Il nostro viaggio virtuale alla scoperta delle aziende vinicole italiane guidate da donne prosegue in Trentino Alto Adige, una regione che sotto il profilo della classificazione dal punto di vista vitivinicolo di divide in due regioni: se l’Alto Adige si distingue per una massiccia produzione di vini aromatici a partire da vitigni che in quel terroir hanno trovano condizioni pedoclimatiche ideali per valorizzare le loro caratteristiche intrinseche, il Trentino è una delle culle dello spumante italiano di qualità, una perla nel panorama vinicolo nazionale e internazionale. Il fausto destino vitivinicolo di quest’ultima regione è già inscritto nella sue forma geografica, che a uno sguardo attento mostrerà la somiglianza con una foglia di vite, un presagio positivo del successo della viticoltura, praticata con successo da secoli. A suggellare tale rappresentazione vi è uno scritto di Cesare Battisti, risalente al 1905, in cui l’autore definisce la regione come «Il più bel giardino vitato d’Europa». Attestazioni del prestigio del Trentino nel settore vitivinicolo risalgono al 1874, quando fu fondata la prima scuola agraria dotata di una stazione sperimentale di enologia, l’Istituto di San Michele dell’Adige, considerato ancora oggi tra i più qualificati d’Europa. Nel corso del XX secolo, con il supporto delle cooperative, si è assistito a un incremento della produzione vinicola, con particolare attenzione alle pratiche di cantina che hanno consentito ai piccoli produttori di emergere e distinguersi sotto il profilo qualitativo. Nel 1902, quando ancora la regione faceva parte del territorio austriaco, Giulio Ferrari, icona nel panorama enologico nazionale e mondiale, diede vita al primo spumante con rifermentazione in bottiglia, il Grand Crémant Impérial Maximum Sec, ottenendo un tale successo di pubblico da essere insignito della medaglia d’oro presso l’Esposizione internazionale di Milano, nel 1906.
Lo spumante metodo classico, ossia rifermentato in bottiglia (di seguito il link al precedente articolo sugli spumanti italiani, per chi volesse rammentare le fasi di produzione dello spumante metodo classico https://vitaminevaganti.com/2020/12/26/con-le-bollicine-e-sempre-festa/) realizzato a partire dallo chardonnay, il vitigno più coltivato nella regione, è infatti il simbolo dell’enologia trentina sia dal punto di vista quantitativo ma anche e soprattutto quello qualitativo. La metà della superficie agricola del Trentino è occupata da vigneti, per la maggior parte allevati secondo un sistema tradizionale detto appunto “a pergola trentina”. Due sono le grandi denominazioni, Trento e Trentino, che coprono quasi tutta la regione vitivinicola: se la prima è quasi interamente dedicata alla produzione di spumanti metodo classico, la seconda offre uno spettro più ampio e variegato, in cui si inseriscono i vitigni autoctoni.
Il vitigno più coltivato, poiché impiegato nella produzione di spumanti di qualità è appunto lo chardonnay — a cui si aggiungono piccole quantità di pinot nero, bianco e più raramente il meunier, che in Italia non ha trovato particolare terreno d’elezione — dai tipici sentori di frutta esotica, lievito e crosta di pane. Vinificato anche in versione ferma, nei casi in cui svolge la fermentazione in legno, o matura in botte o barrique, dà vita a vini di alto profilo organolettico, dal bagaglio olfattivo complesso e corpo strutturato, con notevole potenziale evolutivo.
Altri vitigni a bacca bianca coltivati in Trentino sono il pinot grigio, dalle caratteristiche tinte ramate — a ricordare la buccia di cipolla — note fruttate di pera e mela, erba falciata e fiori bianchi; poi ancora il müller thurgau, il traminer aromatico — originario di Termeno, raggiunge la sua massima espressione in Alto Adige, dando vita a ottimi vini aromatici — e il manzoni bianco. In misura minore sono coltivati pinot bianco, sauvignon, nosiola e riesling, dalle spiccate note minerali. Dalla nosiola, vitigno autoctono della regione, caratterizzato dai tipici sentori di nocciola sia nel colore della buccia che negli aromi di bocca, si ottiene uno squisito vino santo, differente da quello realizzato in Toscana. Da ultimo, moscato giallo e rosa, con cui si ottengono piacevoli vini dolci. Tra i vitigni a bacca rossa più significativi della regione si annoverano il teroldego, autoctono coltivato nell’area più fertile, la valle dell’Adige, soprattutto nel cosiddetto “Campo Rotaliano”, e il merlot, seguiti dall’autoctono schiava — il più diffuso — dal marzemino gentile, e dall’enantio. Non mancano cabernet franco, lagrein e pinot nero che però ottengono risultati migliori nel tempo nel vicino Alto Adige.
In questo meraviglioso panorama vitivinicolo, non si può non citare la cantina Ferrari, un’azienda che non ha bisogno di presentazioni poiché pioniera nel settore spumantistico italiano di qualità e ancora oggi una delle realtà vitivinicole italiane più conosciute al mondo, una tradizione di eccellenza dal punto di vista enologico e umano, portata avanti con passione e professionalità da Alessandro, Camilla, Matteo e Marcello Lunelli. Nello stretto giro di trent’anni anche un’altra azienda si è fatta spazio nel ghota delle eccellenze di questo settore: si tratta di Maso Martis, una cantina che sorge sulla collina di Martignano, ai piedi del Monte Calisio, il leggendario monte Argentario, che domina dall’alto dei suoi quattrocentocinquanta metri di altitudine la valle dell’Adige e la città di Trento, una zona che gode di un’esposizione ottimale, in cui la viticoltura era in auge già dalla fine dell’Ottocento. Fondata nel 1990 da Roberta Giuriali assieme al marito Antonio Stelzer, comprende dodici ettari di terreno, con bosco e casa colonica. L’azienda si è da subito dedicata alla produzione di spumante metodo classico, un vino che secondo Roberta rappresenta al meglio il terroir del Trentino, ma anche e soprattutto la sua anima spumeggiante, grintosa e caparbia che le ha permesso di intraprendere una vera e propria sfida, quando ancora il marchio Trento Doc non esisteva e questo prodotto non aveva ancora raggiunto il riconoscimento di alta qualità attuale, se non nel caso di Ferrari.

