Milena Jesenská

6441 Milenajesenská è un asteroide della fascia principale, scoperto nel 1988 e dedicato a lei, Milena Jesenská: traduttrice, scrittrice, giornalista ceca, attiva nella Resistenza, deportata a Ravensbrück e proclamata Giusta fra le Nazioni nel 1994.

Un riconoscimento, nello spazio toponomastico dell’universo, a una donna dalla personalità così complessa e variegata da sfuggire a una definizione univoca, ma conosciuta ai più soltanto per essere «l’amica di Kafka» in quanto destinataria delle sue lettere. Milena, che tradotto in lingue slave significa allo stesso tempo amante e amata, sembra realizzare il significato del suo nome nella generosità estrema che la caratterizza, donandosi nello stesso modo alle persone amate così come agli ideali che orientano la sua vita. Anticonformista, ribelle, difensora della giustizia, politicamente e culturalmente impegnata nelle vicende dolorose del suo tempo, sin da piccola apprese, nel comportamento di sfida del padre caratterizzato dal suo «stare dritto e porgere aiuto», quel comportamento eroico ed altruista che ne illuminò tutta la vita.

Milena Jesenská

Nacque a Praga il 10 agosto 1896; suo padre, Jan Jesenský, fu un noto chirurgo dentista e professore presso l’Università Carolina; la madre, Milena Hejzlarová, che Milena accudirà durante la lunga malattia, diventando la sua infermiera quasi a tempo pieno, morì quando lei aveva appena 16 anni.
Frequentò il “Minerva” a Praga, uno dei primi licei femminili in Europa, fondato nel 1890 da una donna determinata e colta, la scrittrice Eliška Krásnohorská. In quel periodo scoprì il valore terapeutico della scrittura iniziando a pubblicare qualche articolo sul giornale scolastico; tra questi, ricordiamo Le nostre aspirazioni dove descrisse la struttura della sua scuola ideale, il liceo femminile che sognava di aprire quando fosse stata adulta. Fu però la corrispondenza con la sua insegnante prediletta, Albína Honzáková, una delle prime donne ceche laureate in filosofia, a renderle più lievi e significativi gli anni della scuola.

In quel periodo fece parte di un gruppo di ragazze intellettualmente vivaci che si facevano notare per il comportamento libero e provocatoriamente anticonformista, varcando i confini geografici che tradizionalmente separavano nella città la popolazione ceca da quella tedesca e sognando un mondo in cui le donne potessero ricoprire un ruolo sociale oltre che familiare. Milena era quella che dettava le regole e sul suo conto circolavano leggende: si diceva che sperperasse denaro come una pazza oppure che avesse attraversato a nuoto la Moldava con gli abiti addosso per non perdere un appuntamento o ancora che fosse stata arrestata alle cinque del mattino per aver raccolto fiori per un ragazzo in un parco pubblico.

Dopo il liceo il padre volle che la figlia studiasse medicina per continuare la tradizione di famiglia costringendola perfino ad assistere alle operazioni per ricostruire i volti distrutti dei feriti della Prima guerra mondiale. Ma Milena non diventò mai medica: dopo due semestri abbandonò gli studi. La sua grande passione era il mondo della letteratura e, proprio frequentando i circoli letterari di Praga, conobbe Ernst Pollak, intellettuale e critico ebreo che sposò nel 1918 contro il volere del padre (nazionalista e antisemita), il quale, sperando di impedirle di compiere questo passo, arrivò a farla rinchiudere per nove mesi nella clinica psichiatrica di Veleslavín.

Con il marito si trasferirono a Vienna, ma poiché gli introiti di Pollak non erano sufficienti per vivere dignitosamente, Milena decise di contribuire, all’inizio svolgendo i lavori più umili, poi cominciando a scrivere i primi articoli, intraprendendo così la tanto desiderata carriera giornalistica, infine facendo traduzioni dal tedesco al ceco (tradusse, fra gli altri, testi di Rosa Luxemburg, Hermann Broch, Franz Werfel, Stevenson, Guillaume Apollinaire, Paul Claudel). Per questo motivo contattò lo scrittore, allora semisconosciuto, Franz Kafka proponendogli la traduzione del racconto Il fuochista.

