Arancia meccanica

Diretto nel 1971 da Stanley Kubrick — basato sul romanzo distopico da cui prende il nome, scritto da Anthony Burgess nel 1962 — Arancia meccanica è un film iconico e controverso che ruota attorno a uno dei temi filosofici più dibattuti di sempre, ovvero quello del libero arbitrio. Nonostante le diverse ideologie di fondo, dovute alle differenti dottrine di appartenenza, autore e regista condividevano infatti la medesima convinzione secondo la quale la libertà — intesa come libera scelta di agire per il bene o di perpetrare il male — è la prerogativa che ci rende umani. Lo sconcerto provocato dal film è dovuto proprio al fatto che ribalta i principi morali dei quali ci facciamo paladini: arriviamo infatti a schierarci dalla parte del violento protagonista, il quale incarna proprio la dualità dell’essere umano; emerge quindi il nostro lato oscuro, celato ma non per questo meno vero di quello che invece siamo soliti mostrare, ma anche l’idea che la capacità di fare il bene implica la capacità di fare il male, proprio in virtù del fatto che è di una capacità che si sta parlando, e non di una determinazione.

Alex, interpretato dall’attore Malcolm McDowell

È perciò con l’introduzione al “trattamento Ludovico” che si evince l’essenza del film e la concezione del libero arbitrio caldeggiata da Burgess e Kubrick: dal punto di vista ontologico, è preferibile un Alex criminale — comunque punibile e biasimevole ma pur sempre libero — piuttosto che un Alex come macchina votata esclusivamente al bene — privato cioè della possibilità di scegliere, di quella peculiarità che lo identifica come essere umano; l’Alex post-trattamento non è allora il perfetto cristiano che vogliono farci credere, poiché la sua non è una scelta libera, non è un porgere volontariamente l’altra guancia: egli è semplicemente determinato, costretto a rinunciare all’esercizio della violenza, e in ciò non vi è alcuna libertà, come sostenuto dai libertari — secondo i quali il libero arbitrio è possibile solamente in un contesto indeterministico, in quanto noi agiamo liberamente solo quando possiamo scegliere tra diversi corsi di azione e la nostra scelta tra questi non è già determinata ma dipende interamente da noi (il libertarismo è infatti quella concezione positiva del libero arbitrio che nega il compatibilismo, ossia nega l’idea che libero arbitrio e determinismo siano compatibili, ma bensì ritiene che sia proprio la mancanza di determinazione a essere condizione necessaria della libertà; tuttavia, l’incompatibilismo libertario non è in grado di spiegare in modo convincente come gli agenti possano realmente controllare le azioni che compiono, dato che l’indeterminismo implica inevitabilmente la casualità anch’essa negazione della libertà).

Stanley Kubrick e Malcolm McDowell

Il trattamento rieducativo dunque — consistente nella visione forzata di scene di violenza accompagnate in sottofondo dalle celebri musiche di Beethoven — sottrae al protagonista il libero arbitrio, determinandolo così a essere sempre buono, ma anche la facoltà di poter apprezzare la bellezza: egli infatti diventerà innocuo, non sarà più in grado di compiere azioni violente (e quindi nemmeno di proteggersi da esse quando sono rivolte verso di lui, come dimostrato dal test volto a decantare i risultati che si possono ottenere con questa “cura” e dai successivi incontri con coloro che avevano subito le sue angherie, pronti a vendicarsi) ma al tempo stesso proverà sofferenza ogniqualvolta gli capiterà di sentire composizioni che prima tanto amava, come la Nona Sinfonia di Beethoven. Interessante, poi, il fatto che sia Alex stesso a richiedere di essere sottoposto al trattamento, visto da lui come unica via di fuga dal carcere: egli è disposto a tutto pur di essere libero, peccato però che la sua libertà si limiti solamente a un contesto politico-sociale, senza raggiungere l’ambito etico, e che quindi egli — dopo questa sorta di scientifico lavaggio del cervello — si ritroverà a dover affrontare la vita camminando sul filo di una bontà imposta, che lo renderà perciò totalmente inadatto a sopravvivere in una società come quella proposta nel film.

Inoltre, come già accennato, Kubrick e Burgess sono cresciuti seguendo religioni differenti (il primo nato da genitori di origine ebraica e il secondo da genitori cattolici) ma è evidente come il film rimanga fedele al romanzo, in quanto in entrambi possiamo infatti cogliere una forte impronta teologica di stampo cristiano: viene cioè sottolineato come il destino di ogni uomo risieda nelle sue stesse mani, e come sia quindi egli stesso a decidere volontariamente se compiere buone azioni o azioni malvagie (la dottrina cattolica difatti rifiuta la predestinazione — ossia la teoria secondo la quale Dio avrebbe già deciso chi merita di essere salvato e chi no, come invece sostenuto dai calvinisti). È presumibile perciò che sia anche per questo che l’autore ha realizzato un epilogo — non esteso alla pellicola — in cui Alex matura, prende le distanze dalla condotta immorale perseguita in gioventù, e comincia invece a pensare a sé nelle vesti di marito e padre (segno di come la credenza di Burgess nel libero arbitrio si rifletta nella capacità di Alex di scegliere dapprima il male, salvo poi ricredersi e decidere di intraprendere un altro percorso, ma pur sempre secondo la sua libera volontà).

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Articolo di Arianna Zelli

Arianna Zelli è nata a Roma nel 1997 e si è laureata in Scienze della Comunicazione all’Università Roma Tre, presso la quale frequenta la magistrale in Informazione, Editoria e Giornalismo. La sua più grande passione è la scrittura e spera che un giorno questa possa diventare la sua professione.

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