«Ho avuto la fortuna di crescere avendo attorno degli adulti che amavano raccontare. Fossero fiabe, aneddoti, ricordi, episodi storici o mitologici, loro raccontavano e io ascoltavo insaziabile. Una narratrice indefessa era una prozia che, pur non avendo nemmeno finito le elementari, aveva un bagaglio inesauribile di fiabe e racconti, a cui si univano proverbi e giochi di parole. Nel repertorio c’era una favoletta istruttiva, che cominciava sulla tavola di una bambina viziata. La bambina faceva i capricci perché mancava la ciliegina sulla torta. La torta, indignata, rotolava via dandosi alla fuga. Iniziava così uno di quei pellegrinaggi cumulativi per cui i bambini vanno pazzi: a ogni tappa un nuovo manicaretto, dolce o salato, si aggiungeva alla comitiva. Infine, quando si esauriva la fantasia o la pazienza della narratrice, la favola arrivava al suo compimento: l’esercito di leccornie irrompeva in un’umile casa, per la gioia di un gruppo di bambini poveri che sedevano a tavola davanti a “una zuppa nera di cavolo”.
Solo a quel punto io, che evidentemente ero una bambina depravata, all’idea della zuppa di cavolo cominciavo ad avere l’acquolina in bocca».

In questo post del 24 gennaio 2019 c’è tutta Giovanna Repetto, narratrice colta e ironica che da sempre procede in direzione ostinata e contraria, la propria, che l’ha portata a praticare la scrittura dall’infanzia (frequenta la quarta elementare quando comprende che «la scrittura può servire a raccontare storie») e a pubblicare «gialli, noir, horror, testi teatrali, racconti di vario genere (addirittura normali a volte!) e perfino un romanzo per ragazzi» a partire dalla fine degli anni Novanta (da un’intervista pubblicata il 13 agosto 2020 dalla rivista on line The Quatermass Xperiment).
Giovanna è nata a Genova il 12 novembre 1945; per quanto viva a Roma da molti anni (ove ha esercitato la professione di psicologa e psicoterapeuta), la città d’origine ritorna spesso nei suoi romanzi e racconti, quale luogo familiare ove prendono vita vicende che tracciano percorsi altri rispetto alla realtà e alla storia: è forse questa la ragione che la porta, dal 2017 (la produzione qui considerata data infatti a partire da questo anno), a scrivere di fantascienza, genere che − per definizione − concede all’immaginazione la più ampia libertà. Al centro della narrativa dell’autrice tre elementi che rinviano ad altrettanti aspetti della sua persona: «C’è la professione di psicologa, è vero. Poi c’è la mia propensione all’attività teatrale, presente fin dall’infanzia sebbene esplicitata solo nella maturità. E c’è la scrittura. Sono manifestazioni di un unico atteggiamento interiore, che evidentemente è la cosa che mi interessa. È quello che in psicologia si chiama empatia, in teatro immedesimazione, e nella scrittura focalizzazione interna. Quello che faccio, più o meno sempre, è calarmi nel punto di vista del personaggio per descriverne l’esperienza. In fondo è un modo per vivere diverse vite». Perché, è noto – e Repetto lo sa bene −, chi scrive racconta sempre di sé.

