Il volume Women’s History at the Cutting Edge pubblicato nel 2020 dalla casa editrice Viella, riassume un bilancio degli studi di storia di genere e delle donne in Italia, ripercorrendo inoltre alcuni punti di contatto e di influenza con l’esterno. Il testo stesso è frutto di stratificati rapporti accademici di natura internazionale in quanto prodotto delle risposte date a una serie di domande poste nella tavola rotonda (il cui nome è ripreso nel titolo del volume) organizzata nel 2015 in Cina dall’International Federation for Research in Women’s History. Le risposte furono poi presentate in forma di saggio al simposio della Giunta Centrale per gli Studi Storici nel 2018 e raccolte infine in volume per Viella nel 2020.
La serie di domande poste alla fine della tavola rotonda, coordinata dalle storiche Karen Offen (Università di Stanford) e Chen Yen (Università di Fudan), riguardano i processi di istituzionalizzazione della disciplina della storia delle donne nelle università italiane, le distinzioni e le conciliazioni tra storia di genere e storia delle donne, il grado di integrazione o ghettizzazione della storia delle donne rispetto all’area degli studi storici più “tradizionali”, il ruolo degli studi sulla mascolinità nel far luce sulle esperienze delle donne nella storia, il rapporto tra gli studi di genere e le forme di colonialismo e razzializzazione e infine in che modo i nuovi studi di geografia culturale rinnovano la comprensione storica delle differenze corporee.
La ricca introduzione di Teresa Bertilotti contestualizza e imprime dinamicità ai lavori presenti nel volume osservando i punti di dibattito tra diverse generazioni di storiche.
In Italia il lungo percorso di istituzionalizzazione ha incontrato numerosi ostacoli, di natura burocratica e accademica, senza mai giungere a completa maturazione, anche in quanto gli studi di genere e delle donne sono sempre rimasti abbastanza indipendenti dalla sfera istituzionale, restando ancorati ad ambienti di militanza politica. Laddove invece una spinta verso l’accademia è riuscita a concretizzarsi, sembra che la materia sia rimasta più autonoma e separata anziché integrata nei corsi o nei dipartimenti di storia. Maria Pia Casalena esplora la complessità di questo percorso, le sue evoluzioni e i suoi dibattiti, frutto di scambi internazionali e inter-generazionali.
Il primo saggio di Maria Pia Casalena esamina la questione dell’istituzionalizzazione osservando gli sviluppi su una linea diacronica: individua innanzitutto un gran numero di pubblicazioni accademiche sulle donne come tema ma senza stabilirne un campo di ricerca scientifico. La svolta avvenne sia per delle congiunture internazionali (pubblicazione di saggi di Natalie Z. Davis e Joan W. Scott), sia grazie alla funzione della rivista accademica Quaderni Storici nel pubblicare dal 1981 al 1999 fino a 100 articoli di storiche su problemi e questioni concernenti la storia delle donne, riguardanti in special modo la storia moderna. Il cui risultato fu inoltre un primo riconoscimento di legittimazione scientifica agli studi dedicati alla storia delle donne in Italia.
Altre riviste fondamentali nel creare una massa critica di pubblicazioni e studi furono DWF Donna Woman Femme e Memoria, le quali promuovevano un dialogo tra le istituzioni accademiche e il movimento femminista. Difatti rimase un problema, a parte per alcune eccezioni, l’assenza di riflessioni femministe nei lavori di numerose storiche che pubblicarono per le più prestigiose riviste dell’epoca quali ad esempio Storia Contemporanea, Storia Urbana e Rivista di Storia Contemporanea. Il panorama era quindi frammentario e le storiche delle donne poco riconosciute dalla comunità scientifica in generale, o se non altro con poca influenza. Solo verso la fine degli anni ’90 verrà raggiunto un riconoscimento più diffuso, sebbene come campo di studi, la storia di genere e delle donne, rimanga minoritaria.
Snodo di questo percorso di riflessione sulla produzione e diffusione di questo tipo di lavoro è la fondazione della Società italiana delle storiche (SIS) nel 1989, che sorge in un momento di bilanci sui lavori pionieristici compiuti in più di un decennio in Italia. La SIS entra in campo in una sorta di secondo stadio in cui subentrano le riflessioni su strategie educative e produzione transgenerazionale, raccogliendo le esperienze e gli intrecci con la società civile e accademica prodotti dai numerosi centri studio e riviste di storia come i sopra menzionati Memoria e DWF.
La SIS si forma come spazio di sperimentazione nel campo dei saperi storici così come di ripensamento dei metodi pedagogici tradizionali dell’accademia, con una forte impronta femminista che preservi e produca cultura femminista all’insegna di uno scambio e dibattito intergenerazionale, il quale si manifesta in special modo nell’inaugurazione nel 1990 della prima Summer School.
