L’universo femminile è straordinariamente vario. Per questo motivo riuscire a raccontare e a scrivere delle donne non può coincidere sempre ed esclusivamente con narrazioni di figure forti, positive, sincere, leali e giuste.
Scrivere di donne è anche avere la forza di scrivere dei loro difetti, delle loro debolezze e dei loro errori. Nella storia della letteratura, infatti, le figure femminili più apprezzate spesso sono le più ricche di sfaccettature, proprio perché si avvicinano maggiormente alla realtà, sono più credibili e riescono a farci entrare più facilmente in empatia con loro.
Tuttavia, tra i/le grandi scrittori/scrittrici di figure femminili spesso dimentichiamo Giovanni Boccaccio, che ha portato a termine non solo un libro dedicato alle donne, ma — come raccontato in precedenza — anche ricco di personaggi femminili in ogni livello narrativo e con infinite sfaccettature.
Dopo aver raccontato delle donne della cornice decameroniana, questa settimana desidero scrivere di una figura femminile molto moderna, protagonista della prima novella della quarta giornata del Decameron: si tratta di Ghismonda, figlia di Tancredi, principe di Salerno.
Per chi non la conoscesse, questa celebre novella, che apre la giornata dedicata agli amori infelici, racconta di Tancredi, principe di Salerno, che amando eccessivamente sua figlia Ghismonda trascura i bisogni emotivi della ragazza, scegliendo di non farla sposare nuovamente per tenerla con sé. Ghismonda tuttavia si innamora di Guiscardo, un «giovane valletto del padre», un ragazzo di umili origini, «ma per vertù e per costumi nobile». I due giovani iniziano una relazione amorosa che, purtroppo, viene scoperta dal principe, il quale in preda alla gelosia uccide Guiscardo, consegnandone il cuore in una coppa d’oro a Ghismonda. La figlia di Tancredi tuttavia, reagisce in un modo inaspettato: pone del veleno sul cuore del suo amato e dopo un fondamentale monologo-dialogo con il padre, si uccide.
Apparentemente la storia di Ghismonda coinciderebbe con quella di tante altre vicende in cui l’amore porta a conseguenze tragiche e mortali. Si potrebbero fare infiniti esempi letterari in cui un amore ostacolato o che esce fuori dalle convenzioni sociali si conclude con la morte di uno/a o entrambi gli amanti: Romeo e Giulietta, Paolo e Francesca, Anna Karenina e tanti altri.
Tuttavia nessuno di questi esempi, antichi e moderni, può in qualche modo essere messo a confronto con la storia di Ghismonda.
Questa figura femminile boccacciana, infatti, riesce prima di morire a portare avanti un discorso estremamente accattivante e intriso di modernità. Ghismonda, infatti, una volta appresi i fatti terribili compiuti dal padre, non si dispera ma inizia un’importante autodifesa, in cui si afferma in quanto donna e rivendica tutto quello che ha fatto orgogliosamente. Un monologo in cui emergono delle tematiche a noi vicine e contemporanee. La giovane donna afferma con vigore che la nobiltà di un/una uomo/donna non è data dalla sua posizione sociale, ma che:
«Noi d’una massa di carne tutti la carne avere e da uno medesimo Creatore tutte l’anime con iguali forze, con iguali potenze, con iguali virtù create. […] noi che tutti nascemmo e nasciamo iguali». [Decameron, IV 1,39-40]
Siamo tutte/i uguali, nobili e umili, ricchi e poveri, uomini e donne. Delle parole che senza dubbio affascinano, soprattutto se si pensa essere state scritte nel Trecento, un periodo storico in cui la parità di genere era ancora un concetto lontanissimo e in cui le convenzioni sociali erano lo scheletro di ogni comportamento umano.