(fotografia di Ivana Ferrara)
Il nastro di Sanchez rappresenta l’opera d’esordio della scrittrice in ambito science fiction: è un romanzo del 2017, finalista al premio Urania, primo di una trilogia che comprende Il figlio di Nergal e Tequiero. La stagione dei mostri (entrambi del 2019). La vicenda è narrata in terza persona: protagonista è Halcon, ovvero Marco, il medesimo giovane che per un misterioso capriccio telepatico conduce due vite antitetiche ma complementari: la prima come mutante intraprendente e coraggioso su un pianeta remoto, la seconda come disoccupato sfortunato e timido nella capitale; un andamento binario che alterna l’atmosfera del mito, dell’avventura, dell’eroismo (non sognata, ma agita in una sorta di dimensione parallela), a quella della quotidianità, dell’assenza di prospettive, della mediocrità, quasi a suggerire la necessità di intensificare la frequenza di transiti da una parte all’altra per sfuggire alla perenne delusione del reale. In questo romanzo di formazione, Halcon trova un mentore che lo coadiuva nel conseguimento della consapevolezza in Pedro Sanchez (già biologo nel Messico del 2132 e scopritore della teoria del Nastro, «che illustra come si possa essere in due luoghi contemporaneamente senza soluzione di continuità»); e, accanto a questo, incontra molteplici personaggi, donne e uomini, che provengono da tempi e luoghi diversi e che su Tequiero (così è denominato il pianeta, una terra di laghi e vulcani) si materializzano parlando lingue differenti (castigliano, francese, antico latino, volgare trecentesco, assiro-babilonese…), dando vita a un’allegra corte dei miracoli nella quale, finché non irrompe l’immancabile villain, ciascuno, ciascuna trova il proprio posto e il proprio scopo. Marco, invece, esemplare «sfigato del ventunesimo secolo», subisce una serie di eventi e accadimenti involontariamente comici, riuscendo però, in ultima analisi, a sfuggire all’ostilità dell’ex fidanzata, della padrona di casa, di antagoniste ottuse o maligne, della vita che gli si oppone nemica, per trovarsi, poi, di fronte al dilemma della scelta: volare alto nel cielo di Tequiero («il vero destino dell’uomo») o nuotare nel mare del litorale romano («l’unica forma di volo concessa all’uomo»); lottare per la salvezza di un pianeta percepito come patria o «mangiare gli spaghetti […]. E passeggiare col mio cane, e amare Sofia». È forse questo l’aspetto più interessante del romanzo che, nella parte finale, dopo aver indugiato sulla descrizione dei due mondi efficacemente evocati, subisce una brusca accelerazione, condensando forse troppi personaggi, stimoli, eventi, e aprendo comunque al secondo e al terzo episodio della serie.
La medesima ambientazione del ciclo di Sanchez è ripresa in un racconto apparso nel volume miscellaneo Temponauti,nell’ambito della collana Millemondi di Urania, nel luglio 2021: Corpi paralleli si svolge in parte su Tequiero, in parte a Genova, città ove Giovanna ha vissuto l’infanzia e la giovinezza e che ben conosce. Da un corpo a un altro, Elisa e Vincenzo (lei studente di lettere, lui camallo, uniti dal comune antifascismo) passano dalla ferocia degli ultimi anni della Seconda guerra mondiale e della Repubblica Sociale Italiana al pianeta dell’incarnazione possibile in una dimensione altra, in una comunità solidale e composita, letteralmente fuori dal mondo, e nello specifico lontano dai bombardamenti, dalle violenze, dalle morti. È rievocata la tragedia della Galleria delle Grazie, già rifugio antiaereo nei pressi di Porta Soprana, quando il 23 ottobre 1942 vi morirono, secondo le stime ufficiali, 354 persone, scivolate lungo i gradini di accesso e schiacciate dai sopravvenienti; sono poi collocati nei giorni tra la fine di ottobre e la metà di novembre 1943 alcuni eventi che portano i due protagonisti a intrecciare le proprie esistenze e a fare ciascuno la propria parte nella Resistenza, scegliendo la vita.

