Chissà se la storia… Sul piacere e sull’utilità delle fonti

La storia come materia scolastica si contende con la matematica — entrambe ingiustamente — lo scettro di disciplina più odiata dagli studenti di vari ordini e gradi. Nel caso della storia, essa viene accusata di essere arida perché solo un elenco, un susseguirsi di date e fatti, quasi sempre guerre e battaglie. Per molti un incubo risalente a infanzia e adolescenza, che riecheggia interrogazioni andate male e nozioni quasi sempre subito dimenticate.

Purtroppo per molti è stato così, complici diversi fattori: dalla formazione delle/degli insegnanti, a non sempre buoni libri di testo, alla scarsa fantasia di autori/autrici e docenti, ma anche alle esigenze scolastiche burocratiche, amministrative, le classi pollaio ecc. che non sempre permettono di realizzare tutto quello che si vorrebbe.

La storia è ben altro e ben oltre date e battaglie e anzi, sentirla definire così, solitamente mi suscita immenso dispiacere e mi blocco, non riesco a spiegare. La storia non è neanche maestra di vita, ma la storia siamo noi: quello che è stato, quello che siamo diventati/e. La storia è l’insieme di tutto quanto è stato fatto dagli uomini e dalle donne che ci sono state prima di noi. Dalle guerre al cibo, dai vestiti ai governi, dalle lettere che si scambiavano, alle foto che si scattavano, a tutto quello che ci può essere in una vita. La storia ci racconta dall’economia domestica a quella planetaria, dalle grandi religioni al modo di pregare del singolo/a. La storia è la collettività. Come è possibile che l’umano, il vissuto, la storia e le storie non suscitino interesse? Sentir raccontare quello che era il nostro mondo prima di noi, rifletterci, immedesimarsi, dovrebbe essere quanto meno divertente, almeno in età scolare.

La storia andrebbe insegnata e studiata prima di tutto con le fonti. O almeno, andrebbe insegnato come leggere una fonte. Questo prima di tutto per rendere la materia più interessante, più fruibile, più appetibile agli occhi e alle orecchie degli allievi; poi perché l’interpretazione della fonte va al di là dello studio della storia, ma dovrebbe essere la prima tra le competenze utili per espletare al pieno i propri diritti e doveri di cittadinanza. Capire un testo, il contesto, il sottotesto, il non detto: questo dovrebbe essere.

Ma che cos’è una fonte? Le fonti sono quelle tracce che gli uomini e le donne del passato hanno lasciato, volontariamente o involontariamente, e che oggi ci sono utili per ricostruire quello che è stato. Gli storici e le storiche di professione le usano per le loro ricerche, per scrivere i libri di storia. Le fonti possono essere scritte, orali, mute, iconografiche.

Una fonte può dunque essere una lettera, un atto notarile, un’intervista, una canzone di protesta, un giornale, una scritta su un muro, un quadro, una fotografia, una favola, una costruzione, un gioiello. Osservando un gioiello le sue caratteristiche possono dirci molto, per esempio, su chi lo indossava e il suo tempo. Chi lo indossava? Solo uomini o solo donne? Perché? In quali occasioni della vita? I colori delle diverse pietre avevano un significato? Quale tipo di significato? Religioso? Scaramantico? Rispondendo già a queste semplici domande si potrebbe avere uno scorcio del tempo in cui quel dato gioiello veniva utilizzato.

E ancora. Leggendo il testo o ascoltando una canzone si potrebbe prima di tutto provare a capirne il significato, le parole nuove e sconosciute, dire molto sull’autore o l’autrice, sul perché l’ha scritta. Chi o che cosa gliel’ha ispirata. Scovando tutto questo potremmo sapere non solo molto sulla persona, sui suoi ideali, le sue gioie e paure, aspettative, la sua storia personale, ma anche su tutto quello che aveva intorno.

Questi sono solo due esempi, semplici, di quello che una fonte potrebbe fare. Sarebbe bello riuscire ad allenare i ragazzi a fare domande, a cercare. A far nascere dubbi e sane dispute sul significato che una fonte poteva avere nel passato. Si potrebbe leggere una lettera d’amore tra due amanti ottocenteschi e cercare di capire dal linguaggio quali fossero i sentimenti e come venivano espressi e partire da lì per, chissà, fare educazione sentimentale. Si potrebbe osservare una foto di famiglia di inizio Novecento, farsi tante domande sullo stile e l’obiettivo dello scatto. A chi volevano farla vedere? Come erano vestiti? Quanti sono? E magari partire da lì per parlare della famiglia ieri e oggi.

Lavorare su fonti e documenti in maniera così capillare, partendo dal significato palese per arrivare a quelli intrinseci potrebbe essere utile come esercizio per altre materie e per la vita, soprattutto stando agli allarmanti dati che parlano di un terzo degli studenti e delle studentesse italiane incapaci di comprendere a pieno un testo scritto.

Chissà se a risolvere questo problema non sarà, in un giorno neanche troppo lontano, proprio la storia. Oltre al fatto che potremmo capirla meglio, anche la storia delle grandi battaglie, sapendo perché quel giovane quella lettera l’ha scritta proprio così.

Nella foto di copertina: Elaborazione di Anker Grossvater erzählt eine Geschichte 1884, by Albert Anker, Zürich 1980. Licensed under Public domain via Wikimedia Commons.

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Articolo di Sara Rossetti

SARA ROSSETTI FOTO.jpg

Sara Rossetti ha conseguito un dottorato in Storia politica e sociale occupandosi di migrazioni femminili nel Novecento e un master in didattica dell’italiano a stranieri. È coautrice di “Kotha. Donne bangladesi nella Roma che cambia” (Ediesse, Roma, 2018). Si occupa di intercultura, migrazioni passate e presenti, didattica dell’italiano a stranieri, questioni di genere e opera come formatrice su questi temi. Lavora inoltre come insegnante.

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