La Bhagavad gita e la scienza dell’anima

La letteratura vedica comprende migliaia di nozioni suddivise per argomenti che comprendono tutto lo scibile umano, dalla politica all’agricoltura. Veda significa “conoscenza duratura”, suo intento è quello di portarci a capire la posizione spirituale delle anime condizionate dalla natura materiale. In Occidente lo studio di questi testi si sviluppa negli anni Venti con le scoperte archeologiche degli scavi nella valle dell’Indo. Nel momento di maggior splendore, attorno al 2200 a.C., la civiltà indiana occupava un’area più grande dell’Europa. Nel 1784 fu fondata a Calcutta la “Società asiatica del Bengala” per pubblicare e diffondere scritti di carattere storico e linguistico che vennero letti dalle/dai più noti intellettuali dell’epoca e tradotti dal sanscrito soprattutto in tedesco. Si iniziò quindi a paventare l’idea di una lingua unitaria, l’indoeuropeo, con la nascita di una nuova disciplina chiamata filologia comparata (Franz Bropp, 1816).  

La filosofia vedica divenne subito fonte d’ispirazione dei romantici tedeschi, il primo appassionato fu Johann Gottfried von Herder e Friedrich von Schlegel pubblicò il Saggio sulla lingua e la saggezza dell’India (1808), mentre Wilhelm von Humboldt pubblico un lungo studio sulla Bhagavad-gita che descrisse come «la cosa più profonda ed elevata apparsa al mondo» (1812). George Hegel paragonò la scoperta del sanscrito a quella di un nuovo continente e nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia elogiò il subcontinente indiano come «il punto di partenza per il mondo occidentale». Anche Arthur Schopenhauer non rimase indifferente al fascino delle Upanishad e le definì come «la produzione della più elevata saggezza umana e la letteratura più soddisfacente ed elevata che si possa trovare sulla terra (…) unico conforto della mia vita». 

La tradizione vedica non venne amata solo dai filosofi, ma anche dalle/dagli studiosi americani, francesi e slavi. Essa propone degli insegnamenti basilari, delle istruzioni pratiche, che gradualmente portano a comprendere i ragionamenti più complessi e raffinati. Vero è che non si può essere superficiali nel leggere le parole di questi testi: se si vuole approfondire la vera natura umana bisogna metterne a frutto alcuni principi utili. La lingua dei Veda è importantissima anche per la datazione delle scritture, a livello cronologico troviamo una grande varietà di dialetti, mentre per le classi più elevate si parla di Rg Veda, poi standard della comunità dei brahmana o casta dei sacerdoti. Essi sono stati composti a partire dal XII secolo a.C. e – messi per iscritto non prima del VII a.C. – offrivano complesse informazioni cosmologiche, aiuto psicologico, elementi storico-antropologici e di comportamenti sociali e familiari.

La donna veniva intesa come una persona in evoluzione che non era l’unica a doversi occupare di cibo e figli, infatti anche il marito contribuiva con il suo supporto emozionale alla vita di coppia, educava e doveva dimostrare di diventare un compagno saggio, saper difendere la moglie e rispettarla. Insieme praticavano lo yoga e lo studiavano per sviluppare maggior autocontrollo e moderazione. 
Nella letteratura vedica sono presenti molte figure di donne, madri, insegnanti e studenti, che erano citate spesso come esempi positivi o modelli di riferimento. Ad esempio Satyavati, l’apsara Urvashi, Satyabama e la regina Kunti, sono considerate persone che praticano lo yoga a diversi livelli e non vengono discriminate; nelle loro parole, negli atteggiamenti, nelle loro storie si evidenzia la classe sociale nel contesto tradizionale che le contraddistingue e da cui hanno attinto per realizzare un’identità personale. Nei racconti spesso si spiega come si sono inserite in un certo territorio in determinati eventi storici, in ogni caso dimostrano sempre di essere parte attiva e integrante della storia dell’umanità, sia come servitrici o commercianti che come poete o regine di alto lignaggio. 

