Editoriale. Il teatro ci salverà e ci consolerà  

Carissime lettrici e carissimi lettori, 

un teatro intitolato a una donna e per giunta uno dei teatri più belli e più antichi d’Europa. Il Teatro Valle, che sorge a Roma a un passo da piazza Navona, dal 13 settembre è ufficialmente intitolato a Franca Valeri, attrice, autrice, regista lirica che considerava questo teatro «la mia casa» perché tanto è stato il tempo vissuto artisticamente lì, su quel palco, dalla sua prima recitazione, nel 1947, quando si chiamava ancora con il suo vero nome e cognome, Alma Franca Maria Norsa, prima di cambiare, su suggerimento di un’amica e collega, e prendere un prestito dalla poesia, sulle ali di Paul Valery.  

Franca Valeri «è stata uno straordinario talento comico, in una società che per ridere aveva sempre scelto gli uomini, e una forza dello spettacolo totale: cinema, teatro, lirica, radio, tv oltre ad essere quasi sempre autrice dei suoi testi». Oggi Franca Valeri fa anche quest’altro regalo alle donne rafforzando con il suo nome la loro visibilità e la loro forte appartenenza e presenza nel mondo della cultura e dell’arte. E pensare che, dopo una vita sulla scena e per lo spettacolo, ancora non c’è, seppure da tempo ne è indicato l’arrivo, una voce a suo nome nell’Enciclopedia delle donne. 

Franca Valeri se ne era andata l’anno scorso, anche lei in piena estate, il 9 agosto, una decina di giorni dopo aver compiuto i 100 anni dalla sua nascita a Milano, il 31 luglio 1920. Il suo genio e la sua cultura l’hanno portata alla creazione di figure femminili, dalla affettata Signorina snob alla romanissima Sora Cecioni, che sono rimaste nella storia del costume italiano.   

Da oggi porterà il suo nome quello che è stato il Teatro Valle, un luogo importantissimo per la cultura non solo romana, ma anche italiana ed europea, inserito in un edificio che ha visto anche la partecipazione architettonica del grande Valadier.  

Da dieci anni il Valle è chiuso e martedì scorso si è solo scoperta la targa dell’intitolazione all’attrice milanese. Si dovrà purtroppo ancora aspettare per una riapertura ufficiale, dopo il restauro non ancora avviato (si spera, ma molti sono i dubbi, in una ripresa degli spettacoli nel 2024!) Il Valle era stato occupato nel 2011 da un gruppo di lavoratori dello spettacolo, preoccupati per il loro posto di lavoro dopo la fine dell’Eti, l’ente teatrale italiano. L’occupazione fu sostenuta subito da artiste e artisti non solo del teatro, come, contemporaneamente, si stava facendo per l’ex cinema Palazzo, nel quartiere San Lorenzo, occupato per impedire l’apertura di una sala da gioco! Entrambe le occupazioni, del Teatro Valle e del cinema Palazzo di piazza dei Sanniti, furono appoggiate e incoraggiate anche da Franca Valeri.    

Oggi l’edificio romano che porta già il suo nome sarà, se non l’unico, uno dei rarissimi esempi di intitolazione al femminile di un teatro. Una ricerca, seppure approssimativa, ha evidenziato solo pochi teatri dedicati a nomi femminili. C’è il teatro comunale di Noto, in Sicilia, (prima intitolato a Vittorio Emanuele III) che dal 2012 è dedicato a Tina Di Lorenzo, un’attrice di famiglia nobile originaria della città regno del barocco siciliano, nata a cavallo di due secoli (Torino 1872 – Milano 1930). Ci sono poi numerosi teatri, presenti in molte città da nord a sud, intitolati a Eleonora Duse, la musa ispiratrice ma molto bistrattata dal Vate D’Annunzio, che si può considerare un po’ come la promotrice della reale presenza femminile nel teatro. Un’altra intitolazione è a Milano: lo Studio Teatro del Piccolo nominato ad un’altra grande milanese, Mariangela Melato, a cui è dedicato un articolo di questo numero della nostra rivista. 