Dispensatori di felicità
Il 2017, anno primo della produzione più marcatamente fantascientifica di Giovanna Repetto, è un anno prolifico: con Il nastro di Sanchez l’autrice è finalista al premio Urania, con La legge della penombra, racconto tra weird e horror, vince il premio Short-Kipple 2017 (la pubblicazione data poi all’anno successivo). Una vicenda cupa, che rinvia alle Ghost Stories dell’antiquario Montague Rhodes James, nella quale si svela per la protagonista, la diciottenne Sibilla, un passato di abuso e dolore non risolto, che finisce per traboccare sull’incolpevole amica di poco più giovane Maria Pia, a dimostrazione che chi è maltrattato diviene, spesso, a sua volta, maltrattante. Cinque misteri che giungeranno a soluzione, o forse no, a partire da un armadio, di cui sarebbe meglio non aprire le ante, un grande armadio che contiene «una quantità sterminata di abiti appesi su tre piani. Si intravedevano stoffe sfarzose, merletti e guarnizioni d’ogni tipo, colori insoliti, fantasie bizzarre, fogge d’altri tempi»; con la spaventosa consapevolezza che «gli abiti sono… sono affamati di corpi!», che «gli abiti che sono stati già abitati non sono mai vuoti del tutto»; e nel dubbio di vivere uno scherzo atroce o un incubo terrificante.
Nel 2018 è dato alle stampe Inserti, altro racconto di gusto weird tendente, soprattutto nel finale, all’horror, ove Giada e Greg – una coppia dotata di bellezza e successo – convivono e si misurano con i propri inserti genetici animali: Gatto lei, Cane, Delfino, Scoiattolo (e altro ancora) lui. Il testo sembra ammonire a non affidarsi all’ingegneria genetica e ad accettare i limiti della propria corporeità, con un interessante rovesciamento di prospettiva sui personaggi, in particolare sull’antagonista Franco, che entra in scena come stalker dall’aspetto sgradevole, «incolto come una bestia selvatica […] Altro che inserti genetici, i genitori non si erano nemmeno curati di raddrizzargli i denti» e che è stato allontanato dalla Human Ogm, di cui Giada è invece «un campionario vivente». Peccato, però, che nell’azienda che promette figli e figlie in base ai desideri dei genitori non sia «tutto sotto controllo come dicono»…
Tra 2017 e 2019 si collocano due bei racconti di sapore science fiction: La via di mezzo e La camera dello sposo (rispettivamente inseriti nelle antologie Materia Oscura e DiverGender, entrambe edite da Delos Digital). Il primo è narrato in prima persona: «Sono una donna qualunque, di mezza età. Prima di finire qui insegnavo storia, facevo anche ricerca, ma non ero portatrice di nessun messaggio così importante da essere consegnato ai posteri», confessa la protagonista, che un ignoto cataclisma e un caso inspiegabile condannano a un destino di solitudine e straniamento. Sopravvissuta alla propria specie in una Terra irreparabilmente aliena, consapevole della perdita di ogni «filo di congiunzione» con il proprio passato, priva per sempre delle coordinate spazio-temporali che consentono di riconoscere la propria identità e trovare il proprio posto nel flusso dell’esistenza, il personaggio che dice io mantiene comunque l’istinto di vita, pur sentendosi «terribilmente sola», poiché la gentilezza e l’accoglienza dei Bio-Techno non bastano al sentirsi parte di un mondo nuovo.
«Scrivere non è lo stesso che vivere: è esistere in un’altra dimensione» dice di sé Giovanna Repetto: in La camera dello sposo, ideale pendant con La via di mezzo, proprio in una dimensione del tutto altra si consuma la vita di solitudine e attesa di Alda, naufragata con compagni e compagne sul pianeta Tanatos e a loro sopravvissuta, forse perché capace di conservare in sé la vitalità necessaria grazie alla generazione di bambine e bambini concepiti con uno sposo alieno di forma gassosa, bambini e bambine che hanno lo scopo di infuturare l’umanità lontana dalla Terra, in un mondo sconosciuto e tristissimo («felicità, questo era davvero un concetto alieno»). Alda è un bellissimo personaggio femminile: sperimenta il naufragio e l’esilio, la clausura (anche se in relazione con aiutanti meccanici), la maternità (per la continuità della specie), fino alla scoperta della vera essenza dello sposo: la lunga solitudine e l’attesa senza speranza sono ricompensate, infine, dall’incontro perfetto, quasi che per comprendere veramente una donna, anche nel mistero del suo piacere, sia necessaria un’entità aliena.
