a veder scomparire qui un uomo, là una donna, come ingoiati dalle tenebre, e dover restare in piedi, così, vestita da sera».
È possibile cessare di esistere da un momento all’altro, quindi la morte è parte della vita. Questo giovane aveva fatto la guerra. E sì, la vita può diventare intollerabile.
La vita era diventata intollerabile anche per Virginia Woolf: il 28 marzo 1941 uscì di casa, si diresse verso il fiume Ouse, nei pressi di Monk’s House, la sua residenza di campagna nell’East Sussex, si riempì le tasche di sassi e si lasciò annegare.

Molto si è parlato delle crisi da cui era affetta, della malattia mentale che oggi potremmo definire una sorta di sindrome bipolare. Eppure, nel mondo che mi piace pensare, credo che lei abbia scelto quel «senso di libertà illecita» oltre la realtà mortifera, oltre all’insana tendenza a disintegrarsi che in quegli anni stava affliggendo l’umanità e che perdura nel mondo presente. Paradossalmente, quel gesto fu un atto d’amore per la vita, una scelta simile a quella di molti altri autori e artisti che nello stesso periodo decisero di resistere così alla barbarie del nazifascismo. La morte dell’artista è a ben vedere necessaria: un atto politico prima che esistenziale. La dittatura nazista, la censura, la minaccia della seconda guerra mondiale, ancora morte: inaccettabile per chi ha fatto della scrittura, e più ampiamente dell’arte, la sua vita. Scrivere per Woolf è un modo per trasformare la realtà, e di certo non avrebbe potuto farlo durante i bombardamenti che stavano distruggendo la sua amatissima Londra.
Per lungo tempo si è riletta la sua vita e la sua opera all’ombra della sua morte. Eppure vi sono delle bellissime testimonianze di chi ha avuto il privilegio di conoscerla, raccolte nel volume Virginia Woolf e i suoi contemporanei, edito da Il Saggiatore per le cure di Liliana Rampello, in cui si dà una descrizione efficace della sua persona, solare e ironica, che smonta la narrazione che si è fatta di lei incentrata sulla depressione e sulla morte:
«Cosa rendeva Virginia Woolf la compagnia più incantevole al mondo? La vitalità? Sono molti i conversatori vivaci. La sensibilità? Vi sono molti ascoltatori sensibili. L’entusiasmo? Ce n’è parecchio anche di quello. La comprensione? L’immaginazione? L’ingegno? L’ironia? La cultura? Il cervello? Si esita a dire che ne esiste anche di questo, ma non è nemmeno troppo raro incontrarlo. Eppure in Virginia Woolf si sono combinati in modo da fare una persona così rara e incantevole che è impossibile incontrarla da qualsiasi altra parte, quindi ricevere da lei una cartolina con sopra scritto “Vieni e a trovarmi” era come ricevere un biglietto gratis per un qualche eccitante divertimento […]».
Con il volo della sua mente ha insegnato a tutti e tutte: agli scrittori, la ricerca della propria voce, attraverso un processo generativo, costruttivo e non di rottura; a noi donne, scrittrici e non, ha illuminato la strada, attraverso testi che oggi possiamo considerare fondanti la contemporanea riflessione sulla “questione femminile”.
In Una stanza tutta per sé ha rivendicato la necessità per le donne di possedere una stanza, quindi uno spazio, e cinquecento sterline l’anno, una rendita, per poter praticare la scrittura. Per prima ha intrecciato quindi la libertà intellettuale alle cose materiali, riconoscendo a una stanza un valore politico. Ha invocato la necessità per le donne di accedere alle professioni, perché solo attraverso l’indipendenza economica si può avere un libero pensiero. Solo una mente scevra dalla dipendenza materiale si può liberare dal condizionamento culturale della società patriarcale. Solo le Estranee, nome della società che auspicava le donne fondassero – un nome coerente con l’esperienza di esclusione delle donne, perché estranee a quella Storia, a quella cultura – possono aiutare gli uomini a prevenire la guerra, come teorizza nel saggio Le tre ghinee: non a dispetto bensì in virtù di quella esclusione, possiamo guardare il mondo da una prospettiva altra e diversa e fornire una visione differente della società. E ci ha suggerito anche il modo in cui farlo: ricostruendo la propria genealogia femminile, per imparare a pensare attraverso le proprie madri.
Recuperare l’agito femminile nei secoli è necessario per creare una storia delle donne, non con la esse maiuscola, ma molteplice, radicata nell’esperienza, che non parli il linguaggio degli uomini ma che ne crei uno nuovo, assieme a nuovi metodi. Ci ha insegnato che si può lottare senza armi, praticando l’esercizio della mente, fabbricando delle idee differenti e di felicità: «Ma perché le idee siano efficaci, dobbiamo essere in grado di accendere la loro miccia. Dobbiamo metterle in azione. Lottare mentalmente significa pensare contro la corrente, e non a favore di essa». Occorre quindi abbandonare i sentimenti sterili di odio e di paura perché bloccano ogni esercizio del pensiero, e dedicarsi ad attività più onorevoli, come la lettura. Anche in questo caso, ci ha consigliato il modo in cui leggere un libro: leggere è solo il primo passo, dobbiamo confrontarlo con il più grande libro della sua specie, solo così possiamo scegliere in modo assolutamente anarchico, senza fidarci della critica.
Ci ha insegnato che la libertà ha un costo: Judith, l’immaginaria sorella di Shakespeare potrà vivere in ognuna di noi e praticare la sua poesia solo se noi lavoreremo per lei, attraverso impegno, sforzo, studio e costanza. La libertà di pensiero è un diritto ma anche una grande responsabilità.
Ci ha insegnato infine l’arte come mezzo per indagare l’esperienza umana: raccontare la vita dall’interno per capire ciò che è comune e non personale. «Qual è allora il significato della vita?» si chiede Lily Briscoe, la pittrice in Al Faro: «Tutto lì, una domanda semplice, che si faceva più pressante con gli anni. La grande rivelazione non era mai arrivata. La grande rivelazione forse non arriverà mai. C’erano invece piccoli miracoli quotidiani, illuminazioni, fiammiferi accesi inaspettatamente nel buio». Il significato della vita non esiste in modo assoluto, ma esiste uno squarcio della realtà, un’illuminazione, il «momento d’essere». Un qualsiasi oggetto della vita quotidiana ci restituisce in un attimo il suo senso vero, che se messo in parola diventa visione: «Ah, il segno sul muro, era una chiocciola!», conclude la protagonista del racconto Il segno sul muro, dopo essersi abbandonata al flusso dei pensieri a partire da quell’immagine, che all’inizio le sembrava una traccia lasciata da un chiodo.