Dunque, nei giorni in cui si celebra a Milano l’inaugurazione di una statua a una donna, Cristina Trivulzio di Belgiojoso, non c’è che da rallegrarsi di questo ulteriore riconoscimento alla presenza storica attiva delle donne, che speriamo si estenda alla presenza delle donne nel momento attuale con l’auspicata, e secondo noi necessaria, elezione al femminile di una Presidente della Repubblica! 

C’è bisogno, per tutto questo che si è detto, dell’aiuto della cultura. Soprattutto le donne hanno bisogno che si intervenga perché una nuova educazione trasformi il pensiero maschilista e di possesso di oggi e porti a un’idea più aperta e inclusiva del mondo. Non possiamo accettare, ma purtroppo ancora appare impossibile la trasformazione sociale, che il pensiero sia continuamente discriminante e violento. Che le donne continuino ad essere uccise dagli uomini, addirittura una al giorno, come è successo in quest’ultima settimana, non è accettabile. I maschi, che le vogliono come un desiderio e con l’avidità come si fa con un oggetto, devono rinnovare il loro modo di vedere il mondo, cambiandolo. Una società, come diceva Erich Fromm, non deve basarsi sull’ avere, ma sull’essere, per viverla e non per possederla. La Scuola appena iniziata, soprattutto quella che include i giovanissimi, ha il compito di affiancare la famiglia, creando una rete, proprio perché è depositaria di cultura e formatrice. 

Un pensiero e un linguaggio che non può assolutamente accettare che si possano pronunciare frasi del genere, soprattutto da parte di un’altra donna e di una giornalista che per professione ha il dovere deontologico di una diffusione corretta delle informazioni e il più possibile scevre da commenti personali. Barbara Palombelli, per due volte first lady al Campidoglio, durante una trasmissione su un canale televisivo privato ha commentato i sette femminicidi susseguitisi con orribile accelerazione in questi giorni: «A volte è lecito anche domandarsi – si chiede Palombelli – se questi uomini erano completamente fuori di testa, completamente obnubilati oppure c’è stato anche un comportamento esasperante e aggressivo anche dall’altra parte (Forum, 16 settembre 2021). «Una narrazione vergognosa e pericolosa» ha commentato in proposito della triste frase di Palombelli l’associazione GIULIA (Giornaliste Unite Libere ed Autonome). Così come Elisa Ercoli come presidente di Differenza Donna: «Riconosciamo nel suo linguaggio una responsabilità sul mantenimento della cultura patriarcale, venendo contro agli obiettivi di responsabilità sociale dei media. Un linguaggio che produce, inoltre, gravi danni alla nostra società. Chiediamo – propongono dall’associazione – l’intervento dell’Agicom e dell’Ordine dei Giornalisti e immediate scuse da parte della Palombelli alle tante vittime di Femminicidio e alle/ai figli/e sopravvissute a questo dramma. Doverosa è l’assunzione di responsabilità da parte della conduttrice e del canale dal quale trasmette, cui corre l’obbligo di ristabilire correttezza delle informazioni e rispetto per le vittime.» Non è nuova Palombelli a questo tipo di “giustificazioni” maschiliste e omofobe. Ricordiamo un suo intervento, sempre nella stessa trasmissione, in difesa di una madre italiana che era riuscita a denunciare il figlio alle autorità cinesi (dove la famiglia era per motivi di lavoro) che era «colpevole! Di aver avuto un rapporto omosessuale, vietato lì dalla legge.» Un pensiero e un linguaggio che parla tranquillamente e impunemente della differenza tra professioni e mestieri adatti e non adatti alle donne, alle figlie che verranno,non sono da percorrere. Davvero, mi è sembrato inopportuno il punto di vista manifestato da Valentino Rossi, che onora l’Italia per il suo sport ma che dice pubblicamente (e lo pensa!) che si sente francamente più sereno che la figlia che sta per nascere non potrà, in quanto donna, scegliere un giorno di mettersi in gioco nella professione paterna e gareggiare come fa lui, proprio perché donna, quindi, esclusa da simili competizioni! E se fosse stato un maschio? Ne sarebbe andato fiero, a quanto sembra. Questa non è protezione, ma solo discriminazione di genere! Al pari, questo, della non reazione della moglie dello stesso corridore quando rimase in silenzio (anzi, accompagnò con un sorriso!) e di fatto acconsentì all’efficacia di quel “passo indietro” pronunciato del presentatore televisivo Amadeus, che sarebbe stato con lei, di lì a poco, sul palcoscenico del Festival di Sanremo.  