Icarus è un romanzo del 2018 per i tipi di Watson, che – tra l’altro − ne pubblicherà l’adattamento a graphic novel con sceneggiatura di Gino Andrea Carosini e disegni di Marco Mastroianni. Ritorna anche in questo testo l’ossessione per il volo che accomuna alcuni personaggi di Repetto, stavolta con esito inizialmente tragico, anche perché il protagonista non ha scelto, ma ha subito la scelta paterna, di tentare lo spazio aereo quasi fosse un uccello. Eppure, a dispetto dell’eugenetica, non esistono vite non degne di essere vissute e l’amore, con i suoi meccanismi imperscrutabili e irriducibili a regole, «non si lascia né giudicare né catalogare. […] non ha etichetta». Lo sa bene, lo ha sperimentato e lo sperimenta su di sé la protagonista Silvia, che accetta un lavoro di cura non meglio definito in una località solitaria e innevata della Val Badia, «una specie di cono d’ombra da cui non si poteva ricevere né trasmettere nulla». Qui pure la scrittrice dà il meglio di sé nella descrizione di paesaggi e ambienti, capaci di creare un mondo, e nel tratteggio dei personaggi, protagonisti e comprimari (più che nell’originalità della vicenda e nella tenuta del suo sviluppo): accanto a Elisa e Riki sono l’arcigna madre di questo e il padre, evocato in una memoria dolorosa, il fattore Andreas, l’antico fidanzato Maurizio, pure presente attraverso il ricordo.

di prossima pubblicazione presso Watson
Del 2019 sono tre racconti pubblicati per il sito Altrimondi: Amore universale, Terapia virtuale, Il giorno della semina; tra questi si segnala il secondo, con il riuscitissimo personaggio di Zia Giovanna l’inossidabile e l’efficace resoconto di una seduta terapeutica in un servizio per la cura delle dipendenze, un SerT del futuro prossimo, quando analista e paziente si incontrano nello spazio della mente di quest’ultimo (come già in Pat Cadigan).
Nel 2020 due testi riuniti nel volume La mappa dei gesti possibili («Fra i poli opposti di obbligo e libertà, si apre l’ampia mappa dei gesti possibili»): il romanzo breve Dispensatori di felicità e il racconto La leggenda della tessitrice, entrambi bellissimi, a parere di chi scrive i testi migliori di Repetto, che qui esprime appieno le proprie qualità di scrittrice raffinata, dalla sintassi elegante e dal lessico suggestivo.
L’idea di partenza di Dispensatori di felicità, già comprovata dalla paleontologia, è che non sia esistita una sola razza umana, quella dei Sapiens; Repetto ne ipotizza due altre, quella degli Ordrugh e quella delle Fawlm: per motivi misteriosi della prima sono sopravvissuti tutti i maschi, della seconda tutte le femmine. Sono possibili l’unione e la convivenza tra la Fawlm Fabiola e l’Ordrugh Drago? Una solida prassi vuole che tra le due razze si ponga come intermediario indispensabile e rasserenante un Bobbi, un canide affettuoso e fedele: è davvero così? O è piuttosto nella capacità di ascolto, nell’abbandono del pregiudizio, nella pazienza della comprensione, la chiave per vivere insieme? Nel testo si alternano la vicenda della catastrofica alluvione che colpì il territorio di Genova il 7 ottobre 1970 e il crescendo di tensione e violenza imminente, ma non ancora agita, tra i due protagonisti. Che dire poi di non già detto? Personaggi riuscitissimi, anche i comprimari come l’allevatore Andrea (altro uomo che porta con sé un dolore nascosto) o le comparse; descrizioni potenti ed efficaci (nel 1970 Giovanna era a Genova, vide e visse quell’evento che è nella memoria della città); situazioni quotidiane tratteggiate con cura e vivezza, che sbalzano letteralmente chi legge all’interno della storia. Altri punti di forza sono l’elogio della libertà di scegliere quali gesti compiere e il messaggio forte che la salvezza si trova quando si esce dal limite del proprio orizzonte di egoismo, perché nessun individuo si salva da solo.

