I scena
Siamo nel corridoio fra le aule di un Istituto scolastico superiore.
Irrompe Mariella, una studente di quinta liceo, rappresentante di classe, con un cellulare in mano, sta chiamando qualche compagna, dopo che è uscita dal consiglio di classe. È molto eccitata: «Ehi raga, è una bomba! È appena terminato il consiglio di classe e ho una notizia fresca da darvi: la prof ci porta ad Amsterdam! Il viaggio di istruzione si farà! Non ci crederete: una quinta ad Amsterdam non la porta nessuno; siamo tutti/e maggiorenni e quindi… Libere. Libere di entrare nei coffee shop, ma ci pensate? Nooo, datevi una calmata, la finalità del viaggio, oltre al museo di Van Gogh, sarà la visita a un campo di concentramento fuori Amsterdam! Ma sì, sapete che la prof è un po’ fissata con le donne ebree! Domani in classe ci parlerà di una donna ebrea olandese che poi è finita nel campo. No, non è Anna Frank, è una un po’ più grande di lei… Certo che il collegamento con Storia per gli esami è fatto! Ciao raga, ci vediamo domani… per ora mi raccomando acqua in bocca!»
II scena

All’indomani la prof spiega alla classe: «Care ragazze, cari ragazzi, di certo non potete sapere cosa il Consiglio ha deciso per il vostro viaggio d’istruzione: si andrà ad Amsterdam! Visiteremo la città, il Museo di Van Gogh, ma anche e soprattutto vi ho preparato un incontro, con una ragazza, di età poco più grande di voi: Etty Hillesum, olandese. Si trovava ad Amsterdam durante l’occupazione tedesca, fu rinchiusa in un campo di concentramento per ebrei olandesi e, infine, deportata ad Auschwitz. Come tanti altri del resto, di cui non si sa nulla se non i nomi che le ricerche ebraiche hanno fornito.
Lei lasciò un Diario, scritto fitto fitto, dal 1941 al ‘42 e molte lettere fino al 1943; vennero pubblicati solo 40 anni più tardi e oggi i suoi scritti sono tra i libri più letti nel mondo. Cosa c’è di speciale in lei, mi chiederete? Etty non ci dà notizie storiche, ma parla di sé, della sua trasformazione interiore; è un diario psicologico che poi, pian piano, diviene spirituale. È terapeutico per lei e può esserlo anche per chi lo legge. Oggi vi darò qualche informazione su di lei, poi, a piccoli gruppi, farete degli approfondimenti sui vari aspetti che emergono: aspetti di natura storica, come la presenza così numerosa degli ebrei in Olanda, l’occupazione nazista, il campo di Westerborg e le successive deportazioni in campi di stermino, la figura di Julius Spier e suoi legami con Jung, le specifiche letture di Etty quali Rainer Maria Rilke, Agostino, il vangelo di Matteo, la Bibbia stessa, gli autori russi come Dostoevskij.

Eccovi alcuni cenni biografici: nasce a Middelburg nel 1914, dopo un’infanzia e adolescenza a Denver, Etty si trasferisce ad Amsterdam per frequentare l’università, si laurea in giurisprudenza, ma le sue vere passioni sono la letteratura, la filosofia, la psicologia, la poesia. Nel 1940 è vittima, insieme ad altri 140.000 ebrei, dell’invasione nazista nei Paesi Bassi. Amerebbe divenire scrittrice e l’occasione le viene offerta da Julius Spier, ebreo tedesco di Berlino che le viene indicato da un’amica come terapeuta. Etty infatti ha dei disturbi, ha un umore mutevole, spesso si sente depressa, è bulimica, cambia con frequenza gli amori, è frenetica e poi passiva e si cura ingerendo Aspirine.
L’incontro con Spier, allievo di Jung, che lei poi chiamerà solo S., le cambia la vita. Con lui inizia una terapia che comprende aspetti corporei, letture, passeggiate, colloqui, ascolto di musica. Dalla grande intesa che si crea tra i due, nasce l’amore, nonostante la grande differenza d’età. Nel settembre del ’42 lui muore di cancro, proprio il giorno prima del suo arresto. È lui che le ha aperto le porte interiori all’incontro con il Dio che abita ognuno e che consente di superare l’odio, anch’esso presente in ciascuna persona, poiché bene e male convivono in ciascuno. Etty sa vedere il gelsomino accanto alla pozzanghera, sa entrare nel profumo dell’uno e nel dolore dell’altra.
Oggi Etty è considerata una mistica: sappiate che le/i mistici hanno i piedi ben piantati per terra, per questo vede sopra, per questo ha una visione così ampia… Ma andiamo a conoscerla da vicino, ad Amsterdam, dove vedremo la casa dove Etty scriveva i suoi quaderni e poi ci recheremo in autobus al campo di Westerbork dove visiteremo il museo e cammineremo nelle vie dove lei ha camminato, dove un tempo c’erano le baracche, oggi ormai distrutte e dove rimane solo il binario del famigerato treno che portava, ogni martedì, un determinato numero di prigionieri verso i campi di sterminio».

