In una calda estate italiana di Mondiali di calcio, c’era chi aspettava intrepida il Cantagiro, una manifestazione canora itinerante che, con alterne fortune, si svolgeva in varie città della Penisola che si erano offerte di ospitarla per poi andare in onda su Rai Due. Era poco più che una bambina, ma sentendo la canzone di una giovane e affascinante cantautrice, Paola Turci, rimase folgorata dalla parola straniera desaparecidos, associata ad un tradimento e alla piazza di una città, Buenos Aires, che lei conosceva perché quell’anno a scuola aveva imparato le capitali del mondo e quella era dell’Argentina.

Ma cosa voleva dire quella parola? E chi aveva tradito il padre del bambino cantato nella canzone? È naturale fare domande a nove anni, un po’ meno comprendere le risposte anche quando ti vengono fornite adeguatamente. Non capì, ma continuò a cercare e continua a farlo perché quando si tentano di cancellare 30.000 persone facendole sparire, l’unico modo per avere risposte è conoscere le loro storie e restituire quell’identità che fu loro tolta anche se la Giunta militare argentina, nel periodo che rimase al potere, non si limitò a questo, ma andò molto oltre togliendola anche a figli e figlie strappati/e alle madri detenute, quindi affidati/e illegalmente alle famiglie dei loro aguzzini in una guerra definita “sporca” sia per le atroci detenzioni e pratiche di tortura messe in atto; sia per il silenzio con cui si verificavano gli arresti, le sparizioni e le sottrazioni dei/le minori. Videla voleva evitare l’indignazione internazionale suscitata dalle immagini dello Stadio di Santiago del Cile, mostrarsi immacolato e continuare a terrorizzare con arresti notturni realizzati da uomini senza scrupoli e lasciando le famiglie delle/gli studenti e delle/i giovani coinvolte/i senza notizia alcuna delle persone care. Quest’anno la mia ricerca è andata verso la narrativa, avevo bisogno di una storia raccontata, magari non realmente accaduta, ma non per questo meno intensa e ho scelto un romanzo di Elsa Osorio dal titolo I vent’anni di Luz.
Ciò che all’inizio mi ha un po’ destabilizzata per poi lasciarmi affascinata è stata la polifonia di punti di vista e la capacità dell’autrice di gestire con disinvoltura una narrazione che si dipana attraverso la presentazione di una vicenda complessa e tragica raccontata a volte in prima persona, altre in terza da diversi personaggi, anche se il punto di vista femminile è dominante. Si parte proprio con la ricerca di sé dopo un avvenimento meraviglioso, ma nel contempo estremamente destabilizzante come la maternità: Luz, dopo il parto di Juan, figlio nato dall’amore per Ramiro, sente che quell’angoscia, quello smarrimento, quel vuoto che da sempre ci sono dentro di lei hanno bisogno di risposte e questa ricerca della verità sulle sue origini, pur provenendo da un dolore viscerale, prende forma proprio grazie al forte legame con Ramiro e con Juan. Quest’ultimo aspetto è una costante del libro: tutti i personaggi che cercano la verità nel romanzo sono in qualche modo mossi all’azione dall’amore, non dal desiderio di vendetta e dall’odio e sono proprio loro a evolvere e a subire profonde e radicali trasformazioni. Luz, quindi, cerca di comprendere le sue origini perché da sempre la madre, Mariana, con cui ha un pessimo rapporto, l’accusa di avere qualcosa che non va a livello genetico e questo la sconvolge. Ramiro, inoltre, è il figlio di un desaparecido e lei, nipote del colonnello Dufau, uno dei peggiori torturatori di un regime ormai caduto quando i due ragazzi si conoscono, non ha mai avuto modo di conoscere la verità sui misfatti del nonno. Il contatto con il giovane, insomma, le trasmette quell’insaziabile voglia di sapere che la porta oltre agli orrori commessi, anche a scoprire le incongruenze del suo passato. All’inizio il rapporto fra Ramiro e Luz è difficile per via soprattutto della madre di lei, ma poi la voglia di amarsi prevale e la gravidanza inaspettata della giovane aiuta più di quanto desti sconcerto nella sua famiglia bigotta.