Un’altra cosa ci spaventa e crediamo sia anche questa una conseguenza di una mentalità troppo rivolta al profitto e distratta verso il valore della vita. Le esagerate morti sul lavoro, le cosiddette morti bianche, fanno orribilmente parte di una quotidianità inaccettabile. La sicurezza sul lavoro è fondamentale quanto la necessità del lavoro stesso. Uscire di casa per andare al lavoro è un atto d’amore verso la vita, verso i figli e le figlie che cresciamo, verso noi e non si può non tornare più a casa. Le morti bianche, chiamate così perché (apparentemente!) non c’è nessuna mano che si sporca di sangue, spesso sono dovute a disattenzione, a trascuratezza e alla non messa in sicurezza del lavoro, e sono troppe. All’8 settembre si contano quasi 700 vittime, spesso anche lavoratori e lavoratrici in nero. 

Ritorniamo per salutarci al Teatro, interdetto per secoli alle donne. Il teatro, che è consolazione e che sta continuando con sempre più vigore a includere le donne, non solo come attrici, ma anche come autrici, costumiste, scenografe e tecniche delle luci. Mentre ancora poche si aprono alla regia.  

Ha scritto Luciana Castellina in un articolo sulle donne e il teatro: «Io mi sono sempre domandata perché il genere femminile è più vero nella recitazione di quello maschile. Forse perché le donne, in questo tempo che è ancora di transizione, sono costrette a recitare sempre: per sembrare uomini, quando vogliono affermarsi in qualsivoglia carriera; per sembrare femmine succubi, quando devono apparire seduttive e si sa che per piacere agli uomini questo è un requisito essenziale (i maschi non tollerano le femmine competitive). 
Oggi le ragazze sono in tutte le scuole di recitazione la stragrande maggioranza. Tanto da mettere in imbarazzo produttori e registi che vanno a cercare chi sia adatto a interpretare le parti previste in commedia. Forse siamo al rovesciamento storico: nel prossimo futuro saranno le donne ad interpretare i ruoli maschili, per mancanza di candidati. E si dirà che il teatro non è cosa per uomini.» (Il teatro (non) è cosa da donna, in Il teatro e il mondo, gennaio 2016) 

Qui vorrei chiudere proprio con le parole di Franca Valeri, aspettando che si inauguri il teatro a suo nome (e tanti altri ad altrettante donne). Due frasi, come due aforismi che attraverso l’ironia, la sua grande ironia, fanno capire alle donne la loro potenza: «Per me la tristezza non esiste. È solo una pausa per riprender fiato tra una battuta e l’altra. Serve a riordinare le idee, come un sorso di whisky per l’alcolista o la rosa dal gambo lungo per una signora ancien règime». E poi la Principessa della battuta conclude con chiarezza: «Io lotto per l’ironia nella donna, che mi sembra una conquista importante».   

Davvero eccellente! Verremo a teatro, nel tuo teatro Franca, e in mille teatri, per vivere, sentirci meglio, sempre molto meglio di quando siamo entrate.  

Ora passiamo con Sara Marsico a leggere insieme la rivista di oggi. Cominciamo, come sempre, con la donna di Calendaria, Ida Laura Pfeiffer, scrittrice ed esploratrice austriaca, prima europea a attraversare il Borneo. Proseguiamo con un’esploratrice poliedrica del teatro e del cinema, a cui ha dato tutte le sue energie lavorando con registi e registe diversissime tra loro. Non “diva” ma grande attrice. Un ricordo di Mariangela Melato, è l’articolo che ce ne parla, con grande nostalgia. Un’altra figura importantissima da conoscere è descritta in Sorellanze nel tempo: Giovanna Boccalini Barcellona, in cui l’autrice evidenzia i punti di contatto tra il suo percorso verso la conquista dell’identità femminile e la vita di questa donna lodigiana, impegnata politicamente e socialmente, anche nella Resistenza, amante della montagna e con un grande passione per lo sport. Ma ci sono anche d0nne che durante la Resistenza si sono distinte in azioni militari: apprenderemo le loro storie che meritano di essere conosciute in Ricordando le donne insignite di Medaglie d’argento al valore militare (prima parte), sperando in future intitolazioni. 