Virginia Woolf immaginava il paradiso come la possibilità di leggere, senza fine. Non credeva ovviamente nel paradiso cristiano. Le sue ceneri sono infatti state sparse, assieme a quelle del marito, nel giardino di Monk’s House, ai piedi di due olmi intrecciati (che ora non ci sono più ma che saranno ripiantati in breve tempo) che lei stessa aveva ribattezzato Virginia e Leonard.

Ed è così che mi piace pensarla: come una sensibilità luminosa, vasta, gregaria, immersa negli oggetti solidi della vita quotidiana, sempre pronta a illuminarci con dei bagliori improvvisi, attraverso le sue parole. Leggere Woolf è come “ri-vedere” ogni cosa per la prima volta. Come ha notato Liliana Rampello nella sua introduzione alla raccolta di racconti Oggetti Solidi, Woolf ci indica «La cosa che non avevamo ancora visto, che non avevamo mai capito, tanto è immensa, tanto è vera, è lì, ancora capace di abbagliarci dopo un secolo». Perché chi scrive, chi scrive così, attraversa lo spazio e il tempo e vive per sempre nelle sue parole. Oltre la morte. Non è forse questa la più grande forma d’amore per la vita?
LETTURE CONSIGLIATE
Virginia Woolf, La Stanza di Jacob [1922], Mondadori, Milano 1956
Virginia Woolf, La signora Dalloway [1925], Mondadori, Milano 1946
Virginia Woolf, Al faro [1927], Treves, Milano 1934
Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé [1929], Einaudi, Torino 1995
Virginia Woolf, Le onde, [1931], Mondadori, Milano 1979
Virginia Woolf, “Come dobbiamo leggere un libro?” [1932], Voltando pagina. Saggi 1904-1941, a cura di Liliana Rampello, Il Saggiatore, Milano 2011
Virginia Woolf, Le tre ghinee [1938], La Tartaruga, Milano, 1975
Virginia Woolf, “Pensieri di pace durante un’incursione aerea” [1941], Voltando pagina. Saggi 1904-1941, a cura di Liliana Rampello, Il Saggiatore, Milano 2011
Liliana Rampello (a cura di), Virginia Woolf e i suoi contemporanei, Il Saggiatore, Milano 2002
Michael Cunningham, Le ore, Bompiani, Milano 2006
Virginia Woolf, Oggetti solidi.Tutti i racconti e altre prose, a cura di Liliana Rampello, Racconti Edizioni, Roma 2016
Articolo di Eleonora Camilli
Eleonora Camilli è nata a Terni e vive ad Amelia. Nel 2015 consegue la Laurea Magistrale in Italianistica presso l’Università Roma Tre, con una tesi in Letteratura Italiana dedicata a Grazia Deledda. Dedita allo studio della letteratura e della critica a firma di donne, sommelière e degustatrice AIS ‒ Associazione Italiana Sommelier ‒ conduce anche ricerche e progetti volti a coniugare i due settori.