Nell’estremamente minuscolo esistono degli spazi vuoti stranissimi, peculiarmente fisici, propri del nostro mondo su piani che non viviamo quasi mai, se non attraverso strumenti, formule, idee e altre forme di mediazione. Fra gli atomi del nostro piede e quelli della terra esiste un vuoto impercettibile, ad esempio, secondo la fisica quantistica. In qualche modo, quindi, stiamo volando. Ci sono poi vuoti potenziali, vuoti relazionali, vuoti cognitivi, tutti altamente impercettibili, sebbene a volte possono essere compresi attraverso metafore, indirettamente, per rifrazione. Questo moltiplicarsi di relazioni impercettibili rende impossibile vedere il mondo come oggetto unitario, sensibile e totale. Il mondo si frantuma e i vecchi arazzi cadono, lasciando spazi confusi laddove vi erano rocce millenarie: divinità, regimi, gerarchie che sembravano inossidabili. In questa caduta del mondo avanza, fra gli altri, il vuoto come malessere, come fine della frizione tra l’io e il mondo. Una sottile e insinuante caduta libera. Questa assenza può assumere caratteristiche minacciose, richiedere nuovi pieni da opporre. E il vuoto diviene più doloroso, sospeso e radicale a un tempo.
Da questo scarto si genera il divorzio tra l’umano e un mondo sempre più incomprensibile, il senso di vuoto cresce. Si stabilisce una vera e propria architettura di vuoti che dilaga nelle troppo sfocate dimensioni della psicologia individuale, nelle violente mancanze sociali e nelle minacce della catastrofe climatica.
L’iper-oggetto per eccellenza, il surriscaldamento globale sono traslati in grafici, rapporti, film, libri, visioni e tanti altri mezzi che riducono, comprimono e catalizzano la complessità. La mettono sotto vuoto, così che l’aria non passi, e nulla possa mai marcire. Ed è questa complessità con tutti i correlati che vanno dalla disoccupazione alla povertà, dalle disuguaglianze alla inarrestabile mercificazione che provoca un ribollire di malesseri. In uno spazio in cui tutto sembra divenire astratto, la mente si espande a scapito del corpo.
Il virtuale si estende in ogni campo e porta con sé un’angoscia endemica, prodotto dell’eccesso di informazioni e connessione. Ma è un’abbondanza bulimica. Ed è proprio nel rumore bianco della contemporaneità che il vuoto fa breccia. E in questo rumore siamo profilati, tracciati, prodotti e riprodotti, in bolle di mercato, di consumo, di idee.
Non più individui, non più entità inseparabili, uniche, bensì dividui, seguendo le intuizioni di Gilles Deleuze, ossia indicatori di cifre, comportamenti, tendenze, dirette verso certi consumi, luoghi, parole. Una guida gentile: la home, la feed, il browser. Un labirinto di entità che da appendici sono diventate parte integrante. Ed ecco che rifà capolino un senso di inadeguatezza, di scomodità e frastornazione, la paura di rimanere indietro legata a doppio filo con un nugolo di sensazioni quotidiane. Si potrebbe parlare di alienazione, di depressione o più semplicemente di capitalismo.
Esistono modi di passare attraverso questo vuoto? Di usarlo a proprio vantaggio? Non siamo mai stati entità uniche e circoscritte, bensì schemi di relazioni, linguaggio e cura, tantissima cura. E le macchine stesse, non sono sempre state con noi, in qualche modo? L’essere umano ha sempre avuto bisogno di strumenti, materiali e immateriali, per vivere nel mondo, abitarlo e riempirlo di senso. Quindi forse per fronteggiare questo vuoto, orrida marionetta nelle mani delle forze del capitale e delle destre, bisogna andare oltre, fondersi davvero con le macchine, superare le timidezze epistemiche e nel movimento cedere noi stessi all’alterità, all’alieno. Diventare fecondi di differenze e pluralità per adattarci ad un futuro sempre più opaco e ambiguo. E nell’abbraccio imprimere una direzione, una pressione. Restituire alle piattaforme il ruolo di connettore e non di estrattore di denaro, restituire alla politica la capacità di generare il futuro e smetterla di masticare passati mai esistiti.
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Articolo di Riccardo Vallarano

Attualmente studente di Gender Studies all’Università Ucl di Londra, si è laureato all’Università La Sapienza di Roma in Storia moderna e contemporanea. Adora la lettura più della scrittura. È attivo in più campi della cultura ma continua a restare nelle retrovie. Indubbiamente interessato al mondo che verrà.