Nel romanzo d’esordio Acquadolce, Akwaeke Emezi, di origini nigeriane e indiane, dipinge il travagliato percorso semi-autobiografico di una presa di coscienza spirituale che è sia processo di identificazione che di disidentificazione, storia di formazione e trasformazione nell’alterità. Alla base del romanzo ribollono l’enorme marea degli antenati con il suo bagaglio mitologico e la forza contemporanea delle nuove soggettività dissidenti e non-binarie.
Acquadolce è la storia di Ada, nata tra due mondi, le cui viscere sono invase da un gruppo di spiriti rissosi che la accompagnano fin da prima della nascita, giunti per volere di divinità imperscrutabili e vendicative. A giungere da questo altrove perduto nel tempo del mito, di fronte al lettore, è la prima persona plurale degli spiriti, gli ogbanje, che guida buona parte del romanzo in un viaggio spirituale e psicologico che scuote dalla prima all’ultima riga. Gli ogbanje sono spiriti-bambino della tradizione igbo, etnia della Nigeria meridionale, che decidono di restare nel corpo di Ada senza però ucciderla — come avviene tradizionalmente. Gli ogbanje sono persuasi dalla vitalità e complessità di un corpo. La storia viene scandita dal rapporto tra Ada e gli spiriti, tra la sua infanzia traumatica e il proliferare di desideri, fatti di curiosità e vendicatività, degli ogbanje.
Il punto di vista funziona da catalizzatore delle sensazioni e degli interrogativi di un corpo che si apre al mondo e si scopre fragile e poroso. Difatti, una buona parte della narrazione viene condotta seguendo lo sguardo plurale degli ogbanje, intimo e inquietante, che spulcia e manipola le sensazioni e i movimenti di Ada. Il ‘noi’ con cui si apre e chiude il romanzo racchiude l’orizzonte di mobilità emotiva di Ada che nelle sue burrascose relazioni, aperte a uomini e in un secondo momento a donne, la spinge fino alla transizione senza approdo, alla non-binarietà. Come se il confronto con gli spiriti, che si manifestano nella forma di diversi personagdgi (Smoke e Shadow, come i primi e più diffusi, Asughara e Saint-Vincent come i più affermati e sessualizzati), la spingesse a interagire con la diversità del proprio sé, le potenzialità e le temporalità del proprio corpo. Eppure non bisogna cadere nella trappola occidentale, per certi versi, di ridurre l’intreccio a metafora psicologica degli elementi romanzeschi, riducendo di gran lunga il campo della sperimentazione dell’autrice nigeriana, utile al massimo come prima chiave d’accesso, per il pubblico occidentale, al ricchissimo retroterra del romanzo. I culti tellurici igbo si fondono con la sperimentazione dell’identità di genere della protagonista, il conflitto tra i comandamenti di certe correnti cristiane e una sessualità attiva e sensuale. Difatti la spiritualità è intrecciata al corpo su un piano cosmico che esula dalla semplice allegoria della identità come moltitudine, bensì traccia le linee di un approccio al reale come un esplorazione dei punti morti e in ombra, dell’alternarsi dei tempi velocissimi e lentissimi dell’esperienza.
Ed è in questo alternarsi tra eternità spirituale e le diverse velocità dell’esperienza che una domanda sembra serpeggiare lungo tutto il romanzo: quante temporalità può attraversare un corpo? Quante fratture, traumi e violenze possono scandirne il tempo?
In questa polifonia di temi e linee narrative, rimane veicolo utile per la navigazione di Acquadolce, a mio parere, il concetto di temporalità; per inquadrare sia i diversi mondi sociali, le tracce di colonialismo, di razzismo e gli incontri sincretistici tra le religioni; sia i percorsi individuali, le lente e silenziose rotture familiari, le nuove identità che a loro volta calibrano il modo di esperire la vita (la preghiera continua nella fase cristiana di Ada e i ritmi forsennati delle feste alternati a quelli cupi e dilatati, quasi infiniti, della gelosia di Asughara).
Il corpo di Ada è dilaniato tra i continenti e dalle culture, viaggiando dalla Nigeria agli Stati Uniti, e ricomposto dalla volitiva e appassionata esplorazione del mondo umano da parte degli spiriti. Ada diviene la mappa di una voce che la percorre in tutte le sue profondità e angolazioni, territorio martoriato e potenziato al tempo stesso. Nella coesistenza ambigua e conflittuale, Ada prende delle decisioni, sposta continuamente la bilancia emotiva fino a trasformare completamente la percezione del proprio corpo e il corpo stesso. Parte della risoluzione dei conflitti sta proprio nell’arrendersi felice ad una trasformazione radicale, al rilascio esplosivo del sangue mistico degli spiriti che diventa il suo sangue, acqua aliena ma dolcissima ormai. Dissidente fino all’ultima pagina, il romanzo di Emezi entra a pieno titolo in un nuovo canone di letteratura americana contemporanea che riscrive il fantastico e lo allaccia a nuove mitologie oltre-oceano.
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Articolo di Riccardo Vallarano

Attualmente studente di Gender Studies all’Università Ucl di Londra, si è laureato all’Università La Sapienza di Roma in Storia moderna e contemporanea. Adora la lettura più della scrittura. È attivo in più campi della cultura ma continua a restare nelle retrovie. Indubbiamente interessato al mondo che verrà.