Sapore di povertà

Appartengo ad una generazione che ha conosciuto le ristrettezze e, in qualche frangente, la fame. Ho ancora il ricordo di una sera con mia madre, mia sorella e mio padre, in cui ci guardammo negli occhi in macchina, avendo capito che avevamo in tasca 700 lire per la cena, e alla fine ci dividemmo in quattro tre supplì e una crocchetta di patate, acquistata con la giunta delle 50 lire, che mi erano rimaste in tasca, della mancetta della nonna.
Ma il ricordo della fame per me è la pasta e patate, una minestra povera, di poca spesa e di grande soddisfazione. Con una grossa patata, un pezzetto di cipolla, un pomodoro, ma piccolo, solo per la “puzza”, e due etti di cannolicchi, era cena.
Ricordo che, in un periodo di particolare povertà, eravamo finiti a vivere in una località di campagna e che ogni giorno andavamo a fare la spesa in un negozietto a un chilometro da casa. Una passeggiata a piedi di cui conservo il ricordo, come del cane che ci salutava abbaiandoci tutti i giorni, due volte al giorno e che a me faceva una paura nera. Ricordo anche che mio padre era assente in quel periodo. Scoprii anni dopo che era chiuso insieme ad altri in una fabbrica occupata e che noi facevamo la spesa della patata e dei cannolicchi con i soldi della colletta sindacale.
Poi, dopo il magro acquisto, marcia indietro fino a casa con gli odori di menta, di finocchietto e di erba che mi riempivano il naso.
A questo punto bastava tagliare a dadini la cipolla e farla rosolare, metterci dentro il pomodoro tagliato finissimo, così si distribuiva bene, un po’ per ciascuno, salare e una volta tirato il fondo, buttarci dentro le patate tagliate a dadini di uno o due centimetri di lato. Dopo cinque minuti di bollore mettere giù la pasta e cuocere. Se ne fate di più, per lasciarla e rimangiarla fredda, la pasta sia cotta al dente, così non si squaglia raffreddandosi.
Consiglio della nonna: la minestra è tale perché si fa brodosa, secondo la convinzione così che l’acqua in più aiuti a diluire anche la fame.
E se vi piace soddisfare anche il naso ricordatevi, nella passeggiata di ritorno, di portarvi a casa un po’ di quegli odori che vi hanno accompagnato nel viaggio dal pizzicagnolo. Oppure pepe, di nascosto dalla nonna.

 

 

Articolo di Fabrizio Samorè

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Sposato, quattro figli che vanno, che tornano, che si perdono ormai nel mondo. Camperista ogni volta che si può. Una famiglia di cucinieri a vario livello e in vari luoghi del mondo, una passione per la buona tavola che non ha mai voluto trasformare in “mestiere”. Dirigente sindacale, mescolato con le battaglie sui diritti delle donne fin dalla pubertà.

 

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