Pioniere e architettrici italiane del Novecento

La professione dell’architetto è stata da sempre appannaggio maschile: la prima donna europea a conseguire una laurea in architettura fu, nel 1890, la finlandese Signe Hornborg (Turku, Finlandia, 1862 – Helsinki, 1916), che però non ha mai potuto firmare i suoi progetti. In altri Paesi solo intorno al secondo ventennio del Novecento le facoltà politecniche furono aperte alle donne. Negli Stati Uniti fino al 1972 la maggior parte delle facoltà di architettura si rifiutavano di accettare donne ai loro corsi di studio, e per avere la prima donna vincitrice del Premio Pritzker, il Nobel per l’Architettura, istituito nel 1979, bisognerà aspettare il 2004, quando venne attribuito a Zaha Hadid. Comunque, anche quando riuscivano a laurearsi, trovavano maggiore occasione di impiego nel design e nell’arredamento di interni, piuttosto che nella progettazione di edifici.
Era opinione comune che l’architettura fosse poco adatta a una donna, anche per le difficoltà legate alla vita di cantiere. Mussolini in un suo discorso del 1927 affermò: «La donna è estranea all’architettura, che è sintesi di tutte le arti; essa è analitica, non sintetica. Ha forse mai fatto l’architettura in tutti questi secoli? Le si dica di costruirmi una capanna non dico un tempio! Non lo può». E proprio mentre Mussolini elogiava la donna massaia, angelo del focolare e genitrice di razza, molte di loro si diedero un gran da fare in quel campo: non ebbero vita facile, erano accusate di non osare, di essere attente solo agli spazi familiari; in realtà favorirono un’architettura dalle linee semplici e pulite, funzionale, sensibile alla luce, notevole per la chiarezza dei progetti.

1. Le pioniere

Sophia Hayden (Santiago, 1868 – Winthrop, Massachusetts, 1953)
Prima architetta americana, si laureò al Mit nel 1890, con lode e con un anno di anticipo. Vinse il concorso per il Woman’s Building all’Esposizione Universale di Chicago del 1892-93: l’edificio fu apprezzato per “delicatezza di stile, gusto artistico ed eleganza degli interni”. Ricevette un decimo di quanto avevano ricevuto gli altri architetti per gli altri padiglioni della stessa Expo e nella direzione dei lavori fu affiancata da un collega maschio, in quanto era inconcepibile per una donna stare in cantiere. Delusa, si ritirò dall’architettura.
Nella foto il gruppo di studenti di architettura al MIT, nel 1888. Sophia Hayden è la prima a sinistra.

Fig.1_Gruppo di studentesse di architettura al Mit nel 1888
Il gruppo di studenti di architettura al MIT nel 1888

Eileen Gray (Enniscorthy, 1878 – Parigi, 1976)
Irlandese d’origine ma francese d’adozione, nacque come designer. La sua opera più famosa è la casa E.1027, una villa moderna su una scogliera in Costa Azzurra, progettata per il compagno architetto Jean Badovici. Il nome stesso è un regalo d’amore: la E sta ovviamente per Eileen, il 10 è la J di Jean, il 2 la B di Badovici e il 7 la G di Gray. Tutto è stato calcolato in ogni dettaglio, l’esposizione, la vista, gli arredi creati ad hoc, come la poltrona Bibendum e la lampada Tube. Le Corbusier, invidioso, sembra abbia desiderato umiliare la collega architetta, quando, ospite di Badovici, volle realizzare sulle pareti immacolate della casa una serie di otto murales alludenti alla bisessualità della donna.

Fig.2_Casa E1027_Eileen Gray
Casa E-1027, Eileen Gray

Margarete Lihotzky (Vienna, 1897-2000)
Si diplomò alla Scuola Professionale d’Arte di Vienna, dato che non era ancora consentito l’accesso alle donne alle accademie e alle scuole politecniche, che fu liberalizzato solo nel 1920. Progettista e militante politica, inventrice nel 1926 della Cucina di Francoforte, prototipo della cucina componibile che ancora oggi utilizziamo, si dedicò alla costruzione di case, in particolare per donne sole e con figli, e alla realizzazione di edifici scolastici di cui disegnò anche i mobili.

Fig.3_La cucina di Francoforte_Margarete Lihotzky
Cucina di Francoforte, Margarete Lihotzsky

Genia Averbuch (Smila, Ucraina, 1909 – Tel Aviv, 1977)
Emigrò con la famiglia in Palestina quando aveva due anni. Ha studiato a Roma e si è laureata in architettura a Bruxelles. Tornata a Tel Aviv, aprì uno studio e, a soli venticinque anni, vinse il concorso per Piazza Zina Dizengoff, una delle poche intitolazioni femminili della città (Zina fu la moglie del primo sindaco di Tel Aviv e promosse l’arte e la cultura nella giovane città), progettò numerosi condomini e ville urbane, collaborando con altri architetti, per soddisfare l’ondata migratoria degli ebrei, in stile internazionale europeo. Cominciò poi a collaborare con le organizzazioni femminili in Palestina, progettò residenze per donne single a Gerusalemme, villaggi agricoli per bambini e adolescenti rifugiati della Shoah.