Di donne si può parlare anche sulla scena. Per il Teatro filosofico presentiamo la storia della prima moglie di Einstein in Mileva Maric: ancora si dice che le donne non sono adatte all’astrazione? 

Continua la bella serie delle donne nelle varie civiltà e questa volta approfondiremo La donna etrusca, quella cui ci piacerebbe assomigliare «la più libera, indipendente, emancipata e moderna di tutto il mondo antico: raffinata, elegante, autonoma, tutt’altro che sottomessa all’uomoCome di consueto l’accompagna un articolo di approfondimento su La civiltà etrusca, nel cuore della penisola italica. 

Le donne del Decameron. Le novellatrici della cornice è un interessantissimo articolo in cui l’autrice evidenzia l’attenzione dimostrata alle donne da Boccaccio, il geniale ma forse più maltrattato autore medievale nelle aule scolastiche italiane. Una descrizione accurata e divertente delle Regine che si erano riunite a Fiesole durante l’epidemia di peste. 

L’intitolazione di una scuola primaria di Melegnano a Teresa Sarti ci parlerà del filo rosso che lega la città del Perdono alla cofondatrice e Presidente di Emergency, fino al 2009. 

La bella notizia del Leone d’oro alla regista Audrey Diwan ci conduce a una delle recensioni di questa settimana: Diritto negato di Patrizia Maltese per i tipi del Villaggio Maori, un’analisi coraggiosa sulle conseguenze che l’obiezione di coscienza dei medici e delle mediche ha avuto sulla disapplicazione di una legge che era stata una vera conquista per le donne e che ci porta a riflettere sull’oscurantismo dominante nella società e nella scuola italiane. 

Welfare come bene comune. Analisi, riflessioni, visioni, pratiche è la prima parte di un’accurata disamina del progettato ridimensionamento, della riduzione e della progressiva trasformazione di quella che era stata definita «la più grande conquista del XX secolo» il Welfare State, con le inevitabili ripercussioni sulla vita delle donne. 

Un tempo gentile di Milena Agus della casa editrice Nottetempo è l’altra recensione, una storia di accoglienza femminile e migrazioni, ambientata in un paesino della Sardegna. 

L’altra metà del cielo è il titolo di un progetto bellissimo, premiato sia alla quarta edizione del Concorso Sulle vie della parità delle Marche che all’VIII di Toponomastica femminile. Un progetto dell’I.I.S. Fermi-Sacconi-Ceci di Ascoli Piceno, che ha avuto il pregio di valorizzare moltissime figure di donne scienziate, a livello nazionale, internazionale e locale. 

Chiudiamo con una ricerca sul cibo che questa volta riguarda un profumatissimo tortino di mele e zenzero. 

Buona lettura a tutte e a tutti 

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

2 commenti

  1. Pochi i teatri intitolati a donne, è vero, ma grazie a Toponomastica femminile il Politeama di Saluzzo, una cittadina piemontese ricca di storia e di cultura, è stato dedicato al grande soprano Magda Olivero. A indicarne il nome all’Amministrazione due classi della scuola primaria Mario Pivano, che avevano partecipato al concorso “Sulle vie della parità” nell’anno scolastico 2015/16.

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    1. scusa il ritardo cara Loretta. Belle notizie ! Ora bisognerebbe dedicarne uno a Piera!! Era felicissima della notizia che le era arrivata a gennaio, della dominazione della dominazione a Franca Valeri del Valle (in cui Piera ha recitato tante volte e soprattutto il Dondolo, un capolavoro di interpretazione “ossessiva”. Grazie mille Loretta

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