La leggenda della tessitrice, come suggerisce il titolo, riporta ad atmosfere delle Mille e una notte e forse ancor più del Decameron, ponendo al centro della narrazione l’intelligenza, l’arguzia, la saggezza di una donna di rango. Non solo: la protagonista femminile, la bella principessa Zeyma, si colloca nella tradizione delle donne guerriere dei poemi rinascimentali, mentre il contraddittorio verbale con il protagonista maschile, il giovane re Assur, rinvia alle disputationes della cultura medioevale. Lei appare destinata a regnare non tanto perché di stirpe reale, quanto perché dimostra inclinazione al comando e alla mediazione (e può contare su un padre illuminato); lui dà prova di meritarla (e di meritare il ruolo di sovrano), perché ne riconosce e apprezza la grandezza. E certo non è cosa facile per un uomo ammettere che una donna gli è superiore. I due personaggi si affrontano in uno scontro (quasi) tutto verbale ― ma non senza erotismo ―, in una corte dai connotati medio-orientali o ellenistici, ove si muovono eunuchi e schiave, si compiono intrighi di palazzo e rituali di potere, nell’atmosfera senza tempo di una leggenda, ovvero di una novella dall’insegnamento benevolo e dal finale lieve.
Il sigillo del dolore, infine, è il titolo del nuovo libro di Giovanna Repetto, un romanzo distopico giocato sulla rigida separazione tra uomini e donne, pubblicato nel dicembre 2021 e già finalista al premio Urania.
«Ho amato la fantascienza, fin da bambina: il mio papà mi ha insegnato a leggere, prima che frequentassi la scuola elementare, sulla sua collezione di romanzi Urania, che popolavano il nostro piccolo appartamento. Mi ricordo le bellissime copertine di Karel Thole, disegni impressionanti che spiccavano in cerchi sullo sfondo bianco».

La provincia in giallo, il 19 maggio 2014
(archivio Bianca Garavelli)
A raccontare il proprio rapporto con la fantascienza, in un’intervista rilasciata a chi scrive il 12 dicembre 2021, è Bianca Garavelli, narratrice versatile, critica letteraria ed elzevirista, dantista di fama internazionale, che così prosegue: «Doveva essere una specie di destino, come il mio amore per Dante, perché in età adulta ho incontrato uno dei curatori storici della collana Urania, Giuseppe Lippi, e siamo diventati amici, condividendo convegni, festival cinematografici, presentazioni, eventi culturali. Mi manca molto: la sua cultura vastissima, i suoi punti di vista divertenti su dettagli che possono sembrare banali, il suo senso dell’umorismo, il suo affetto. Per tornare alla fantascienza, probabilmente la mia immaginazione, di per sé piuttosto vivace, è stata toccata profondamente da queste prime letture dell’infanzia. Ero piena di entusiasmo, agli inizi della mia attività di scrittrice: non mi rendevo conto delle chiusure e dei pregiudizi del mondo editoriale italiano. Ho scritto racconti e persino un romanzo di genere fantascientifico, ma ho incontrato moltissime difficoltà di pubblicazione. Tanto che il romanzo è tuttora inedito. Quindi, posso dire che ho aggiustato un po’ il tiro facendo di necessità virtù. Ho continuato ad amare la fantascienza, anche cinematografica, e ho sempre aggiunto un ingrediente fantastico ai miei scritti. Anche questa sorta di trasgressione, o piccolo marchio personale, mi ha creato difficoltà di pubblicazione, perché in generale agli autori italiani sembra essere precluso uno sguardo che sorvoli un po’ la realtà quotidiana. Ma forse sta cambiando qualcosa, negli ultimi tempi: storie con forti sfumature fantastiche, nate da tradizioni antiche, stanno vedendo la luce. Spero vivamente che sia una tendenza in un certo senso nuova, un filone narrativo che avrà seguito».