Il passaggio alla viticoltura biologica, avvenuto nel 2013, è stato la naturale conseguenza della filosofia di Roberta e della sua famiglia, volta alla tutela del loro ambiente di vita, alla salubrità della vigna e quindi del prodotto finale. Secondo Roberta «Trento Doc è sinonimo di metodo classico trentino: una produzione di nicchia, ricercata in tutto il mondo, che richiede tanta passione, tanta manodopera nei vigneti di alta collina e montagna, una bollicina che piace a chi sa scegliere, mai scontata, fresca e di carattere».
Oggi Roberta è coadiuvata nella conduzione dell’azienda dal marito Antonio, vignaiolo, dall’enologo Matteo Ferrari, e dalle figlie Alessandra, la quale si occupa dell’accoglienza e della comunicazione, e Maddalena, apprendista e ancora studente, autrice di un originale studio del percorso dei sensi in vigna. E allora il vino di punta, non poteva che celebrare nelle lettere del suo nome le tre donne dell’azienda: Madame Martis, la Riserva di Trento Doc, realizzata con il settanta percento di pinot nero e venticinque percento di chardonnay fermentato in legno, con l’aggiunta di una piccola percentuale di pinot meunier, che affina per nove lunghi anni sui lieviti in bottiglia. Un prodotto di rara eleganza, che si distingue per un bouquet aromatico prezioso, che va dalla frutta esotica alla confettura di albicocche, dal miele alla pasticceria, con eleganti note di evoluzione e una sapidità e mineralità in bocca che suggellano un sorso cremoso e memorabile, dalla persistenza infinita.

Realizzato in edizione limitata, nel 1999 e presentato per la prima volta nel 2008 quando ancora erano rarissime le riserve di Trento Doc così lungamente affinate sui lieviti: un progetto ambizioso, che Roberta ha portato avanti con una tale forza e intraprendenza, impegno e dedizione da ottenere i massimi riconoscimenti da parte delle guide italiane del settore, stampa nazionale e internazionale.

Oltre allo chardonnay, l’uva che meglio sposa il terroir della regione, e il pinot nero, la passione di Roberta e Antonio dagli inizi, con cui si realizza l’ampia linea di spumanti — Extra Brut Rosé Millesimato, Dosaggio zero Riserva Millesimato, Brut Riserva Millesimato, Blanc de Blancs Brut, Madame Martis Brut Riserva Millesimato, Mounsier Martis Rosé Brut Millesimato, che vi invito a visitare sul sito web (www.masomartis.it) — nel corso del tempo si sono aggiunti anche cabernet sauvignon e moscato rosa, con cui si realizzano vini in versione ferma.

Insomma, Maso Martis è una delle prime realtà artigianali dello spumante metodo classico in Trentino, una bella storia, un progetto di vita, di famiglia e di stile, di donne che lavorano assieme a uomini, alla pari, un team — suggellato dai due cagnolini Benny e Tobia, rispettivamente responsabile del controllo qualità e supervisore — che rappresenta forse quello per cui lottiamo ogni giorno nella pratica quotidiana, una società in cui donne e uomini abbiano ciascuna e ciascuno il proprio spazio, pari diritti e opportunità, anche e soprattutto professionali, indipendenza economica, in cui la differenza sia celebrata come una forma di arricchimento in quel dialogo a due (ma anche di più) che dovrebbe essere il mondo, almeno quello che ci piace pensare e che vorremmo abitare.
In copertina: la famiglia Martis.
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Articolo di Eleonora Camilli

Eleonora Camilli è nata a Terni e vive ad Amelia. Nel 2015 consegue la Laurea Magistrale in Italianistica presso l’Università Roma Tre, con una tesi in Letteratura Italiana dedicata a Grazia Deledda. Dedita allo studio della letteratura e della critica a firma di donne, sommelière e degustatrice AIS — Associazione Italiana Sommelier — conduce anche ricerche e progetti volti a coniugare i due settori.