Dopo il matrimonio e la nascita del bimbo, Luz arriva a Madrid con Ramiro e Juan, alla ricerca disperata di un nome: Carlos Squirru; lui dovrebbe essere suo padre naturale, gliel’ha detto Miriam, un’ex prostituta che figura come sua madre nel certificato di nascita, ma in realtà non lo è. Insomma, la bambina era destinata a lei, le era stata promessa dal fidanzato, il Bestia, uno dei torturatori che collaboravano con il generale Dufau, il nonno di Luz, che però in realtà non è suo nonno, ma un ladro, come Miriam, del resto, se quella bambina fosse stata data a lei che non poteva più avere figli dopo molteplici aborti clandestini. L’autrice affida proprio a Miriam il compito di raccontare la nascita e i primi giorni di vita di Luz, ma prima lascia che ripercorra la sua storia fatta di grandi speranze di successo nel mondo della moda, terminate poi con la prostituzione e la relazione con uno di quei militari che la volevano per soldi, il Bestia, che però sostiene di amarla e di volerla sposare; lei ci crede, acconsente a farlo vivere nella propria casa con la promessa che lui la renderà madre. La promessa della bambina però salta perché quella neonata improvvisamente diventa una missione affidatagli dal suo superiore, il colonnello Dufau, che deve rimediare agli errori del genero, dopo aver scelto per la figlia un medico incapace: il bambino che doveva partorire è morto e ora lei si trova in terapia intensiva. Agire in fretta significa trovare un figlio sostituto per non permettere al dolore di travolgere la donna, ma soprattutto per la reputazione e il buon nome dei Dufau che non possono sopportare la vergogna di aver perso il nipote per l’incompetenza di un medico scelto dal genero Eduardo. Viene quindi stabilito che il genero dichiari la bambina figlia propria anche se sul certificato di nascita è indicato il nome di Miriam, con cui il Bestia ha registrato nell’ospedale dove partorisce la vera madre di Luz. Una volta ristabilita la figlia Mariana, la bambina sarebbe stata portata a casa senza dirle nulla, facendole credere che fosse sua. Eduardo, costernato, tenta di opporsi, ma i suoi sensi di colpa lo rendono impotente di fronte al suocero. In attesa di sapere cosa ne sarà di Mariana, il colonnello chiede al fido Bestia di mettere al sicuro la futura nipote e la madre naturale, una detenuta sovversiva. L’uomo opta per portarla a casa affinché se ne prenda cura Miriam che all’inizio ha molta difficoltà a relazionarsi con la madre della bambina, Liliana, ma alla fine le due riescono ad accogliersi reciprocamente nonostante provengano da due mondi così diversi e che appaiono spesso incomunicabili.
Ciò avviene grazie a Luz, che Miriam chiama inizialmente Lili, per l’amore che entrambe le donne provano per lei, ma anche per quella capacità tutta femminile di superare posizioni ideologiche inconciliabili in nome di un bene superiore, in tal caso la vita della bambina. Questo consente una crescita profonda soprattutto di Miriam che vede lucidamente attraverso il racconto di Liliana il vero volto mostruoso dell’uomo con cui condivide la vita e decide di riscattarsi, di scappare insieme alla donna e alla piccola: il tentativo di fuga fallisce, Liliana viene crivellata di colpi dalla polizia e muore, la bambina viene ceduta al colonnello Dufau e Miriam, con la complicità di Frank, portiere di un albergo in cui aveva svolto la sua attività di prostituta, riesce a lasciare il Paese prima di venire trovata dal Bestia; conserva tuttavia in cuore la promessa fatta a Liliana prima di morire: salvare la figlia e raccontarle la verità. La sua testimonianza sarà alla fine determinante per Luz per conoscere la sorte dei suoi veri genitori. Intanto Luz viene affidata alla figlia e al genero di Dufau. A Mariana, come deciso, viene taciuta la morte del figlio naturale e le viene presentata Luz come sua, mentre Eduardo acconsente allo scambio rassicurato dal suocero sul fatto che la bambina fosse stata abbandonata dalla vera madre. A destabilizzare il quadretto felice di una famiglia, che attribuisce un’importanza vitale all’ubbidienza, al rispetto incondizionato verso la linea del colonnello e alla reputazione, arriva l’esuberanza di Luz e una progressiva presa di coscienza degli errori commessi da parte di Eduardo che, con l’avvento della democrazia in Argentina, comincia a provare una profonda insofferenza verso la moglie e il suocero, da lei sempre difeso ed elogiato nonostante quanto stesse trapelando in merito alle attività durante il regime militare. A spingere Eduardo a fare chiarezza sulle origini di Luz è Dolores, un suo amore giovanile, rientrata in Argentina per far luce, insieme alla madre Susana, sulla sparizione del fratello Pablo e della moglie Mirta incinta. Eduardo e Dolores si incontrano casualmente: il dolore di lei e l’amore che esplode fra i due diventano i motori della ricerca della verità per l’uomo che visi avvicina pericolosamente tanto da portare il suocero a farlo uccidere non prima però di aver rivelato a Mariana la verità sulla nascita di Luz.