(archivio Bianca Garavelli)
Per quanto la produzione creativa di Bianca Garavelli ― nata a Vigevano il 23 agosto 1958 (Leone ascendente Leone!) da padre vigevanese e madre mantovana ― sia più orientata verso il fantastico e l’esoterico, si segnalano tra le sue opere di fantascienza lo splendido racconto Lettera allo spazio più buio e il romanzo inedito Occhi invisibili, al quale lei stessa fa riferimento, che Giuseppe Lippi ebbe modo di leggere e che definì «un libro delicatamente fantastico».
Lettera allo spazio più buio è un testo raffinato, coinvolgente, coltissimo: stampato nel 1996 in una plaquette di Lietocollelibri (tre successive edizioni in tiratura limitata a 99 copie), è ora riproposto sul n. 11 della rivista di critica marx/z/iana Un’ambigua utopia (ottobre 2021). Un racconto che si richiama a un verso degli Amores ovidiani: Militat omnis amans [Ogni amante è soldato] e che dal classico latino trae l’urgenza della passione e lo struggimento del desiderio, nella misura di un erotismo suggerito e mai esplicito, percepibile grazie al più aristocratico dei sensi, l’udito, al quale giungono, liriche ed evocative, le parole della lettera che una giovane donna di un futuro distopico tenta di inviare all’uomo amato, a rischio della vita. Nel «tempo terrestre» che corrisponde al 19 marzo 2432, maschi e femmine sono infatti separati per sempre: «la guerra spaventosa che ha travolto le due Specie» è l’elemento pregresso della vicenda. «Da quando l’equilibrio del nostro mondo è infranto, è proibito essere creature dell’istinto. Questo mi hanno insegnato fin da quando sono nata», scrive la protagonista, giunta al «livello di crescita 16», alla quale mai è stato permesso di uscire dal «Recinto di Crescita»: ma a lei sono giunte «leggende sulle creature dell’altra Specie», la Specie nemica costituita da «esseri forti e scuri», pure rinchiusi in altri recinti, in altri luoghi, malvagi certo (perché altrimenti sarebbe proibito avvicinarli?), eppure desiderabili nella loro alterità. Alla giovane Femmina 8021 non è dato che l’amore a prima vista, forse l’unico vero amore, che attraverso gli occhi colpisce il cuore gentile e fa volare via l’anima, come insegnano gli autori del Dolce Stil Novo, Dante per primo: «Amor mi mosse, che mi fa parlare» (così Beatrice nel II canto dell’Inferno).

(ristampato in Un’ambigua utopia n. 11, ottobre 2021)
Non è un caso, allora, che Garavelli sia una dantista affermata, curatrice di diverse edizioni della Commedia e autrice di saggi e contributi critici in questo ambito (ultimo uscito, nel 2021, per Giunti, Dante. Così lontano, così vicino): l’amore per il grande maestro viene dalla facoltà di lettere dell’Università di Pavia, ove si è laureata nel 1982 con una tesi sulla Vita Nuova (poi pubblicata su Strumenti critici) sotto la guida di Maria Corti. In ambito accademico, fino al 2015 la studiosa vigevanese ha collaborato come assegnista di ricerca con il Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; collabora invece tuttora con la pagina culturale del quotidiano Avvenire.
