Dopo che il presidente Mao lanciò la Rivoluzione Culturale, circolarono in Occidente réportage in cui si descriveva con toni entusiastici la vita nei villaggi cinesi, e molte persone, soprattutto giovani, vollero credere nella palingenesi di una Cina rinnovata dal processo in atto. Quando il sogno si infranse, però, scoprimmo che la realtà era molto meno idilliaca. In seguito arrivarono le notizie (vaghe) del Nuovo Corso e poi degli arresti, dei processi politici e, alla fine degli anni Ottanta, delle proteste studentesche e del massacro di Piazza Tienanmen; ma arrivarono anche quelle della stupefacente crescita economica cinese, e nel 2008 le trasmissioni tv delle Olimpiadi di Pechino diffusero in tutto il mondo l’immagine di un Paese moderno ed efficiente. Non era facile, però, farsene un’idea chiara, stretti/e come eravamo tra la disillusione del mito dissolto e le notizie contradditorie diffuse dai media. La Cina rimaneva un gran punto interrogativo, nonostante gli interventi, spesso di qualità, dei commentatori occidentali che ci informavano sulla sua straordinaria evoluzione.
Mancava, lo capisco ora, un punto di vista interno. Sotto cieli rossi, il libro d’esordio di una giovane giornalista cinese che una recensione positiva mi ha fatto venire voglia di leggere, è certamente servito a diradare la nebbia di incomprensione che ancora avvolgeva, per me, questo affascinante Paese. L’autrice, Karoline (ma il suo vero nome è Chaoqun) Kan, vive ora a Pechino, ma è nata — nel 1989, l’anno della repressione di Piazza Tienanmen — in un piccolo villaggio da una famiglia di agricoltori; frequentare l’Università le ha permesso però di abbandonare il mondo ristretto della provincia e di realizzare il suo proposito di diventare giornalista e scrittrice. Ha collaborato con alcune testate giornalistiche occidentali a Pechino, tra cui il prestigioso “New York Times”, e attualmente lavora per il “China Dialogue”.
Sotto cieli rossi, uscito in lingua inglese, ha suscitato molto interesse da parte della stampa soprattutto americana, che ha apprezzato la capacità dell’autrice di descrivere in modo diretto e coraggioso il suo Paese, il cambiamento in atto e le speranze della sua generazione; «una interessantissima guida “candida”» secondo il “New York Times”. Una testimonianza preziosa, uno sguardo tutto dall’interno da parte di una giovane sorprendentemente simile alle sue coetanee occidentali, che però in Cina ha vissuto e vive, quindi conosce bene anche gli elementi di arretratezza ancora presenti. Ripercorrendo la propria biografia insieme alla storia della sua famiglia, l’autrice ci offre un quadro per tanti versi inedito della storia della Cina moderna nell’arco di 70 anni, dalla fondazione della Repubblica Popolare a oggi, attraverso le vicende di tre generazioni, con una particolare attenzione per le figure femminili, la madre e le nonne, ancora condizionate dalle antiche consuetudini che volevano le donne sottomesse all’autorità di mariti e suoceri, in un sistema famigliare rigidamente patriarcale. Nonna Laolao per esempio aveva evitato per un soffio la dolorosissima fasciatura dei piedi, per fortuna vietata, a metà degli anni Venti, dal nuovo governo rivoluzionario che, deposto l’ultimo imperatore, si riproponeva di portare il Paese nella modernità. L’autrice ci fornisce molte notizie di prima mano su fenomeni poco conosciuti, come certi effetti della politica del figlio unico, oppure la violenta persecuzione contro l’innocua setta buddista Falun Gong, contro la quale il governo ha lanciato una campagna persecutoria fondata su menzogne. Interessante anche il racconto del modo attraverso il quale il regime cerca di creare tra le matricole universitarie un sentimento di lealtà verso il Partito unico: una sorta di addestramento militare che ai nostri occhi, ma anche a quelli dell’autrice, si rivela come un tentativo rozzo e spesso controproducente.
Nel complesso, insomma, appare del tutto centrato l’obiettivo che Karoline Kan definisce nella Nota finale, di raccontare la Cina attraverso la propria esperienza, alle lettrici e ai lettori di tutto il mondo perché «possano avere un assaggio di come siamo diventati, di quello che le nostre famiglie hanno dovuto affrontare per trasformare la Cina nel Paese che è oggi» e nello stesso tempo «mostrare i sentimenti, le decisioni, i compromessi, il coraggio, l’amore e la speranza che condividiamo con i nostri coetanei in tutto il mondo». È anche ben chiaro all’autrice che «la Cina reale non si riduce al ritratto che ne fanno i quotidiani» e che «a livello globale le voci dei ragazzi cinesi, e ancor più quelle delle ragazze, sono spesso ignorate».
Un libro davvero interessante che si legge agevolmente, un punto di vista nuovo e fresco. Assolutamente consigliabile.
Articolo di Loretta Junck

Già docente di lettere nei licei, fa parte del “Comitato dei lettori” del Premio letterario Italo Calvino ed è referente di Toponomastica femminile per il Piemonte. Nel 2014 ha organizzato il III Convegno di Toponomastica femminile. curandone gli atti. Ha collaborato alla stesura di Le Mille. I primati delle donne e scritto per diverse testate (L’Indice dei libri del mese, Noi Donne, Dol’s ecc.).