III scena
Proviamo a entrare, con l’immaginazione, nella stanza dove Etty si rifugiava a leggere e a scrivere. La vediamo, seduta alla sua amata scrivania, guardate… c’è anche il gelsomino, se ne sente il profumo… Ascoltiamo qualche pagina di Diario, letta da una sua amica, Maria Tuinzing, colei che conserverà i quaderni e li consegnerà a un editore, anch’egli amico di Etty che riuscirà a farli pubblicare, molti anni dopo essere stati scritti.

La prof si cambia l’abito e si veste come Etty che è alla scrivania; Vilma, di fianco, in piedi legge a voce alta ciò che Etty va scrivendo.
«Domenica 9 marzo 1941. Cominciamo, allora! Si tratta di un momento difficile e quasi insormontabile per me: aprire il mio cuore inibito a un ridicolo pezzo di carta a righe. Credo sia vergogna… Intellettualmente sono pronta da sembrare superiore in molti problemi della vita, ma in verità nel profondo, un nodo ingarbugliato mi tiene prigioniera. Questo signor S. in una settimana ha già fatto miracoli in me: ginnastica, esercizi di respirazione, parole, rivelatrici e liberanti sulle mie depressioni. Ho già un modo di vivere più libero e fluido; sarà che mi ha fatto fare la lotta, sì ho lottato con lui e ho perso poiché è molto robusto. Volevo che lui fosse mio ed ero gelosa di tutte le donne di cui mi aveva parlato. Prima mi sentivo così infelice; volevo scrivere poesie, ma le parole non venivano. S. dice che l’amore per tutti gli uomini è superiore all’amore per un solo uomo: perché l’amore per il singolo è una forma di amore per sé. La sorgente di ogni cosa ha da essere la vita stessa, mai un’altra persona. Molti invece, soprattutto le donne, attingono le proprie forze da altri: è l’uomo la loro sorgente, non la vita, ciò è distorto e innaturale. La donna cerca l’uomo e non l’umanità. Non è proprio così semplice questa questione femminile. Forse la vera, la sostanziale emancipazione femminile deve ancora cominciare. Siamo legate e costrette da tradizioni secolari. Dobbiamo ancore nascere come persone, la donna ha questo grande compito davanti a sé».

«Lunedì 4 agosto 1941. A volte mi sento come una pattumiera, ma in me c’è anche onestà. A volte vorrei essere nella cella di un convento, con la saggezza di secoli sublimata sugli scaffali e con la vista che spazia su campi di grano… Lì vorrei sprofondarmi nei secoli, e in me stessa. È qui ora, in questo luogo e in questo mondo, che devo trovare chiarezza e pace e equilibrio».
«26 agosto, martedì sera. Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta da pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo».
«21 ottobre 1941, dopo pranzo. La nascita di un’autentica autonomia interiore è un lungo e doloroso processo: è la presa di coscienza che per te non esiste alcun aiuto presso gli altri. Ma doverlo riconoscere ogni volta! Soprattutto come donna hai pur sempre un gran desiderio di perderti in un altro. Ma anche questa è solo una favola. Due vite non possono combaciare… Può succedere in alcuni momenti».
«19 febbraio 1942, giovedì pomeriggio, le due. Di nuovo qualcuno è stato torturato: quel dolce ragazzo della Libreria “Cultura”. Lo hanno fatto a pezzi. Anche tra i più vecchi professori dell’Università ci sono stati degli arresti: ora sono prigionieri in una baracca piena di correnti. Vogliono abbruttirli completamente, vogliono fargli venire un sentimento di inferiorità. Cosa spinge l’uomo a distruggere gli altri? Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi; non vedo nessun’altra soluzione che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il nostro marciume. È l’unica lezione di questa guerra. Dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove. I fatti esterni non bastano per capire la vita di una persona: bisogna conoscerne i sogni, il rapporto con la famiglia, gli stati d’animo, le delusioni, la malattia e la morte».
«25 febbraio. C’è una grande fiducia e riconoscenza che la vita sia tanto bella, e perciò questo è un momento storico, non perché devo andare con S. alla Gestapo, ma perché trovo ugualmente bella la vita. Uno delle SS, nella stanza, continuava a urlare e dare ordini. Quando fui alla scrivania mi urlò: “Cosa ha da ridere?”. Avrei risposto, niente, tranne lei. Non ho paura; in fondo era un ragazzo infelice della Gestapo e mi ha fatto pena».
«19 giugno, mezzanotte. Per umiliare qualcuno si dev’essere in due… colui che umilia, e colui che è umiliato e soprattutto che si lascia umiliare. Se manca il secondo, e cioè se la parte passiva è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell’aria. Si deve insegnarlo agli ebrei. Certo che ogni tanto si può essere tristi per quel che ci fanno. Tuttavia siamo soprattutto noi stessi a derubarci da soli. Trovo bella la vita. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. Quel pezzetto d’eternità che ci portiamo dentro può essere espresso in una parola come in dieci volumoni. Sono una persona felice e lodo questa vita, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra».

