Le donne cancellate

«E quello che canto non è immaginario,
sebbene sia detto in canzone,
la storia che canto è presa dal diario
di una che fu testimone.
Che fu testimone e protagonista
E infine cronista sincera.
E questa compagna, che è comunista
Si chiama Camilla Ravera».

Così scrive Fausto Amodei nel prologo della sua Cantata Il Partito.

Il 21 gennaio 1921 nasceva il Partito Comunista d’Italia. Camilla Ravera, una delle fondatrici, racconta questo evento e gli anni cruciali che lo precedettero e che seguirono nel suo Diario di trent’anni 1913-1943. Dal suo racconto Fausto Amodei, torinese, cantante e autore di canzoni politiche, trasse nel 1976 un’opera musicale per 6 strumenti e quattro voci dal titolo Il Partito. In quello stesso periodo l’Unione Culturale Franco Antonicelli a Torino ospitò la prima esecuzione dell’opera. Poi i tempi cambiarono, cambiarono i partiti e le aggregazioni di uomini e di idee e la Cantata restò nel silenzio per molti anni.
Nel corso del 2021, in occasione dei cento anni dalla fondazione del PCI, verrà portata in scena l’opera Il Partito con Giovanna Marini e il coro Inni e Canti di Lotta della Scuola Popolare di Musica di Testaccio, prodotta dall’Associazione Rosso un Fiore APS.
Accanto all’impegno musicale e artistico si è sviluppato un grande lavoro di studio sul Diario di trent’anni: approfondimento su fatti e personaggi narrati, ricerca di immagini e foto da trasformare in ritratti che cogliessero la personalità e l’intensità delle/dei protagonisti.
Ed è ben presto apparso chiaro che di molti personaggi femminili è difficile trovare tracce biografiche e ancor meno documenti fotografici. Eppure le donne avevano avuto un ruolo tutt’altro che secondario nei movimenti antimilitaristi che precedettero la Prima guerra mondiale, nel sostenere la produzione industriale e agricola mentre gli uomini erano al fronte e più tardi nelle lotte operaie e nelle occupazioni delle fabbriche che caratterizzarono il biennio rosso tra il 1919 e il 1920.
Le parole della Ravera tratte dal Diario di trent’ anni e i testi dei canti che Amodei ha scritto per Il Partito lo dicono con grande forza espressiva.

Ravera
«Le masse popolari torinesi erano avverse alla guerra. Ne avevo testimonianza nei discorsi delle donne del popolo che accompagnavano alla scuola, dove io insegnavo, i loro bambini. Mi dicevano con tristezza e sgomento: “Ognuno ama la sua patria, ma questa guerra getta una patria contro l’altra, l’una ad aggredire e distruggere l’altra; e distrugge tutti”».

«Il governo italiano però, marciava verso l’intervento. Le ordinazioni belliche si allargavano, le fabbriche lavoravano a ritmo pieno, e gli industriali, soddisfatti delle ottime prospettive offerte ai loro affari, diventavano interventisti».

«Decine di migliaia di donne vennero occupate nelle fabbriche, negli uffici, nei campi, sui treni, in stabilimenti improvvisati, sovente disadatti; retribuite con salari assai bassi per un lavoro che durava molte ore, di giorno e di notte, contro le norme esistenti».

«Le lavoratrici, però, in generale accoglievano la propaganda socialista: nella città, nella provincia, nelle campagne. Le idee del socialismo rispondevano alla volontà di pace delle donne; alla loro avversione per quanto la guerra ha di doloroso e disumano; al loro sdegno per lo spettacolo di ingiustizia sociale e di cinismo offerto dai profittatori della guerra, dai “pescecani” come ormai erano chiamati gli arricchiti di guerra».

Amodei
Pescicani
«Voi borghesi, nuovi ricchi, pescicani,
voi che uscite dalla guerra belli grassi,
ora che non più s’ammazzano i cristiani,
non volete rinunciare ai vostri incassi;
[…]
E la donna che spediste in officina
Quando gli uomini eran tutti militari
La volete metter ora alla berlina
Ritenendo troppo alti i suoi salari».

L’occupazione delle fabbriche
«Le occupazioni si estendono ogni giorno
a Roma a Pisa, a Genova, a Livorno
e a Milano ch’è tutto un gran fermento
le fabbriche occupate son trecento.
S’allarga ancora l’occupazione
in Val d’Aosta, in Val Chisone;
le industrie tessili sono in mano
alle operaie del canavesano».