Fig.4_piazza Dizengoff_Genia Averbuch
Piazza Zina Dizengoff

2. Le architettrici italiane

In Italia gli storici del settore hanno trascurato per tanto tempo la presenza femminile, e d’altra parte le stesse architette, lavorando al fianco di mariti o all’interno di gruppi, e non firmando i progetti, sono consapevolmente rimaste nell’ombra.
A Milano, nel 1928, si laurearono, nella sezione speciale per architetti della Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano, Carla Maria Bassi, (Milano, 1906 – 1971) ed Elvira Luigia Morassi (Gorizia, 1903 – 2002). A Torino, nel 1938, concluse gli studi alla Regia Scuola Superiore di Architettura Ada Bursi (Verona, 1906 – Castiglione Torinese, 1996).  Nel 1930, a Napoli, al Regio Istituto Superiore di Architettura si laureò Stefania Filo Speziale (Napoli, 1905-1988)
Elena Luzzatto (Ancona, 1900 – Roma, 1983)
Prima donna in Italia a laurearsi in architettura nel 1925, cominciò a lavorare nell’Ufficio Tecnico del Comune di Roma e fino al 1934 fu assistente alla Scuola di Architettura di Roma. Pioniera del Razionalismo in Italia, progettò edilizia residenziale, villini, palazzine, case popolari, e anche opere pubbliche: un villino a Ostia per il gerarca fascista Giuseppe Bottai, il cimitero Flaminio, detto di Prima Porta, fabbricati rurali coloniali a Genali (Somalia), sanatori e ospedali, chiese e scuole, negozi e mercati. Tra le opere pubbliche realizzate sono tuttora in funzione a Roma il Mercato coperto di piazza Alessandria, e la Scuola media di Villa Chigi a Roma, ora Scuola Contardo Ferrini.

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Mercato via Alessandria, Roma, Elena Luzzatto

Lina Bo (Roma, 1914 – San Paolo, Brasile, 1992)
Laureatasi a Roma, a Milano iniziò a collaborare con lo studio di Gio Ponti. Attivista del Partito comunista italiano, partecipò alla Resistenza e nel 1945 contribuì a fondare il Movimento Studi Architettura (Msa), prima di trasferirsi definitivamente in Brasile con il marito Pietro Maria Bardi. Qui costruì la sua prima opera, la Casa de Vidro, sua residenza e ora sede della fondazione a lei dedicata: seminascosto ai margini della foresta tropicale nella periferia di San Paolo, l’edificio è una palafitta sospesa, in rispettoso rapporto con la natura che la circonda. Il Masp, Museo di Arte moderna di San Paolo del Brasile resta una delle sue opere più conosciute: concepito come un colossale ponte di vetro, sospeso tra due enormi travi di cemento dipinte di rosso, ospita, sotto, una piazza pubblica e, sopra, l’open space per le esposizioni.

Fig.6_Casa de Vidro, Lina Bo
Casa de Vidro, Lina Bo

Franca Helg (Milano, 1920 – 1989)
Laureatasi al Politecnico di Milano, cominciò a lavorare già prima di laurearsi. Nel 1951 si associò con Franco Albini, uno dei principali esponenti del Razionalismo, e, come docente universitaria, fu prima assistente all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia (Iuav), poi docente al Politecnico di Milano. Le sue caratteristiche erano sicurezza e rapidità di decisione, cura del dettaglio, curiosità per materiali e colori, attenzione agli elementi caratteristici del paesaggio. Il suo stile, pur rimanendo fedele al Movimento Moderno di matrice razionalista, non ne propone l’imitazione sterile di modelli, ma ne condivide essenzialmente il metodo rigoroso.
Ha progettato e realizzato abitazioni private, edifici scolastici, strutture commerciali. Nella creazione di oggetti di design, fu attenta all’aspetto artigianale della manualità, indugiando su stoffe, vetri, argenti, veri protagonisti delle sue opere, cercando l’eleganza attraverso la semplicità.

Fig.7_Grandi magazzini La Rinascente,Roma_Franca Helg
Grandi magazzini La Rinascente, Roma, Franca Helg

 Gae Aulenti (Palazzolo della Stella, 1927 – Milano, 2012)
Gaetana, dal nome della nonna, nata nella provincia di Udine da una famiglia meridionale, dopo la laurea al Politecnico di Milano, iniziò la sua formazione professionale con Ernesto Nathan Rogers, poi dal 1953 collaborò con Olivetti, occupandosi di architettura d’interni, arredamento, design e progettazione degli spazi di mostre, showroom e palcoscenici. Abbracciando il Neoliberty per contrastare l’imperante e freddo razionalismo, ritrovava il gusto della decorazione e, convinta che lo stile non poteva prescindere dalla tradizione storica e dalla potenzialità dei luoghi, affiancava ai suoi progetti un accurato lavoro di ricerca storica e letteraria, per armonizzare il nuovo con l’antico. Al suo intervento si devono l’allestimento del Museo d’Orsay di Parigi, la ristrutturazione di Palazzo Grassi a Venezia, delle Scuderie del Quirinale a Roma, della stazione di S. Maria Novella a Firenze, l’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo. Al Museo d’Orsay conservò la struttura originale della stazione ferroviaria, attuando geniali accorgimenti soprattutto per l’illuminazione delle oltre 4000 opere, a cui la luce arriva anche dalla copertura vetrata. Rimangono capisaldi del design la poltrona a dondolo in legno curvato Sgarsul, la lampada Parola, i mobili in tubolare metallico Locus Solus, il Tavolo su Ruote e la lampada Pipistrello.

Fig.8_Musee d'Orsay_Gae Aulenti
Musée d’Orsay, navata centrale, Parigi, Gae Aulenti

 

In Copertina: Museo di Arte moderna, S. Paolo del Brasile, Lina Bo

 

 

Articolo di Livia Capasso

foto livia

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.

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