«1°luglio 1942. Se quest’anno mi ha portato qualcosa, è stato proprio maggiore semplicità interiore, e credo che in futuro riuscirò anche a esprimere le cose difficili con parole semplici. Ora sono a pezzi. Questa mattina ho passato un momento di nervosismo infernale per tutte queste nuove ordinanze. E stasera verrà da me una ragazza con problemi, una ragazza cattolica. Il fatto di poter aiutare, come ebrea, una persona non ebrea dà una singolare sensazione di forza. Ecco di pomeriggio sto in veranda e un vento lieve fa fremere il gelsomino e rimango dieci minuti accanto a lui; come è esotico in mezzo a quel grigiore, lui è radioso e così tenero. Dobbiamo trovare posto per una nuova certezza: vogliono la nostra fine e il nostro annientamento, non possiamo più farci nessuna illusione al riguardo, dobbiamo accettare la realtà per continuare a vivere. Vedo gente in giro che non comprende in quale dramma siamo immersi, è preoccupata solo di salvare la propria argenteria».
«7 luglio 1942, martedì mattina, le nove e mezzo. Ho una vescica al piede a forza di camminare per la città così calda: perché tanti hanno i piedi distrutti da quando gli è stato proibito di prendere il tram? Si vive ora fianco a fianco con il destino, si trovano i comportamenti per convivere, tutto è molto diverso da quel che un tempo potevamo leggere sui libri. Per me, so questo: dobbiamo abbandonare le nostre preoccupazioni per pensare agli altri, che amiamo. Si deve tenere a disposizione di chiunque s’incontri per caso sul nostro sentiero, e ne abbia bisogno, tutta la forza e l’amore e la fiducia in Dio che abbiamo in noi stessi. E persino dalla sofferenza si può attingere forza. Rinuncio a studiare, eccoci alla nostra ora amara; una rosa tea gialla sta sulla mia scrivania, tra due vasetti di viole. L’ora dell’amaro è passata. Abbiamo ricevuto in noi tutte le possibilità per sviluppare i nostri talenti».
«11 luglio ’42, sabato mattina, le undici. L’unico atto degno di un essere umano che ci sia rimasto di questi tempi è quello di inginocchiarci davanti a Dio. E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio e se mi riuscirà, allora potrò aiutare anche gli altri. Al campo aiuterò le ragazze di 16 anni che devono partire prima dei genitori. Devo preparare lo zaino, porterò poco, ma di buona qualità, i miei libri non potranno mancare. Il mio distacco esteriore aumenta per far posto a un sentimento interiore, la volontà di continuare a vivere e a sentirsi legati per quanto lontani si possa essere uno dall’altro. Lascio il Consiglio ebraico, non sopporto di essere la pedina al servizio dei nazisti, non voglio fare il lavoro sporco, voglio seguire il destino del mio popolo e aiutare le persone là al campo. Inizialmente non sarò considerata residente, potrò tornare di tanto in tanto ad Amsterdam, potrò anche mandare lettere ad amici senza censura».
Etty: «Lavoro come dattilografa presso una sezione del Consiglio Ebraico e potrei avere salva la vita, ma non sopporto di essere la pedina al servizio dei nazisti, non voglio fare il lavoro sporco, voglio seguire il destino del mio popolo e aiutare le persone là al campo. Inizialmente non sarò considerata residente, potrò tornare di tanto in tanto ad Amsterdam, potrò anche mandare lettere ad amici senza censura. Preparo il mio zaino: poche cose, ma di buona qualità e i miei libri».
Nel campo viene chiamata da tutti il cuore pulsante della baracca.
IV scena