Ma andiamo avanti. Ghismonda, infatti, non solo afferma i principi moderni di uguaglianza e inclusività, ma porta avanti una vera e propria apologia del suo corpo e dei suoi desideri, senza mai rinnegare il suo amore. La giovane ragazza rivendica la sua giovinezza e la sua corporeità, accusando il padre di averla voluta tenere con sé senza la possibilità di sposarsi nuovamente, nonostante la sua giovane età. Lei non ha peccato, ha solo seguito la naturale spinta dei suoi desideri e dei sentimenti in quanto «giovane e femina». Parole, quelle di Ghismonda, che ricordano moltissimo i motti femministi degli anni ‘60 e ‘70 del Novecento in cui le donne rivendicavano il proprio corpo, la propria sessualità e le proprie scelte.

Ghismonda in questo senso appare come una vera e propria “sessantottina del Trecento”. Non si pente di quello per cui la società (di cui il padre è la massima espressione) la condanna e la punisce, né chiede perdono; Ghismonda alza la testa e rivendica le sue azioni in quanto donna, rivendica sé stessa, il proprio amore e il proprio corpo. Il suicidio della giovane in questo senso potrebbe anche sembrare un atto estremo di dimostrazione che il corpo della ragazza e la sua stessa vita sono una sua scelta e decisione. Ghismonda si uccide e porta a termine la sua volontà di essere lei a decidere per il proprio corpo.
È per questo che nella letteratura dei secoli scorsi non esistono figure femminili paragonabili a questo personaggio femminili boccacciano. Se si pensa, infatti, a Paolo e Francesca o a Romeo e Giulietta, gli amanti muoiono sì entrambi, ma le circostanze sono assai differenti. Nella scena finale del dramma shakespeariano Giulietta si limita a seguire nella morte il proprio amore, trafiggendosi con la spada, ma senza portare in scena una propria difesa o una rivendicazione del proprio amore. Nel quinto canto dell’inferno dantesco, Francesca narra dell’amore adulterino per Paolo, ma la sfumatura è tristemente malinconica; i due sono all’Inferno e sono stati puniti per adulterio, per cui, per quanto commoventi siano state le parole di Francesca nel ripercorrere la sua storia d’amore, inevitabilmente non può esserci da parte di lei una orgogliosa rivendicazione delle scelte fatte.
Anna Karenina, figura straordinaria uscita dalla penna di Tolstoj, invece, sceglie il suicidio come via di fuga, arrivando a compiere tale scelta improvvisamente e in silenzio, ricordando malinconicamente gli eventi che l’avevano portata nel suo stato di disgrazia attuale.
Insomma non possiamo trovare paragoni con Ghismonda nelle figure letterarie femminili più celebri e conosciute in cui l’amore e la morte si intrecciano tragicamente con le loro vite.
Ghismonda è un unicum letterario, resa grande da Boccaccio attraverso l’uso della parola e del discorso. La storia di Tancredi e Ghismonda poteva concludersi tranquillamente con il suicidio di Ghismonda, un’altra figura femminile silenziosa e oggetto del racconto che in preda alla disperazione si uccide. Ma ecco la grandiosità e la modernità di Giovanni Boccaccio: Ghismonda parla e attraverso la parola diventa soggetto e protagonista del racconto. Stupendo noi e probabilmente i/le lettori/lettrici del suo tempo, Boccaccio fa prendere coscienza a Ghismonda, che rivendica sé stessa, il proprio amore e la propria corporeità, ignorando fino alla fine le convenzioni sociali. In questo modo nasce uno dei personaggi femminili più straordinari e moderni della storia della letteratura, ad oggi ancora troppo poco conosciuto.
In copertina: Bernardino Mei, Ghismonda dal Decameron, 1659.
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Articolo di Marta Vischi

Laureata in Lettere e filologia italiana, super sportiva, amante degli animali e appassionata di arte rinascimentale. L’equitazione come stile di vita, amo passato, presente e futuro, e spesso mi trovo a spaziare tra un antico manoscritto, una novella di Boccaccio e una Instagram story!