L’articolo di Simona Feci, storica e membro da lungo tempo della SIS, indaga la ricezione della storia di genere e delle donne a livello storiografico in Italia. Al cuore dell’analisi vi è il rapporto tra caratteristiche della ricerca, istituzionalizzazione della disciplina e condizioni di produzione del sapere — le quali sono particolarmente restrittive nell’accademia italiana. Dopo aver osservato la vasta tipologia di produzione e trasmissione di conoscenze, in cui la SIS gioca un ruolo fondamentale e trasversale rispetto alle istituzioni, Feci stabilisce una serie di risultati importanti ottenuti dagli anni ’80 in poi: numerosi nuovi temi vengono riconosciuti come possibili oggetti di studio, quali esperienze soggettive come parto e maternità, il ruolo dei rapporti di potere e delle reti di rapporti sociali riguardo all’abilità degli individui (in special modo donne) nello sfruttare il proprio status giuridico e socio-economico, e il tema del corpo, della famiglia e del lavoro. Sebbene i lavori storici su questi oggetti di studio non riescano a giungere con la stessa facilità oltre al XIX secolo, incontrando forte resistenza nella storiografia del XX secolo. Ciò nonostante, questo tipo di lavori spinge una serie di elementi importanti nell’ambiente storiografico: l’enfasi su un approccio alla dimensione storica della costruzione del genere, una certa trasversalità cronologica che deriva dalla collaborazione inter-disciplinare tra donne studiose, lo smantellamento del mito del soggetto neutrale come autore della produzione storica, il quale invece è immerso in rapporti di potere e materiali e il senso di militanza contenuto nello sguardo storico come sguardo critico Nel saggio di Domenico Rizzo riguardante gli studi sulla mascolinità in Italia, vengono affrontati problemi di concettualizzazione che hanno ostacolato lo sviluppo di uno studio più approfondito sulla comprensione della costruzione delle relazioni tra i generi nella storia; difatti una comprensione monolitica della mascolinità, ha creato una profonda arretratezza rispetto agli studi di storia delle donne, in cui il soggetto è stato analizzato e scomposto nella sua intricata costruzione sociale (che comprende molti più fattori del semplice elemento biologico), smantellandone l’unitarietà e la singolarità in un profluvio di differenze che aprono i margini per diversi gradi di agency a seconda delle differenti condizioni storiche. Ciò rimanda a un vasto bacino di domande possibili che vanno a indagare numerosi ambiti della società, dall’economia alla legge, in quanto basati su un sistema di rapporti di generi costruito su gerarchizzazioni ed esclusioni.
Il saggio di Catia Papa traccia l’incrocio tra studi sul colonialismo e sulla razzializzazione con gli studi di genere, partendo dai lavori di antropologia e di storia sulla questione di genere nel contesto dell’Africa Orientale Italiana. Compiendo questa ricerca, analizza inoltre i rapporti tra storia di genere e storia delle donne, proponendo soluzioni a questa stretta dicotomia che rischia di cristallizzarsi in una sterile opposizione.
Infine Elisabetta Bini indaga la ricezione storiografica della storia globale, soprattutto alla luce della storia internazionale e transnazionale dei movimenti femministi, grazie anche alla rinnovata marea politica degli ultimi anni (basti pensare in Italia a Non Una Di Meno, di matrice argentina). L’autrice rimarca l’importanza delle giovani generazioni di ricercatrici nell’importare l’approccio di storia globale al genere, grazie a periodi di studio all’estero dovute anche alla mancanza di opportunità lavorative sul suolo nazionale.
In conclusione al volume, la storica Karen Offen pone delle critiche alla natura eccessivamente teoretica dei lavori nella raccolta e incoraggia ad arricchire il dibattito italiano e internazionale con lavori di ricerca empirica sul campo.
Per concludere ciò che emerge dalla lunga e articolata disamina del libro, oltre il linguaggio specialistico e le questioni storiografiche, è l’enorme costellazione di centri studi, riviste, istituti, associazioni che preservano, producono e sperimentano all’interno della cultura e della politica femministe. Lo spazio alternativo rimane, quindi, un arcipelago da coalizzare, un ricco e vitale assemblaggio di pratiche per i futuri in costruzione.

AAVV
Women’s History at the Cutting Edge
Viella Editrice, Roma, 2020
pp. 120
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Articolo di Riccardo Vallarano

Attualmente studente di Gender Studies all’Università Ucl di Londra, si è laureato all’Università La Sapienza di Roma in Storia moderna e contemporanea. Adora la lettura più della scrittura. È attivo in più campi della cultura ma continua a restare nelle retrovie. Indubbiamente interessato al mondo che verrà.