Camilla Ravera entra nel 1917 nella Federazione giovanile socialista e nel gennaio 1918 ottiene la tessera del PSI. Scrive nel suo Diario che a Torino «v’eran donne attive e coraggiose che conducevano con tenacia la propaganda tra le donne e nel popolo. Distribuivano davanti alle fabbriche manifestini, stampa socialista, organizzavano riunioni e conferenze, costituivano comitati per l’aiuto alle vittime politiche».
Racconta di quegli incontri tra donne solidali e decise ad agire per far valere i propri diritti, per allargare i margini di una possibile azione femminile in politica. Partecipava alle assemblee in cui tutte loro, operaie, maestre, madri di famiglia, davano voce ai loro desideri di libertà. Le nomina tutte una per una: «La Taschero, l’Ardissone, la Giachino, Lucia Rosso, Anticzarina Cavallo, la Castagno, la Manservigi, la Bonotto, La Giudice, Clelia, Rita ed Elena Montagnana, Elvira Zocca, Teresa Recchia, Felicita Ferrero, Rina Piccolato, Teresa Noce…».

Donne socialiste attive a Torino nei primi anni del ‘900. Ritratti di Maria Chiara Calvani

Molte di queste donne e a dire il vero anche alcuni loro compagni di lotta — sono cadute nell’oblio. O meglio, non se ne trova traccia nei siti biografici e storici accessibili da internet né negli archivi di varie fondazioni cui abbiamo scritto. Probabilmente ricerche d’archivio dirette e più approfondite potrebbero fornire risultati migliori, ma è già significativo che a un primo livello di ricerca non si trovi nulla. Ancora più sconcertante, però, è il destino delle altre, quelle che la storia ricorda ma che ha fatto molto per cancellare.

È qui impossibile rievocarle tutte, ma le vicende di alcune di loro sono dimostrative di ciò che accadde a tante. Si è già parlato su queste pagine (https://vitaminevaganti.com/2020/07/18/rita-montagnana-una-damnatio-memoriae/) di Rita Montagnana, moglie di Togliatti, figura di primo piano del PCI durante gli anni del fascismo, della clandestinità e della Resistenza e poi madre costituente. Quando la sua relazione con Togliatti finì venne gradualmente ma inesorabilmente emarginata dalla vita del partito e dalla politica. Analogo il destino di Teresa Noce. Nata da famiglia operaia poverissima, autodidatta, iniziò a lavorare come sarta a undici anni e fu attivissima nelle lotte operaie torinesi di inizio ‘900. Partecipò alla Fondazione del PCdI e si legò al giovane politico Luigi Longo. Con lui andò in esilio a Mosca e a Parigi e insieme parteciparono alla guerra civile spagnola. Con lui ebbe tre figli. Affrontò il carcere, la deportazione e il campo di concentramento. Alla fine della guerra tornò in Italia e venne eletta all’Assemblea costituente. Negli anni seguenti si impegnò fortemente nella tutela del lavoro femminile. Fino a che, nel 1953, apprese, da un trafiletto del Corriere della Sera, che il suo matrimonio con Luigi Longo era stato annullato a San Marino. Lui aveva contraffatto la sua firma. Per Teresa questo evento è «grave e doloroso più del carcere, più della deportazione». Combattiva, come sempre, denuncia il comportamento scorretto di Longo agli organi di controllo del PCI, ma la conseguenza per lei sarà l’esclusione dalla Direzione del partito.

Teresa Noce e Luigi Longo

Felicita Ferrero, collaboratrice di Antonio Gramsci al giornale L’Ordine Nuovo, esponente del Partito comunista fin dalla sua fondazione, fu compagna di prigionia di Camilla Ravera nel carcere di Trani. Gravemente provata da questa esperienza, emigrò a Mosca per curarsi e vi restò per molti anni come giornalista e addetta alla censura della stampa estera. In questo periodo divenne testimone delle epurazioni staliniane restandone coinvolta lei stessa, sia pur marginalmente. Nel 1946 Felicita Ferrero tornò in Italia. Lavorò per undici anni presso la redazione de L’Unità ma si rifiutò di tacere sugli orrori della repressione in URSS e fu vittima di una progressiva emarginazione dal partito che lasciò definitivamente nel 1957, in solidarietà con l’insurrezione ungherese. Ebbe sempre un giudizio assai critico sul ruolo assegnato alle donne nel Pci e già anziana, si impegnò nel movimento di liberazione delle donne negli anni Settanta.

