Welfare come bene comune. Analisi, riflessioni, visioni, pratiche. Parte prima

Nel 2010, con la giornata di studio su Differenti ma non diseguali. Lavoro, welfare, eguaglianza tenutasi presso l’Università di Bergamo, è iniziato un lavoro di approfondimento e riflessione che, come IFE Italia, abbiamo portato avanti con il seminario su Le politiche di welfare nell’epoca neoliberista, Bergamo 2013, con il recente webinar su Bisogni e cure. Le politiche di welfare al tempo del Covid e con il ciclo di brevi incontri online La cura, in pillole. Welfare come bene comune, da poco conclusosi.

È nostra intenzione continuare questo lavoro di approfondimento su “welfare come bene comune”, proponendolo a tutte le soggettività con le quali siamo in relazione da tempo e con le quali condividiamo il medesimo interesse.

Le differenti fasi del modello di welfare.

Da “welfare State” a “welfare mix”.
Negli anni ‘70, grazie alle grandi mobilitazioni dei movimenti sociali, si è raggiunto il maggior sviluppo economico, abbiamo assistito alla massima crescita dell’intervento dello Stato nei servizi di welfare.
Grazie alle importanti lotte del movimento operaio e dei movimenti delle donne vedono la luce leggi fondamentali : la 1044/71 sugli asili nido, la 405 /75 sui consultori, il nuovo diritto di famiglia nel ’75, la 833/78 che costruisce il Sistema sanitario pubblico, la 194 /78 sul diritto all’IVG, la 180/78 detta legge Basaglia.
Già negli anni ‘80/’90, però, comincia una prima rimessa in discussione del modello di intervento statale e quindi una trasformazione del sistema pubblico di welfare.
Gli elementi di fondo che caratterizzano questa trasformazione possono essere individuati:

1) nella precarizzazione del lavoro salariato, che fa saltare lo schema del “salario complessivo”, nelle sue forme di salario diretto, sociale (rete pubblica dei servizi), differito (pensioni).
Giova ricordare che la precarizzazione del lavoro è coincisa con un forte aumento di manodopera femminile (la cosiddetta femminilizzazione del lavoro), un fenomeno complesso che ha in sé elementi positivi (l’ingresso nel mondo del lavoro salariato ha significato per molte donne un importante processo di emancipazione) e al contempo negativi (l’aumento di manodopera femminile ha consentito di generalizzare delle condizioni di lavoro storicamente prerogativa delle donne: part-time, flessibilità, precarietà, bassi salari).
E così l’affermazione «pago le tasse per avere in cambio i servizi» diventa già da allora in larga parte obsoleta. Il lavoro precarizzato ha fatto altresì diminuire la base materiale (il numero di coloro che versano le tasse) su cui poggiava il sistema di protezione sociale. Una base, in Italia, quasi completamente coincidente con il numero delle e dei lavoratori dipendenti vista la percentuale di evasione fiscale. La crisi economica del 2008, con l’esponenziale aumento di licenziamenti, mobilità, cassa integrazione, acuisce formidabilmente la situazione generale;

2) nella nascita del terzo settore, immaginato dalla Comunità Europea alla fine degli anni ’70 e nato in Italia nei primi anni ‘90, sotto la spinta del Trattato di Maastrick; viene pensato come concettualmente distinto dallo Stato ma collegato a esso attraverso il principio di “sussidiarietà orizzontale”. Un principio che modifica nella sostanza il concetto di “pubblico” tanto che in Lombardia nel 1997, nell’era Formigoni, con la legge 31 in materia di sanità, si arriva a definire come soggetto pubblico chiunque svolga una funzione pubblica.
A partire dagli anni ’90 vengono approvate una serie di leggi – la legge quadro sul volontariato, quella sulle cooperative sociali, la 328 del 2000, che pure contiene una serie di aspetti positivi a partire dalla definizione dei LEA, cioè i Livelli Essenziali di Assistenza – attraverso le quali si assume il principio di “sussidiarietà orizzontale”, si riduce significativamente il ruolo Stato sia come regolatore del sistema sia come erogatore di servizi e si determina la presenza di una pluralità di soggetti (cooperative sociali, associazioni no profit, fondazioni…)  finanziati con denaro pubblico.
Il modello di riferimento è stato, come detto sopra, quello lombardo che richiamandosi alla dottrina sociale più integralista della chiesa cattolica ha postulato l’equiparazione fra soggetto pubblico e privato, sostenendo che chiunque svolga una funzione pubblica è da considerarsi “de facto” soggetto pubblico.
È utile ricordare che con la legge Amato/Carli del 1990 nascono le Fondazioni di carattere bancario, che poi, nel ‘98, diventeranno Enti di tipo privato.
Si passa quindi da un “welfare state” a un “welfare mix”, che trasforma natura e funzione sia dello Stato che dello stesso privato sociale, ormai parificato al pubblico;

3) nella modifica del Titolo V della Costituzione (L.3/2001), attraverso la quale viene introdotta la regionalizzazione, cioè la delega alle Regioni di alcune competenze in materia sanitaria, socio-sanitaria e sociale, che determina una pluralità di sistemi sanitari con la conseguenza di frammentare il carattere universalistico del diritto alla salute e determinare un universalismo selettivo con grave danno per la salute delle persone;

