Beatrix de Rijk

Forse sono le dimostrazioni delle macchine volanti dei fratelli Wright nei cieli di Francia, tra il 1908 e il 1909, a spingere Beatrix de Rijk verso gli aeroplani. Da qualche anno la giovane Beatrix vive a Parigi e lavora come modella. Il bell’aspetto, il volto fresco e vivace le hanno aperto le porte dell’haute couture, ma non è quella la sua strada. La vita la porterà in alto, nell’aria, alla guida di quei nuovi trabiccoli leggeri capaci di sollevarsi da terra e volteggiare fra le nuvole. L’aeronautica è solo agli inizi, ma Beatrix sente di dover raccogliere la nuova sfida, anzi la doppia sfida: quella contro la forza di gravità e quella contro i pregiudizi. L’avventura del volo è per gli uomini, valorosi per carattere, temerari per natura; le donne, angeli del focolare, non possono diventarlo anche dell’aria. Beatrix de Rijk, donna dal carattere deciso, non è di questa opinione e sa che può dimostrarlo. 

Beatrix de Rijk, tra le donne icone dell’aviazione militare


Nasce a Surabaya, nelle Indie orientali olandesi, il 24 luglio 1883 da una agiata famiglia borghese originaria dei Paesi Bassi. La sua infanzia e la sua adolescenza sono piene di attività sportive, dal tennis all’equitazione al pattinaggio. Quando diventa grande abbastanza, rivela la sua natura ardimentosa: impara a guidare la motocicletta, l’automobile, partecipa a voli in mongolfiera. Dalla mongolfiera all’aereo il passo è quasi scontato e breve. Rientrata in Europa dalle Indie orientali olandesi intorno al 1903 Beatrix, dopo un breve periodo trascorso in Olanda, sceglie di vivere in Francia. Comincia a frequentare il campo di volo di Bétheny, vicino a Reims. Il suo istruttore, l’aviatore Marcel Hanriot, la giudica subito un’ottima allieva, migliore di tanti suoi colleghi. Ha talento e coraggio da vendere quella ragazza dallo sguardo intenso, che entra nella carlinga nonostante le gonne lunghe e una specie di turbante orientale in testa. Hanriot l’apprezza e le svela i segreti del volo.  
La scuola è costosa, ma Beatrix ha una solida rendita economica grazie alla quale non solo paga le lezioni, ma compra anche un velivolo personale, un monoplano Deperdussin, con il quale vuole dimostrare l’abilità femminile alla cloche. Il sogno si avvera qualche tempo dopo. Il 6 ottobre 1911 supera l’esame e ottiene la licenza di volo, ricevendo la tessera n° 652 della Federazione aeronautica di Francia. Beatrix de Rijk diventa pilota, una pioniera dell’aria, la prima donna dei Paesi Bassi a ottenere un brevetto di volo e a guidare un aereo. Entra a far parte del primo aero-club francese tutto femminile, La Stella, e come le altre socie intende dare il proprio contributo alla conquista del cielo, infischiandosene dei pregiudizi e degli stereotipi che la vorrebbero moglie fedele e mamma amorosa. Il suo primo matrimonio, celebrato contro la volontà della famiglia, è naufragato da tempo e il suo unico figlio è rimasto a vivere nelle Indie orientali olandesi.

Tessere ufficiale della Federazione dell’Aereonautica Nazionale, Amsterdam, Amsterdam Museum

  
Quando scoppia la Prima guerra mondiale Beatrix è pronta a partire. Chiede di partecipare come volontaria nei ranghi della neonata aeronautica francese, ma la sua offerta cade nel vuoto, le leggi militari non prevedono la partecipazione femminile. Tenta allora con l’esercito olandese, riceve tanti ringraziamenti ma un fermo diniego. La delusione deve essere stata cocente, dopo il 1914 Beatrix non si dedica più al volo anche se nel 1935 prova, ancora senza successo, a proporsi come pilota in azioni di guerra, questa volta contro le truppe italiane di occupazione in Etiopia. 
Beatrix è alla ricerca di un posto in cui vivere e di nuove avventure, si muove con il secondo marito Jan tra l’Europa e le Indie orientali olandesi. Partecipa a gare automobilistiche, tenta di avviare attività economiche, ma pur essendo una donna risoluta e capace, non si dimostra altrettanto capace coi suoi averi, che perde completamente negli anni Venti. Fallita ma non sconfitta, Beatrix affronta la seconda parte della sua vita fedele al motto che le viene attribuito: «Ridi e dimentica». Non sono anni facili per lei ma la gioia di vivere non la abbandona mai.  
Durante la Seconda guerra mondiale suo marito scompare senza lasciare traccia, il suo unico figlio muore nel 1943, prigioniero in un campo di internamento giapponese. Praticamente in miseria, Beatrix deve adattarsi a vivere in modeste camere, a mantenersi con lavori umili come l’aiutante lavapiatti o la donna delle pulizie. Viene in suo soccorso la Royal Duch Aviation Association che integra un po’, con sussidi economici e materiali, la magra pensione. 
Nelle piccole stanze in cui è costretta a vivere, Beatrix si sente prigioniera come un uccello in gabbia. Ripensa alle sue scorribande nei cieli, le paragona a tentativi di suicidio, tanto erano pericolose e ai limiti dell’impossibile. Per affrontare il volo bisognava essere molto audaci e altrettanto incoscienti. Quei primi aeroplani erano leggeri, realizzati con materiali semplici, senza alcuna protezione di sicurezza e privi di strumentazioni adeguate. Erano state avventure rischiose e temerarie, ma erano state la realizzazione di un sogno. E quando le passioni si mescolano con l’incoscienza della giovinezza, tutto il resto passa in secondo piano.  
Il desiderio di Beatrix di volare è stato uno dei numerosi tentativi di aprire la breccia nel mondo dell’aeronautica, tradizionalmente “maschile”; è stato anche un modo di contribuire alla narrazione dell’epopea del volo. Eppure non è bastato. Pioniera dell’aviazione olandese, Beatrix de Rijk viene dimenticata subito, quando è ancora in vita. Muore in solitudine e povera il 18 gennaio del 1958, dopo una lunga malattia. 

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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.

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