Il Mahabharata è il poema più vasto di tutti i tempi, in diciotto libri più uno tratta della genealogia Hari Vamsa di Krishna. Considerato il quinto veda, è forse anche il più noto, contiene 106 mila versi e narra la grandezza della civiltà indiana con intrighi e lotte paragonabili ai conflitti interiori. Il grande pubblico lo ha conosciuto anche grazie alla rappresentazione cinematografica e teatrale del regista Peter Brook, che ha portato sulla scena anche il personaggio esemplare di Draupadi, vinta al gioco dei dadi e costretta a vivere per dodici anni in esilio nella foresta con i suoi cinque mariti. Nel sesto capitolo del Mahabhata o Bhisma parva, si trova la Bhagavad gita, il testo più filosofico per eccellenza e l’essenza di tutti i Veda. Al centro dell’opera vi è la battaglia tra i due eserciti opposti, quello dei Pandava e dei loro cugini e rivali Kaurava. Il personaggio di Arjuna è indeciso se ritirarsi o meno dalla lotta, perché non vuole uccidere i suoi parenti e amici/amiche, e chiede a Krishna cosa deve fare. La Bhagavad gita in diciotto capitoli e settecento versi descrive tre tipi principali di yoga: dell’azione o karma yoga, della conoscenza o jnana yoga e della devozione o bhakti yoga, e dà consigli utili su chi vuole intraprendere un percorso spirituale.

Oggi lo yoga ha superato i confini dell’India per rivolgersi a una platea occidentale di persone che ricercano benessere psicofisico e pace mentale che non riescono a trovare nella società stressante e caotica. Con la meditazione si riesce a creare uno spazio tra i pensieri e con la contemplazione si sviluppa l’immaginazione per realizzare obiettivi superiori. La Bhagavad gita è considerata da molti una delle maggiori Upanishad e chiamata anche Gitopanishad. Ne esistono più di cinquecento versioni diverse, con relative interpretazioni; la più accreditata è quella che espone la Bhagavad gita “così com’è” di Shrila Prabhupada (1896-1977), il quale ne ha rispettato l’integrità del testo. Egli è stato un maestro di yoga indiano che ha portato in Occidente un patrimonio di circa ottanta volumi sulla spiritualità indiana, tradotti in tutte le lingue e distribuiti in cento milioni di copie nel mondo, tanto che in India gli hanno di recente dedicato una moneta. Ha istruito numerose/i discepoli, come Yamuna e Lilavati, le quali avevano raggiunto elevati livelli di realizzazione, infatti diceva che «Non è che le donne debbano solo avere bambini, sono fatte anche per avanzare nello yoga» (Lettera a Jayatirtha, 1975). 

Albero baniano. Buh, India

Nella Bhagavad gita Krishna si rivolge ad Arjuna in maniera confidenziale, proprio per spiegargli la distinzione tra corpo materiale e anima spirituale, con definizioni di coscienza, di percezione di sé stessi e di «Chi sono io?». La legge materiale vuole che tutto nasca, sussista, si riproduca, deperisca e infine scompaia. Tutti i corpi, vegetali, animali e umani, obbediscono a questa ferrea legge: «Esiste un albero baniano, le cui radici si dirigono verso l’alto e i rami verso il basso; le sue foglie sono gli inni vedici. Chi lo conosce, conosce i Veda» (Bhagavad gita, 15.1). In questo testo il mondo materiale viene paragonato a un albero rovesciato che è solo un’immagine riflessa che si specchia in un fiume o nel mare e che sottintende a un’immagine reale. Il mondo materiale similmente è come un riflesso della realtà, l’ombra della realtà, ma è la traccia di un oggetto reale e concreto. La narrazione storica che inizia con le imprese del grande re Bharata e dei suoi discendenti, arriva fino ad Arjuna, uno di questi. Egli vuole cercare d’impedire che il regno del padre venga usurpato, vede i suoi parenti, maestri e amici schierati tra le file dell’esercito opposto, pronti alla guerra, e sopraffatto dal dolore diventa confuso e non vuole combattere… ma la natura materiale rende perplessi coloro che ignorano i veri problemi dell’esistenza: nascita, malattia, vecchiaia e morte; con questa immortale conoscenza ci insegna ad affrontare le cose con dovere e con un sereno distacco. 

In copertina: I fratelli Kaurava, cugini dei Pandava.

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Articolo di Nuria Kanzian

Docente di filosofia, amante dello yoga, giornalista freelancer, musicista e scrittrice, ha pubblicato opere di poesie, sceneggiature e saggi filosofici quali Autobiografia e conoscenza del sé e Cosmologia vedica. In qualità di Presidente dell’Associazione Noumeno culture, club di pratiche filosofiche, organizza progetti di formazione nel sociale.

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