Bianca Garavelli è la dimostrazione di come sia possibile coniugare – mediante un ossimoro, ovvero l’unione di due opposti – letteratura alta e produzione fantascientifica: «Un ossimoro, sì, o forse una figura retorica simile, ma ancora da inventare, che faccia da ponte tra i due mondi, quello di Dante e il nostro. – afferma − In fondo, il viaggio di Dante è un viaggio in un altro mondo, l’esplorazione di un universo che non conosciamo. L’immenso mistero dell’aldilà. Soprattutto per quanto riguarda il Paradiso, dove addirittura Beatrice usa il sintagma l’altro universo quando descrive il sistema angelico di nove cieli che circonda il Punto-Dio, nel canto XXVIII. Qui addirittura alcuni scienziati contemporanei hanno notato i caratteri di un universo non euclideo, tanto da far pensare che il sistema cosmico che Dante descrive nella terza cantica, che comprende la Terra e i suoi nove cieli, ma anche Dio e gli angeli, in altre parole il cosiddetto Empireo, sia una sorta di “ipersfera”, un’entità cosmica molto simile all’universo come viene descritto dall’attuale astrofisica. Certo, nel caso della Divina Commedia dobbiamo ricordare che esisteva un genere più antico, legato al senso di appartenenza medievale alla dimensione trascendente, il “viaggio nell’aldilà”, o “visione dell’aldilà”, che il Poeta ben conosceva. Però lo ha elaborato in modo molto libero, personale, ispirandosi a grandi tradizioni poetiche europee del suo tempo, al mondo biblico e a quello classico, ai poemi didascalici del suo maestro Brunetto Latini. E ha aggiunto un punto di vista molto particolare: quello che oggi definiremmo “scientifico”. Per lui, scrittore del Medioevo già un po’ affacciato sull’Umanesimo, non esisteva la distinzione fra cultura scientifica e cultura umanistica, e questo tema è quanto mai di attualità».
Dante scrittore di fantascienza, dunque? Se la fantascienza è la letteratura dell’immaginario razionale, perché no?

(fotografia di Susanna Mati)
All’interno della produzione narrativa di Bianca Garavelli (la bibliografia completa e l’elenco delle attività in http://www.biancagaravelli.it), giova ricordare almeno i titoli più rivolti all’immaginazione fantastica: Beatrice (2002), romanzo di formazione che apre alla scoperta di un forte maternage collettivo; Il passo della dea (2005), thriller teologico ambientato in una Milano sotterranea e inquietante; Le terzine perdute di Dante (2012), opera giocata su due piani temporali: il Trecento e la città rifugio di Parigi del grande fiorentino che, grazie alla poesia, può letteralmente salvare il mondo, e il qui e ora di Riccardo, filologo per passione, insegnante per necessità; Il dono della tigre (2020), sulla forza del sogno che, nella cultura del popolo nativo Senoi, cura e rigenera l’anima. Particolarmente significativo il romanzo Le terzine perdute di Dante, ristampato da Rizzoli nel 2015 e nel 2021, che, secondo Giuseppe Lippi (Urania n.1592 del marzo 2013), «concede al lettore la non piccola soddisfazione di recuperare un passo smarrito e tuttavia finalmente leggibile della Divina Commedia, oltre a fargli vivere un’avventura che sconfina con l’esoterico e la fantascienza, pur restando rigorosamente ancorata alla realtà storica italiana».
Se Bianca Garavelli deciderà di riaccostarsi alla science fiction, il genere (e non solo) se ne gioverà. Alla domanda se non creda di avere ancora qualcosa da scrivere in questo ambito, l’autrice replica in modo interlocutorio: «Non so rispondere con certezza. In questi mesi per motivi di salute sto vivendo una sorta di grande revisione della mia vita, che potrebbe includere anche la scrittura. Ho ritrovato dei racconti inediti, vorrei rileggerli e capire se ho ancora un legame forte con la fantascienza. Quindi sì, sono aperta anche a questa possibilità, anche se per ora è una prospettiva un po’ nebulosa».
Bianca Garavelli è passata all’alba del 29 dicembre 2021. Ora, accanto all’amico Giuseppe Lippi, conversa con Dante.
In copertina. Gino Andrea Carosini, Giovanna Repetto e Bianca Garavelli.
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Articolo di Laura Coci

Fino a metà della vita è stata filologa e studiosa del romanzo del Seicento veneziano. Negli anni della lunga guerra balcanica, ha promosso azioni di sostegno alla società civile e di accoglienza di rifugiati e minori. Dopo aver insegnato letteratura italiana e storia nei licei, è ora presidente dell’Istituto lodigiano per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea.