Lungo lo Zambesi. Il tatto

Caro Enea,
come butta da quelle parti? Qui ha fatto tanto caldo, quando c’è garbino non ci si riesce a muovere, meno male che sto sempre in acqua. Però oggi piove, non si va in spiaggia e così ho tempo per scriverti. Le vacanze stanno finendo, ma questo lo sai pure tu.
Mi è successa una cosa e te la volevo raccontare perché ho preso un po’ di paura, ma non tanta, è una cosa strana e ora te la scrivo.
Ti avevo già detto di Dante? Mi sa di sì, ma te lo racconto meglio. Questo Dante fa il fabbro ed è uguale a Braccio di Ferro. Cioè, proprio uguale, solo che non fuma la pipa, non ha il tatuaggio con l’ancora e non è orbo da un occhio, però un occhio lo tiene sempre strizzato come se ci andasse troppa luce, così che orbo lo pare davvero. Nella sua officina qui sotto, però, che è nerissima, gli occhi li tiene bene aperti tutti e 2 e vedessi con che precisione fa i suoi ferri battuti, che sembrano merletti ma sono fatti a mazzate sull’incudine e quando batte pare una tempesta. Pare che venga giù tutto. Ha avambracci muscolosissimi, come Braccio di Ferro ti dico, e le mani sono dure e ruvide, ma ruvide grosse, e quando al nostro arrivo mi ha salutato (“Ciao Balilla” mi ha detto, 1: perché il mio nome non se lo ricorda mai e 2: si vede che questo Balilla che abbiamo studiato a scuola e che tirava i sassi agli austriaci gli piace) mi ha accarezzato la guancia e ho sentito le sue dita come un sacchetto di iuta pieno di nocciole. Invece stranamente il manico del suo martello che piega il ferro è liscissimo, una volta me l’ha fatto sollevare e pesava un quintale, ed è strano perché è come se tutta la ruvidezza fosse passata dal martello alle sue mani.
Come sai qui a Cattolica stiamo nella vecchia casa della zia Tina, che quando è diventata vedova è tornata a Venezia, e in questa casona ci sta l’appartamento dove siamo noi e quello di Dante (che poi sarebbe il fratello del marito morto di mia zia). Siamo al primo piano, sotto c’è un cortile pieno di ortica e di cacche di galline, col pollaio e un gallo stronzissimo, e adesso ti racconto quello che mi ha fatto. Ma prima ti devo dire che sotto, in cortile, c’è pure un altro appartamento (insomma, “appartamento”, non come quelli di Roma, sono un po’ stamberghe: i muri sono vecchissimi e pieni di crepe, nel nostro non c’è neppure il bagno, ci si lava in cucina e c’è un cessetto fuori sul ballatoio, senza sciacquone, solo un rubinetto e un secchio), ma questo appartamento di sotto l’ho sempre visto chiuso, credo ci abitasse una sorella di Dante che si è sposata e ha una pensione sul lungomare. Questa casa sul cortile mi ha sempre fatto uno strano effetto, la porta è vecchissima e scrostata e le finestre tutte sprangate, pare la casa del mistero.
Insomma, papà è tornato a Roma dopo ferragosto perché aveva finito le ferie e mi aveva regalato dei soldi, così io l’altro giorno sono andato a comprarmi in un negozietto qui vicino due cose bellissime che volevo da tanto: l’anello dell’Uomo Mascherato, quello col teschio, e una pistola ad acqua, rossa, che schizza precisa e lontano. Così dopo pranzo, mentre mia madre faceva il riposino, sono sceso in cortile a fare il tiro a segno con le galline. Quelle sono sceme e quando le spruzzavo facevano “co-co-co” e scappavano via. Ma il gallo mi guardava male e allora ho bagnato anche lui, ma non l’avessi mai fatto! Mi è saltato addosso e ha cominciato a beccarmi e a graffiarmi! Io mi sono spaventato, non sapevo dove nascondermi, quel gallo è enorme e feroce e ho avuto paura! Così mi sono messo a correre e ho sbattuto contro la porta di quella casa misteriosa, e non ci crederai: ma si è aperta! Non era chiusa a chiave, solo accostata. Sono entrato e ho chiuso la porta, il gallo lo sentivo raspare ma poi ha smesso e se n’è andato. Avevo le gambe tutte insanguinate.
Dentro era parecchio buio ma dopo poco mi sono abituato e ho cominciato a vederci qualcosa, le imposte sono totalmente a pezzi e un po’ di luce entrava.
La casa è abbandonata da chissà quanto tempo, i muri sono tutti scrostati e ci sono crepe così grosse che dentro c’entra un dito. Era tutto sporco e pieno di ciarpame. Poi ho cominciato a vedere che sui muri c’erano delle scritte, fatte con un carboncino o roba del genere. Piano piano sono riuscito a leggerle: c’era scritto tante volte DVX e X MAS e poi parole come “Vincere” e “Onore e fedeltà”, e altro che non si capiva. E c’erano disegni di teschi, così ho fatto finta che fosse il rifugio segreto dell’Uomo Mascherato. Poi ho chiuso gli occhi (forse avevo ancora un po’ paura, a te lo posso dire) e mi sono messo a toccare il muro e a tastarlo come se fossi cieco. Ho sentito sotto le mani quelle crepe, così mi sono messo a seguirle con un dito. E sai cosa ho pensato? Che quelle crepe erano fiumi e il dito una piroga e che stavo navigando su un fiume africano. Ti ricordi che l’inverno scorso, quando sei stato tanto malato e venivo a trovarti, ci siamo fatti tutti quei viaggi sull’atlante? Che abbiamo esplorato il Congo il Nilo e lo Zambesi? A me, lo sai, studiare la geografia, con quello strazio della Vitale, non mi è mai piaciuto, bisogna imparare a memoria tutti quei nomi, però così era un’altra cosa. Ti ricordi che mentre seguivamo i fiumi col dito sull’atlante a un certo punto ci sembrava di sentire i versi delle scimmie? Be’, non ci crederai, ma mentre tastavo con le dita e seguivo le crepe le ho risentite. E anche gli uccelli, e il ruggito dei leoni, e i tam-tam lontani, e perfino il grido dell’Uomo Mascherato! Così col mio dito, a occhi chiusi, avanzavo lungo lo Zambesi e stavo bene attento a tenere il centro del fiume, che le rive possono essere pericolose, e quando ho sentito vicine le Cascate Vittoria mi sono fermato, ma il mio dito ha voluto proseguire e ho fatto un meraviglioso volo per le cascate e sono arrivato giù intero e ho ricominciato a navigare. Solo toccando! È stato molto bello.
Dopo un po’ (non saprei dirti quanto) ho sentito un rumore e ho riaperto gli occhi. Per un attimo ho temuto che fosse il gallo, ma poi sulla porta, che si era aperta, ho visto un uomo. Era troppo piccolo per essere l’Uomo Mascherato, infatti era Dante. Io mi sono spaventato, credevo che fosse arrabbiato perché ero entrato nella Casa dei Misteri, e poi perché te l’ho detto che lui è strano (e molto spesso è pure ubriaco, certe volte per giorni, si capisce perché non batte la mazza e mia madre si fa il suo riposino in pace). Ma lui mi ha salutato sorridendo, “Ciao Balilla” mi ha detto, e mi ha fatto un segno come gli indiani, che salutano alzando la mano destra. Allora gli ho risposto anch’io allo stesso modo e lui, che pare un po’ matto ma si accorge di tutto, ha notato il mio anello e mi ha chiesto di farglielo vedere per bene. Quando ha visto il teschio mi ha detto “Bravo Balilla, sei dalla parte giusta”. Poi mi ha chiesto: “Vediamo se sei anche intelligente: pesa di più un chilo di paglia o un chilo di ferro?”. Questa domanda a trabocchetto me l’aveva fatta mio nonno quand’ero piccolo e la risposta la sapevo, ma, quando gli ho detto che erano uguali, Dante si è messo a ridere e poi ha fatto la faccia seria: “No, Balilla, questo è quello che credono tutti, ma noi lo sappiamo che il ferro peserà sempre più della paglia, e lo sai perché?”, io gli ho detto no, e lui: “Perché noi siamo di ferro, non ci pieghiamo, non saremo mai uomini di paglia! Hai capito?”