Dal campo di Werterborg.
Seguiamo Etty che cammina tra le baracche… porta aiuto a chiunque glielo chiede: un paio di scarpe, un contenitore con acqua calda, un pezzo di pane o semplicemente… una parola gentile. Per Etty è difficile riuscire a scrivere dal campo, non per la mancanza di tempo, ma per le troppe impressioni da cui è assalita, dai sentimenti troppo contraddittori per poter scrivere. Tuttavia trova un cantuccio vicino al filo spinato che divide il campo dalla brughiera e scrive: «Sono al campo da diversi mesi ormai, qui vedo fame, freddo, sporcizia e soprattutto leggi assurde come quella che considera una neonata prigioniera politicae quindi le si impedisce di uscire a prendere aria.
I bambini di pochi mesi sono veramente la cosa peggiore, sono strappati dalle loro culle nel cuore della notte per essere trasportati verso un paese lontano. È un campo destinato a un popolo in transito e ci sono sempre forti sommovimenti quando le folle vi si riversano dalle grandi città e dalla provincia, da case di cura, prigioni e campi di punizione, da tutti gli angoli dell’Olanda, per essere deportate pochi giorni più tardi verso il loro destino sconosciuto. Un giorno sono arrivate persone con addosso solo la biancheria e le pantofole; tutta Westerbork si spogliò fino alla camicia, in un unico gesto di orrore e di eroismo. Pochi giorni fa sono arrivati al campo dei cattolici ebrei, ho incrociato lo sguardo con quello di due suore in un intenso attimo silenzioso. E ora lasciatemi essere un balsamo per le ferite, in questo inferno! Ho incontrato mio padre, ricoverato in infermeria, che dava lezioni di greco e di latino e leggeva Omero ai ragazzini, un gesto di umanità. Anche da questo campo potrà nascere un nuovo umanesimo, sul quale far rinascere l’Europa».

Martedì 7 settembre ’43. Partenza. Destinazione: Europa Orientale. Etty, nel vagone 12, estrae la Bibbia e scrive così a Christien van Nooten: «Apro a caso la Bibbia e trovo questo: Il Signore è il mio alto ricetto.
Sono seduta sul mio zaino nel mezzo di un affollato vagone merci. Papà, la mamma e Mischa sono alcuni vagoni avanti. La partenza è giunta piuttosto inaspettata, malgrado tutto. Un ordine improvviso mandato appositamente per noi dall’Aia. Abbiamo lasciato il campo cantando, mamma e papà molto forti e calmi, e così Mischa. Viaggeremo per tre giorni. Grazie per tutte le vostre buone cure. Arrivederci da noi quattro».
Lancia dal treno questo suo ultimo scritto presso Glimmen, poco prima del confine con la Germania. La cartolina postale è stata incredibilmente trovata e fatta recapitare all’amica.

V scena
La prof, insieme alla studente, tiene un circle time con il pubblico in sala che è invitato a commentare ciò che Etty ha suscitato in loro.

Etty Hillesum, morta ad Auschwitz il 30 Novembre 1943, è la seconda figura della rassegna Con voce di donna qui presentata; viene pubblicata in Vitamine vaganti a gennaio, il mese dedicato alla Memoria.
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Articolo di Maria Grazia Borla

Laureata in Filosofia, è stata insegnante di scuola dell’infanzia e primaria, e dal 2002 di Scienze Umane e Filosofia. Ha avviato una rassegna di teatro filosofico Con voce di donna, rappresentando diverse figure di donne che hanno operato nei vari campi della cultura, dalla filosofia alla mistica, dalle scienze all’impegno sociale. Realizza attività volte a coniugare natura e cultura, presso l’associazione Il labirinto del dragoncello di Merlino, di cui è vicepresidente.
Grazie per questo articolo che userò in classe. Etty è per me un farò.
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Complimenti, un articolo bellissimo, anche io lo userò nelle mie classi. Ho conosciuto e apprezzato moltissimo la figura di Etty Hillesum, i suoi diario sono straordinariamente vivi. Il suo articolo è anche testimonianza delle cose belle e meravigliosamente educative che la scuola è in grado di fare. Leggendolo ho provato un grande magone, perché quest’anno con le mie quinte avremmo voluto fare il viaggio della memoria in Polonia e non sarà possibile, purtroppo. Per noi un grande vuoto. Viaggeremo con la lettura di questo contributo. Grazie
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