4) nell’impostazione ideologica delle politiche dell’Unione Europea, in particolare riguardo a due aspetti:
– la sottoscrizione, nel 1997, del patto di stabilità o “Trattato di Amsterdam”, cioè l’accordo, fra i Paesi membri dell’Unione Europea, che riguarda il controllo delle politiche di bilancio pubbliche, al fine di rafforzare il percorso d’integrazione monetaria intrapreso nel 1992 con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht, che nei fatti riduce le risorse a disposizione degli enti locali, con la scusa del contenimento del debito, costringendoli a ridurre la rete territoriale dei servizi pubblici alla persona a favore del terzo settore (welfare mix);
– l’introduzione della cosiddetta “regola d’oro” (una delle regole contenute nel Fiscal compact, il patto di bilancio firmato da tutti i Paesi dell’Unione europea) ovvero il pareggio di bilancio introdotto in Costituzione con legge costituzionale 20 aprile 2012, n.1 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 23 aprile 2012), che obbliga lo Stato ad “assicurare l’equilibrio” tra quello che incassa e quello che spende.

Da “welfare mix” a “community welfare market”
La crisi economica del 2008 complica il quadro.
La recessione insieme alla perversa logica del debito non consentono più neppure la tenuta di un “welfare mix” tanto che nel 2011 l’UE lancia la “Social Business Initiative” volta a promuovere una “economia sociale di mercato altamente competitiva”.
Nelle raccomandazioni del 2013 l’UE ribadisce la strategia delle politiche di austerità, indica la necessità di una crescente contaminazione fra Profit e No profit e invita gli Stati a una politica fiscale favorevole a questi indirizzi strategici.
Quindi la recessione economica determina il passaggio dal “welfare mix” a una nuova forma di welfare: il “community welfare market” o “secondo welfare”.
Di conseguenza in Italia nel 2013 Fondazione Cariplo e Borsa Italiana, insieme ad altri partner finanziari europei, lanciano l’IPO (Initial Public Offering) solidale mentre Cariplo, Compagnia San Paolo, Banca Prossima, Assifero, Alleanza Cooperative Italiane varano “Il manifesto per l’alleanza fra la finanza e le grandi reti di rappresentanza del terzo settore”, con l’obiettivo di creare un nuovo welfare.
Questo “nuovo” welfare accentua i caratteri di mercato e di privatizzazione con società private che vendono prodotti di welfare (vedi case di riposo) e società private di supporto (brookers assicurativi, case di software…) per facilitare la promozione di “welfare aziendale”, nella sostanza una sorta di “mutualismo di mercato”, aiutando il terzo settore e il mondo cooperativo a diventare interlocutori delle aziende.
Il sistema capitalista costruendo, attraverso le politiche neo-liberiste, un welfare mercantile, ha ridotto la risposta ai bisogni a questione individuale, da comprare sul mercato, con una progressiva privatizzazione dei servizi sanitari, sociali e alla persona che privilegia i profitti sulle vite di tutte e tutti noi. Le ricadute sul piano sociale sono sotto gli occhi di tutte e di tutti: il cuore del sistema di welfare non è più la lettura dei bisogni e la risposta adeguata a essi ma la loro profittabilità, non è più la qualità dei servizi a partire dalla professionalità delle e dei lavoratori ma il contenimento dei costi. Un contenimento che ha determinato, anche nella PA, un altissimo livello di precarizzazione del lavoro, un bassissimo turn-over e una diminuzione costante dei servizi a favore di politiche di bonus e sussidi. Inoltre la regionalizzazione ha determinato livelli di diseguaglianza insopportabili: basti pensare che la spesa pro capite, media, nel nostro Paese è di 124 euro, ma a Bolzano sale a 504 mentre in Calabria scende a 22!
Le trasformazioni che hanno interessato il sistema di welfare hanno avuto pesanti ricadute sulla vita delle donne, specie se di classe sociale impoverita o migrante. Si è determinato un aumento del lavoro di cura e di riproduzione sociale gratuiti a carico del genere femminile e, sempre a scapito delle donne, una considerevole contrazione della possibilità di occupazione, stante la diminuzione dei posti di lavoro nei servizi pubblici laddove la manodopera femminile è sempre stata significativamente alta. Così come la costante precarizzazione del lavoro che ha riguardato tutti, ma soprattutto le donne, ha determinato un aumento notevole di working-poor, cioè di quelle donne che pur lavorando non riescono a garantirsi una vita dignitosa. Così come è esponenzialmente aumentato il ricorso al lavoro delle donne immigrate, specie per l’accudimento di bambine/i e anziane/i, con il risultato che l’emancipazione delle donne native è garantita dal lavoro di  assistenza di donne migranti!
(…continua)

In copertina: Nicole Avezard, Les amazones (particolare).

***

Articolo di Nicoletta Pirotta

Attiva in campo associativo, sindacale e politico: il filo rosso che ha legato questi ambiti è stato ed è l’impegno femminista. Sono stata fra le fondatrici dell’Assemblea Permanente delle donne della Funzione Pubblica CGIL di Como e, in Italia, della Marcia Mondiale delle donne. Con il Prc sono stata eletta per due mandati consecutivi nella Commissione Pari Opportunità di Regione Lombardia. Dal 2008 sono attivista di IFE Italia e nella rete europea di “Feminists for Another Europe”.

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