Il femminile e la Shoah

Possiamo affermare di conoscere molto dell’Olocausto, data la mole di testimonianze, libri, documentari, film che abbiamo potuto ascoltare, leggere e guardare al cinema o in televisione. Ma la Storia ci insegna che esiste sempre qualcosa di non detto o celato, oppure semplicemente ritenuto meno importante o marginale.  

Le donne hanno subìto la Shoah tanto quanto la loro controparte maschile, ma si parla ben poco di come la femminilità e la sessualità femminile siano state brutalizzate all’interno dei lager. A molte prigioniere, per la fame e l’incuria in cui erano costrette a vivere, non vennero più le mestruazioni. Altre parlarono del ciclo mestruale come un’onta, poiché non avevano a disposizione assorbenti e bagni puliti ed erano costrette a tenere addosso gli abiti sporchi di sangue: sentire sulla pelle e sui vestiti il proprio sangue era considerata un’esperienza degradante.  Altre testimonianze tuttavia raccontano di come le detenute sfuggissero agli stupri dei soldati grazie proprio alle mestruazioni: le SS erano talmente disgustate dal loro sangue che evitavano di violentarle per ribrezzo. Diverse donne indossavano i vestiti sporchi di altre prigioniere per sottrarsi alle violenze, anche se non avevano il ciclo. 

All’interno dei lager si conducevano esperimenti di sterilizzazioni forzate, in cui alle donne venivano iniettate sostanze corrosive all’interno dell’utero. Se la donna era mestruata veniva scartata, motivo per il quale molte detenute finsero di avere le mestruazioni. Alcune giovani ebbero il menarca proprio durante la prigionia ed erano spaventate dalle perdite di sangue che non avevano mai avuto prima. Le adulte le aiutarono, spiegando loro di cosa si trattasse. Molte donne in età fertile rimasero incinte all’interno dei lager, alcune furono deportate già in gravidanza, altre diedero alla luce il frutto delle violenze subìte. Il numero di bambini/e nati/e nei lager è sconosciuto, ma sul campo di concentramento di Auschwitz si hanno alcune statistiche, grazie all’operato dell’ostetrica polacca Stanislawa Leszczynska che ha aiutato a venire alla luce circa 3000 neonati/e viventi.  

Come lei stessa riferisce, nessuna mamma e nessun figlio/a sono morti nel corso del parto grazie alla sua assistenza. Purtroppo però, di questi 3000, circa la metà venne soppressa immediatamente alla nascita, di fronte alle loro madri: annegata, soffocata, lasciata senza cibo per giorni in balìa dei topi. Come riferiscono diverse testimonianze, i soldati del campo si “divertivano” a lanciare neonati/e in aria e sparargli con il fucile. Almeno altri mille infanti morirono di fame, freddo e malattie. 

Un centinaio fra loro fu selezionato per il Progetto Lebensborn: le/i bambine/i con caratteristiche somatiche ariane venivano adottati da famiglie tedesche ed educati secondo l’ideologia nazista. 

Il programma Lebensborn in Germania 

In totale furono solo una trentina quanti sopravvissero insieme alle madri fino alla liberazione del campo. 

Nei lager furono pure istituiti dei bordelli che sarebbero serviti come incentivo per i detenuti uomini, affinché lavorassero più duramente. Nel libro La baracca dei tristi piaceri di Helga Schneider si racconta la vita di una prostituta nel campo di Buchenwald. 

La maggior parte delle prostitute venne reclutata nel lager femminile di Ravensbruck: dopo essere state sottoposte a una visita per escludere la presenza di malattie veneree, furono scelte in base al proprio aspetto fisico direttamente dalle SS. Alle donne venne promesso buon cibo, un piccolo salario e la libertà dopo sei mesi di lavoro nel bordello. Molte detenute si presentarono alle selezioni, speranzose di poter essere presto liberate. Ovviamente, era una grande bugia. 

Per evitare gravidanze indesiderate si ricorreva a iniezioni di ormoni per bloccare l’ovulazione, ma a volte la terapia non funzionava. Come raccontato nel libro, le donne che rimanevano incinte venivano costrette ad abortire senza anestesia in locali sporchi e improvvisati per mano di veri e propri macellai. Una delle prostitute si suicidò per la disperazione, perché non era disposta a rinunciare alla sua gravidanza. 

Le SS sceglievano dei prigionieri a cui davano il titolo di “privilegiati” affinché vessassero senza tregua gli altri detenuti e contribuissero a mantenere il clima di terrore all’interno del lager. I privilegiati furono i primi clienti dei bordelli e in successione vennero aperti anche agli altri prigionieri. 

Il libro racconta come uomini scheletrici avessero comunque le forze per consumare rapporti con le prostitute, fino ad arrivare a morire per arresto cardiaco nei loro letti. Un cliente disperato arrivò persino a chiedere alla protagonista del libro di ucciderlo tagliandogli la gola con una lametta.  

Alcuni frequentatori erano le stesse SS: molti di loro erano sadici con le donne, fino a torturarle con bruciature di sigaretta o picchiarle selvaggiamente. 

Le prostitute vennero pure utilizzate per esperimenti sugli omosessuali. Il medico nazista Carl Peter Jensen, conosciuto anche come Carl Vaernet, era convinto che l’omosessualità fosse una malattia causata da un deficit ormonale, quindi cercava di “curare” questi pazienti con un innesto che rilasciava testosterone. Arrivato nel lager di Buchenwald iniziò ad operare diversi uomini, molti dei quali morirono subito dopo l’intervento. Per gli altri, la prova da superare era quella di consumare un rapporto completo con una prostituta per dimostrare di essere diventati eterosessuali. Come si può immaginare, la prova fallì miseramente. 

Il corpo delle donne è da sempre campo di battaglia su cui si riversano le brutture degli uomini. Gli stupri di guerra e la prostituzione coatta sono crimini contro l’umanità, ma raramente si leggono testimonianze come queste sui libri di storia. Le violenze sulle donne durante i conflitti sono considerate un tabù o comunque un danno collaterale marginale. Anche la Shoah andrebbe analizzata partendo da una prospettiva di genere, in cui si riconoscano la gravità delle violenze perpetrate sulle donne in quanto donne e l’impatto devastante che queste violenze hanno sulle loro vittime. 

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Articolo di Elisabetta Uboldi

Liz. foto 200x200

Laureata in Ostetricia, con un master in Ostetricia Legale e Forense, vive in provincia di Como. Ha collaborato per quattro anni con il Soccorso Violenza Sessuale e Domestica della Clinica Mangiagalli di Milano. Ora è una libera professionista, lavora in ambulatorio e presta servizio a domicilio. Ama gli animali e il suo hobby preferito è la pasticceria.

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