Per raccontare l’evoluzione del personaggio, l’autrice affida il compito proprio a Eduardo che, come Miriam, narra le vicende mediante il proprio punto di vista, ma ciò non avviene utilizzando la prima persona, tecnica narrativa sfruttata solo per connotare i racconti di Miriam e Luz. Intanto Miriam prova più volte ad avvicinarsi a Luz, prima premeditando un rapimento; poi offrendosi di raccontare la verità a Eduardo ed esponendosi ad un grande pericolo dato che il colonnello Dufau invia il Bestia per eliminarla: ciò che non riesce con lei colpisce invece Eduardo.Tutti questi avvenimenti sono esposti dai vari personaggi non solo mediante i diversi punti di vista, ma attraverso il dialogo fra Luz e il padre, sfuggito miracolosamente al regime e ora residente in Spagna. All’inizio intransigente sia nei confronti di Liliana che aveva accettato l’aiuto di una prostituta, sia nei confronti di Luz quando si ostina a chiamare padre e madre Eduardo e Mariana, cambierà atteggiamento per amore di quella figlia di cui non conosceva l’esistenza dal momento che gli avevano detto che la compagna aveva partorito un figlio morto, ma anche per la determinazione di Luz che non si risparmia di rinfacciargli di non aver mai indagato oltre rispetto a quanto gli avevano riferito e lo lascia di stucco quando sottolinea come decidere di avere un/a figlio/a in clandestinità significava sottoporlo/a ad un destino di sofferenza e di dolore: loro avevano potuto scegliere, lei no.

Queste tensioni si ricompongono in nome di un sentimento più forte del rancore che è l’amore per la verità e la giustizia di cui Luz è portatrice e che eredita dal suo popolo e, in particolare, dalla battaglia delle donne. Una parte importante del libro, infatti, è quella dedicata alle Nonne di Plaza de Mayo a cui Luz si rivolge per avere un aiuto e, anche se all’inizio il suo caso risulta anomalo e quasi irrisolvibile, si crea con Delia, una di loro, un forte legame nonostante Luz si vergogni di essere la nipote di Dufau e questo possa costituire un elemento di contrapposizione. Fra le due donne nasce un’intesa, una voglia di vivere e condividere le proprie esperienze che va oltre l’essere figlia di o il fatto di avere oppure no una madre desaparecida.
Come dicevo all’inizio, il libro è scritto da una donna ed è un libro di donne che si cercano, si ridefiniscono attraverso la sofferenza e in nome dell’amore scoprendo quanto il dolore condiviso sia non solo più sopportabile, ma anche uno strumento di riscatto che rende capaci di opporsi ad un regime spietato ,permettendo di ridare un’identità a chi è stata negata. Accade a tutti i personaggi del libro di restare folgorati dallo sguardo smeraldino di Luz e accade anche a Nora, madre di una figlia uccisa, nonna di un nipote registrato come morto e che a sessantacinque anni scopre viva quella nipote, creduta morta, e nei suoi occhi rivede quelli della figlia. Anche Nora è una donna nuova, che ritrova se stessa in questa inaspettata e travolgente esperienza di rinnovata maternità.

Elsa Osorio
I vent’anni di Luz
Guanda, Milano, 1998
pp. 368
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Articolo di Alice Vergnaghi

Docente di Lettere presso il Liceo Artistico Callisto Piazza di Lodi. Si occupata di storia di genere fin dagli studi universitari presso l’Università degli Studi di Pavia. Ha pubblicato il volume La condizione femminile e minorile nel Lodigiano durante il XX secolo e vari articoli su riviste specializzate.