Anche Teresa Mattei, la coraggiosa partigiana “Chicchi”, la più giovane delle madri costituenti, venne emarginata e poi espulsa dal PCI per la sua indipendenza di giudizio e i disaccordi sulla linea politica del partito, in particolare con Togliatti che la chiamava “la maledetta anarchica”: «Non mi andava bene votare contro la mia coscienza. Ma il partito comunista era una Chiesa a cui bisognava obbedire». Non andavano d’accordo su molte cose Teresa Mattei e Nilde Iotti, molto più integrata di lei nel sistema-partito, ma entrambe concordavano sul fatto di venir strumentalizzate: «Dovevamo essere utili al disegno politico e basta».

Teresa Mattei. Ritratto di Maria Chiara Calvani

Ma non solo le dirigenti politiche “scomode” del PCI furono messe da parte con la Liberazione e l’inizio della Repubblica. Anticzarina Cavallo, un’operaia, compagna della prima ora di Camilla Ravera, dopo essere stata partigiana non ricevette alcun riconoscimento e dopo otto anni di lavoro in fabbrica, nonostante fosse iscritta alla CGIL, venne licenziata. Racconta nelle sue memorie familiari: «Poi hanno fregato me, perché alla liberazione siamo scesi con la nostra brigata ad Alessandria in una caserma. Lei [una partigiana dell’ultima ora, ndr] ha preso il pacco della smobilitazione, ha preso il riconoscimento da partigiana, tutto, io non ho preso niente. Un compagno mi fa: “Ma sai, questa qui non è ancora una compagna, è solo una simpatizzante, dobbiamo iscriverla al partito, chissà che non si metta nel partito”. E allora io ho rinunziato. Poi mi è arrivato dal ministero che mi mandavano mille lire da patriota che io non sono neanche andata a ritirarle. Dalla rabbia che avevo. Dopo la guerra ero senza lavoro. Vado in federazione: “Ma senti Grassi, nel periodo fascista ci venivano a far mandare via dalle fabbriche perché eravamo comunisti, adesso voi ci dite che non potete darci lavoro perché se no gli altri ci dicono che ci privilegiate. Allora sono sempre gli stessi che lavorano e noi dobbiamo sempre stare senza lavoro”».

Rintracciare nel Diario di Camilla Ravera le vite, l’azione e i volti di donne dimenticate e toglierle dalla polvere dell’oblio, ridare voce a quelle che sono state messe a tacere è un lavoro che ci ha appassionato e che continueremo a fare perché queste donne hanno la capacità di trasmettere l’esempio e la forza di fare comunità femminile. E questo è utile oggi come lo fu un tempo.

***

Articolo di Elisabetta Mattei

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Già biologa ricercatrice nel Consiglio Nazionale delle Ricerche. Fa parte del coro di Giovanna Marini “Inni e canti di lotta” alla Scuola Popolare di Musica di Testaccio. Partecipa al progetto sulla messa in scena dell’opera musicale Il Partito di Fausto Amodei, ispirata al Diario di trent’anni 1913-1943 di Camilla Ravera, raccogliendo storie e biografie delle figure di cui si parla nel Diario. Ha collaborato alla guida di Roma Percorsi di genere femminile di Maria Pia Ercolini.

4 commenti

  1. Mi fa piacere poter ricordare che a Torino sono stati intitolati due giardini a Camilla Ravera e a Felicita Ferrero e una piazza di nuova costituzione a Teresa Noce.

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    1. Grazie Loretta! State facendo un lavoro molto importante ripopolando i nostri luoghi pubblici di nomi di donne che meritano di essere ricordate.

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  2. Valeria Pilone, grazie per l’indicazione. Purtroppo non ho avuto il tempo di controllare se tutte le donne di cui parlo nell’articolo erano già state oggetto di un contributo su VV. L’articolo su Rita Montagnana lo avevo letto di recente e lo ricordavo. Non mi ero ancora imbattuta nella figura di Bianca Bianchi in questa nostra raccolta di biografie, forse perché la nostra ricerca si è focalizzata sulle vicende di cui parla Camilla Ravera nel suo diari e quindi sulle donne del Pci.

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