Lui accettò: iniziò così un rapporto epistolare che, nel mutare dei sentimenti, assunse ben presto toni intimi e appassionati, toccando tutti i meandri dell’esistenza e trasformandosi in letteratura.

Franz Kafka e Milena Jesenská

A lei, lo scrittore dedicò il libro: Lettere a Milena e a lei, come segno di stima e totale fiducia, lasciò i propri diari. Ma il rapporto con Kafka, iniziato nell’aprile del 1920 mentre lo scrittore, affetto da tubercolosi polmonare, si trova a Merano per un periodo di cura e di riposo, si concluse presto perché, come lei stessa dirà: «Io avevo i piedi ancorati saldissimamente in questa terra, non ero in grado di abbandonare mio marito e forse ero troppo donna per trovare la forza di assoggettarmi a una vita che sarebbe stata, sapevo bene, la più rigorosa ascesi fino alla morte. Dentro di me c’è però un invincibile desiderio, un desiderio folle di una vita tutta diversa da quella che faccio e che forse non farò mai, di una vita con un figlio, di una vita che sia molto vicina alla terra».

A Vienna, Milena cominciò anche a scrivere per alcune delle più note riviste di Praga: “Tribuna”, “Národní listy”,”Pestrý týden” e “Lidové noviny”. Nei suoi articoli rivelò ottime capacità di analisi sociologica, non fermandosi alla superficie degli eventi e delle situazioni né lasciandosi condizionare da stereotipi o semplificazioni ma, da reporter professionista, verificando sul campo le notizie, cogliendone il senso dal dialogo diretto con le persone, tenendosi lontana sia dalle ideologie che dalla retorica.

Nel 1925 Jesenská divorziò da Pollak; pur essendo una donna libera mal si adattava alla promiscuità sessuale proclamata dal marito.

Ritornò a Praga, dove conobbe e sposò l’architetto ceco Jaromír Krejcar e nel 1928 nacque la figlia Jana. Ma durante la gravidanza sviluppò una grave e dolorosissima forma di artrite che la renderà claudicante e, per un lungo periodo, dipendente dalla morfina. Milena sperimenterà in questa fase tutte le contraddizioni dell’essere madre e donna che già aveva espresso nel desiderio profondo di maternità e, contemporaneamente, nella paura di perdere la propria libertà. Temeva per le ripercussioni che avrebbero potuto riverberarsi sul suo lavoro e sulla sua vita privata; timori che non risulteranno infondati. Durante la malattia continuò tenacemente a scrivere i suoi articoli, ma da parte della redazione ricevette segni di insofferenza, minacce di licenziamento, rifiuti netti alle sue domande di anticipo sullo stipendio e disconoscimenti.

Negli anni Trenta si avvicinò al comunismo come molti/e altri/e intellettuali cechi/e di quel periodo, affascinata dalle vicende dell’Unione Sovietica e dai princìpi del comunismo che le apparivano molto vicini ai suoi sentimenti di attenzione e cura verso le persone più deboli, ma la sua appassionata partecipazione si trasformò in critica radicale e successivo abbandono per questa ideologia quando prese coscienza degli eccessi dello Stalinismo, le cui somiglianze con il nazismo erano, per lei, evidenti.

Così scriveva: «Ci interesserebbe sapere che cosa è accaduto ai tanti comunisti cechi e ai semplici lavoratori che anni fa sono andati nella Russia sovietica». Milena quindi si attivò per offrire aiuto ai/lle compagni/e latitanti o a quelli/e arrestati/e e condannati/e al carcere che, una volta in libertà, si trovavano ad affrontare gravi problemi economici e abitativi, ospitandoli/e spesso in casa propria.

