Il Parmigiano Reggiano è un formaggio di rara bontà, tra i primi cinque più apprezzati al mondo.
Le regole per la sua produzione, disciplinate dal Consorzio, sono così stringenti che non c’è nemmeno bisogno di definirlo biologico.
Sono le stesse indicazioni trasmesse dai monaci Benedettini che ne inventarono la ricetta nel Medioevo, spinti dalla necessità di trovare un formaggio in grado di durare a lungo e assicurare il nutrimento durante i mesi invernali. I monaci potevano contare sul latte delle vacche locali e sul sale che arrivava dalle saline di Salsomaggiore.
Dove e come si produce il Parmigiano Reggiano?
La zona di produzione è molto definita e comprende le province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova (a destra del Po) e Bologna (a sinistra del Reno).
Si parte, ovviamente, dal latte vaccino, latte che deve provenire da mucche perfettamente sane, alimentate con foraggio fresco e ben conservato, oppure con fieno totalmente asciutto. A questa alimentazione viene aggiunta la farina di soia (unico ingrediente non tutto di produzione italiana) oppure farine derivate dai legumi.
Il processo di lavorazione del Parmigiano Reggiano mette al riparo da ogni incertezza: se queste condizioni non fossero rispettate, la carica batterica inevitabilmente presente nel latte farebbe scoppiare la forma già pochi giorni dopo la sua preparazione. Le mucche stesse, animali sensibili e timorosi, devono essere allevate in condizioni di benessere, sempre per favorire la qualità del latte.
Non c’è altro e non ci deve essere altro, se si vuole produrre il Parmigiano Reggiano Dop.
Ora vediamo come si fa.
Il primo passaggio è la mungitura, fatta due volte al giorno più o meno alla stessa ora (in genere, le quattro del mattino e le quattro del pomeriggio), naturalmente tutti i giorni dell’anno. Il latte della mungitura serale viene raccolto in ampie vasche poco profonde, dove riposa fino alla mattina dopo, facendo affiorare la panna, poi raccolta per altre preparazioni, come il burro.
Il latte così sgrassato viene aggiunto a quello della mattina e versato in grandi vasche di rame. A questo punto interviene il casaro, l’artigiano, o forse l’artista, in grado di compiere la trasformazione: con la sua sensibilità introduce la giusta dose di caglio e di sale, poi lavora, scalda e, al momento giusto, rompe la cagliata e crea la forma. Non quella che conosciamo, ma una forma più grande e compatta, che viene divisa in due forme gemelle.
Il Parmigiano Reggiano Dop è pronto, ora comincia il percorso di stagionatura che lo porterà a diventare il prodotto che conosciamo. Un percorso durante il quale ogni singola forma è identificabile, grazie alle punzonature applicate sulla superficie.
Le forme vengono messe per due giorni in acqua e sale, poi portate all’asciutto e poste in un ambiente areato, perfettamente pulito e idoneo, dove cominciano la stagionatura.
Ogni due mesi, il Consorzio del Parmigiano Reggiano provvede a effettuare un controllo e le forme, se non presentano difetti, ricevono una nuova identificazione.
La stagionatura del Parmigiano Reggiano può continuare molto a lungo. Quello che troviamo in commercio ha, in genere, un’età variabile dai 24 ai 36 mesi, ma i caseifici più attenti propongono anche un prodotto vecchio di 120 mesi: dieci anni di riposo per gustare un sapore perfetto!
Naturalmente può capitare che qualche forma non passi l’esame e venga esclusa dall’invecchiamento o, più semplicemente, si apra. Come viene impiegato questo formaggio?
Quando la forma si spacca, e ciò succede quasi subito, il formaggio è ancora morbido: viene raccolto, portato ad alte temperature e usato per fare creme spalmabili, sottilette, formaggini.
Se si evidenzia qualche difetto su forme già stagionate, queste vengono messe in vendita a un prezzo più basso, dopo aver “cancellato” la classica scritta incisa sulla superficie, oppure si prepara il formaggio grattugiato.
Il latte non perfetto all’origine viene pastorizzato e venduto come latte fresco da bere, per fare altri tipi di formaggio meno pregiato, oppure dirottato nell’industria alimentare.
Troviamo in commercio altri due ottimi formaggi cosiddetti “grana” per la loro pasta granulosa e friabile. Sono il Trentingrana e il Grana Padano. Cosa li differenzia dal Parmigiano Reggiano?
Il Trentingrana si produce esclusivamente in provincia di Trento con latte di vacche alimentate al pascolo o con foraggi locali privi di additivi. Il latte crudo e parzialmente scremato è sottoposto a una tecnica di lavorazione tradizionale. Si consuma a una stagionatura dai 9 ai 24 mesi.
Il Grana Padano ha un processo di lavorazione molto simile al Parmigiano Reggiano, ma nell’alimentazione delle vacche è ammesso l’uso, oltre che di foraggi freschi, di insilati (foraggio fermentato). Per questo è necessario integrare con lisozima, un antibiotico naturale estratto dall’albume dell’uovo, che contrasta i processi di fermentazione. La stagionatura del Grana Padano non riesce ad avere la durata di quella del Parmigiano, ma si ferma fra i 24 e i 30 mesi.
N.B.: le informazioni riportate sono confrontabili sui siti dei Consorzi di produzione di questi formaggi, tutte eccellenze della produzione italiana.
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Articolo di Paola Bortolani
Ex dirigente commerciale, poi libera professionista contabile e amministrativa, ha svolto attività di volontariato culturale. Ha lavorato in una agenzia di comunicazione, occupandosi di aziende del settore food & beverage. Appassionata di cucina sostenibile, ha scritto articoli e svolto ricerche per testi diversi. Nel 2013 ha aperto il blog Primononsprecare.com, e ha pubblicato l’e-book Il gusto di non sprecare (Indies g&a).
Mi piace quello che hai scritto e… mi congratulo.
Evviva i formaggi italiani che purtroppo vengono imitati e venduti come tali.
L’esempio è anche la FONTINA della Val d’Aosta.
BUONA PASQUA.
Quarc
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Non è così pregiata però
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Certamente… ma a me piace e viene imitata e come tale cercano di vendertela.
Oggi è Pasqua. Tanti auguroni.
Quarc
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Scusa, non avevo capito. Certo, anche qui ci sono imitazioni, pessime peraltro. Anche a me piace la fontina
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