. Io gli ho detto sì, che dovevo dire? E poi “Sei proprio un bravo ragazzino, non come quel patacca di mio figlio” (patacca qui sarebbe “scemo”). Infatti Dante con suo figlio ci litiga sempre. È grande (va in motorino) e d’estate gli dà una mano in officina, ma Dante lo tratta sempre male. Una volta che litigavano, Dante gli ha gridato che era un finocchio e un comunista perché dai suoi amici si fa chiamare Benny, che sarebbe un nome da frocio americano, e non Benito, che sarebbe invece un nome italiano e glorioso. Questo Benny è molto simpatico e non è strano come suo padre anche se è originale: porta i capelli lunghi e dalla sua finestra ogni tanto si sente una musica indiavolata che a me piace molto (ma non si capiscono le parole perché sono in americano) e Dante una volta gli ha fatto volare i dischi dalla finestra, io stavo per strada e così io glieli ho raccolti e glieli ho ridati, e Benny è stato molto contento e mi ha ringraziato e offerto una gomma. Mi ha detto che quando voglio mi fa sentire musica bella, in particolare un complesso che si chiama “I Beatles” e che dice che sono fantastici.
Siamo rimasti là un po’ di tempo io e Dante, e lui parlava. Mi sentivo tanto in imbarazzo e volevo andar via, così gli ho detto che dovevo ancora fare molti compiti delle vacanze, lui mi ha risposto che potevo tornare là quando volevo e che mi avrebbe insegnato molte cose, ma io me ne sono andato e sono tornato su a casa. Mi sono lavato il sangue, poi mia madre si è svegliata e ha visto tutte quelle ferite, si è arrabbiata e me le ha disinfettate con l’alcol (non ti dico quanto bruciava) e ha detto che ero scemo ad andare a provocare il gallo. Poi però, la sera, l’ho sentita litigare con Luisa, la moglie di Dante, che tenesse quella bestia pericolosa sotto chiave nel pollaio e che, già che c’era, pulisse quel cortile che è sempre pieno di merda di gallina e fa schifo e puzza.
L’arrabbiatura le è passata presto. Dopo cena ha ricontrollato le mie ferite e ha detto che andavano bene. Di Dante non le ho detto niente, come ti ho scritto la cosa mi imbarazza e un po’ pure mi spaventa, non so neanche bene perché. Tra pochi giorni torneremo a Roma, mi dispiace tantissimo venir via da Cattolica, ma sono contento che ci rivedremo e ci racconteremo tutte le vacanze.
Ma prima di salutarti (lo so che questa lettera è lunghissima, ma piove e non ho niente altro da fare) ti racconto come è andata a finire la storia.
Quando siamo andati a dormire io pensavo ancora a quel viaggio sullo Zambesi con le dita e ho avuto voglia di tornare lungo il fiume e di navigarlo ancora, così, quando ho sentito che mamma ronfava, mi sono alzato pianissimo. Era scuro, ma ho chiuso gli occhi lo stesso perché volevo il buio completo, e mi sono messo a tastare i muri vicino al mio letto. Toccavo il muro con le mani e poi mi sono appoggiato con tutto il corpo per sentirlo bene. A un certo punto ho trovato una crepa bella grossa e ho capito che ero tornato sullo Zambesi! Era bellissimo: toccando risentivo le scimmie, e le belve che ruggivano, e milioni di uccelli, i tam-tam in lontananza che salutavano il ritorno dell’Uomo Mascherato, pesci che saltavano, liane che si attorcigliavano, rami che si protendevano sull’acqua, una luna enorme. Sentivo le Cascate Vittoria che si avvicinavano e non ne avevo paura: la mia piroga andava sempre più veloce e non vedevo l’ora di volar giù ed ero felice.

 

 

Articolo di Mauro Zennaro

RXPazl9rMauro Zennaro è grafico e insegnante di Disegno e Storia dell’arte presso un liceo scientifico. Ha pubblicato numerosi articoli e saggi sulla grafica e sulla calligrafia. Appassionato di musica, suona l’armonica a bocca e la chitarra in una blues band.

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