Nel frattempo, anche il suo secondo matrimonio finì. In questa attività di soccorso a compagni e compagne conobbe Evžen Klinger, giovane slovacco, ammalato e ricercato, che Milena accolse nella sua abitazione e con il quale iniziò una profondissima relazione. Sarà con Evžen, il quale resterà a vivere con lei prendendosi cura anche della figlia, che vedrà realizzato il suo ideale di amore coniugale espresso nell’articolo Il diavolo in casa: per lei il vero amore risiede nell’affermazione «Non ti do via»… nonostante tutti gli errori e le manchevolezze reciproche, così come dice una mamma ai suoi bambini.

Intanto in Cecoslovacchia si riversavano centinaia di profughi dalla Germania in cerca di salvezza: erano ebrei e comunisti, adulti/e, vecchi e bambini/e. Milena non poteva restare indifferente di fronte a questo grido d’aiuto collettivo e il 27 ottobre pubblicò un lungo articolo — Uomini sull’orlo dell’abisso — sulla condizione degli emigrati tedeschi.

Quando nel marzo 1939 le truppe hitleriane invasero il suo Paese, ella capì che avrebbe dovuto concentrare tutti i suoi sforzi nell’aiuto alla popolazione ebraica. Mentre scriveva sulla prestigiosa rivista “Přítomnost” dell’ascesa del Partito nazista in Germania, dell’indottrinamento nazista nelle scuole, dell’antisemitismo, dell’annessione dell’Austria e sulle conseguenze che tutto ciò avrebbe avuto per la Cecoslovacchia, entrò nella Resistenza. Aiutò persone ebree e rifugiati politici a fuggire, dando vita, insieme al giovane Joachim von Zedtwitz, a una rete di salvataggio.

Nel novembre 1939, mentre diffondeva materiale sovversivo, fu arrestata dalla Gestapo e incarcerata, prima a Pankrác poi a Dresda. Nell’ottobre 1940 fu deportata nel campo di concentramento di Ravensbrück.

I quattro anni di prigionia sono stati raccontati con viva partecipazione da un’altra grande donna, che nel campo diventa sua confidente e amante: Margarete Buber-Neumann, comunista tedesca precedentemente internata nel Gulag di Karakanda in Kazakistan e poi consegnata alla Gestapo, che le sopravviverà e ne scriverà la biografia: Milena. L’amica di Kafka.

Qui fornì sostegno morale e psicologico alle altre prigioniere. Sul braccio portava il numero 4714, ma molte la chiamavano 4711 come la famosa acqua di colonia e, sempre per lo stesso motivo, invece che Krejcarová, venne soprannominata Carevna, in russo sovrana.

Ella si poteva distinguere tra le altre prigioniere, anche se indossava la stessa uniforme, per il suo modo di muoversi, per il suo modo di parlare e per ogni suo gesto, che sembrava gridare: io sono una persona libera.

Morì nello stesso campo il 17 maggio 1944. Cinquant’anni dopo lo Yad Vashem ne riconoscerà i meriti.

«[…] verrà davvero il giorno in cui potremo vivere fianco a fianco – tedeschi, cechi, francesi, russi, inglesi – senza farci del male, senza doverci odiare, senza farci torto a vicenda? Verrà davvero il giorno in cui fra gli Stati ci sarà comprensione come fra gli individui? Cadranno un giorno le frontiere fra i Paesi, così come cadono quelle fra gli uomini quando essi si avvicinano? Come sarebbe bello vedere quel giorno!» “Přítomnost” — Praga, la mattina del 15 marzo 1939.

Qui le traduzioni in francese, inglese e ceco.

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Articolo di Paola Malacarne

Psicologa clinica e di comunità, ex insegnane di scuola dell’infanzia, progetta percorsi formativi per le P.O. e corsi di formazione pittorica per docenti, che hanno come fine, oltre alla formazione stessa, il benessere professionale.
Si occupa di cine-terapia e conduce gruppi di incontro e counseling, incentrati sull’esperienza filmica.

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