Léonie Thévenot d’Aunet era, forse, figlia del militare Auguste-François-Michel Thévenot d’Aunet, nato in Québec. Un dato non certo, perché è proprio la madre, Henriette Joséphine d’Orémieulx, a sostenere due versioni diverse: in una la bambina è nata il 1° gennaio 1820, figlia del suo compagno Claude-Denis-Hippolite Boynest; nell’altra il padre sarebbe l’ex-marito, appunto Thévenot d’Aunet, morto nel dicembre 1819. Il cognome d’Aunet, inoltre, pare fosse stato aggiunto dal padre al ritorno dalle guerre napoleoniche, per conferirsi un’aura aristocratica. Indicazioni più precise si deducono dai documenti del matrimonio, dove la donna è registrata come Léonie Thévenot d’Aunet. Quanto all’età, d’Aunet stessa indica come data di nascita il 2 luglio, confermata nei documenti del matrimonio della figlia Henriette (1863) in cui afferma però di avere 42 anni. L’anno sarebbe, dunque, il 1821.
Educata in un istituto femminile, il Fauvel, che godeva di buona reputazione, studia le materie previste per una ragazza dell’epoca: musica, arte, letteratura, lingua inglese. È però un tipo autonomo e irrequieto: a diciotto anni, appena uscita dal collegio, si trasferisce in place Vendôme per vivere con il pittore François-Auguste Biard, di vent’anni più vecchio, che la presenta in società come «sua moglie». Biard, un paesaggista non particolarmente popolare fra gli altri artisti (Théophile Gautier ritiene che «non si eleverà mai oltre la mediocrità» e Chopin lo definisce très laid [assai brutto, ma anche miserabile, squallido]), gode però della protezione di re Luigi Filippo I.
È d’Aunet stessa a narrare come lei e Biard, non ancora marito e moglie, decidono di partire per le Svalbard: una storia particolare, che conferma la determinazione e il coraggio di questa ragazza. Nella primavera del 1839, durante un ricevimento nel salotto di place Vendôme, è presente anche il botanico Paul Grimard, che è già stato in Islanda per una spedizione scientifica: in questo periodo sono in molti a cercare il “passaggio a nord-est”, che dovrebbe collegare l’oceano Atlantico al Pacifico attraverso i mari artici. Grimard annuncia la partenza per una nuova spedizione, questa volta appunto all’arcipelago delle Svalbard (al tempo ancora definite dal termine tedesco di Spitzbergen), una zona d’importanza cruciale per le rotte marittime nell’estremo nord. La richiesta di Grimard a d’Aunet riguarda il “marito” pittore: le tecniche fotografiche del tempo non consentono ancora una riproduzione fedele, perciò le spedizioni scientifiche necessitano di un paesaggista che riporti fedelmente quanto osservato durante le esplorazioni. Grimard chiede quindi alla giovane di convincere Biard a partecipare: la ragazza accetta, ma pone come condizione di far parte anche lei della spedizione. La sua scelta desta non poche perplessità e commenti negativi nei salotti parigini: soffrirà il freddo, si rovinerà la pelle, commentano le amiche. Non si lascia intimidire: per lei sarà un viaggio avventuroso, che durerà circa sei mesi, da giugno 1839 a gennaio 1840. Quando ritorna d’Aunet è incinta, per cui sposa Biard a luglio e a ottobre nasce la prima figlia, Henriette, che da adulta seguirà le orme materne, dedicandosi alla scrittura e diventando editorialista di una certa fama per Le Figaro con lo pseudonimo di Etincelle.
Al rientro a Parigi, D’Aunet diventa immediatamente una celebrità: fra il 1842 e il 1844 è l’orgogliosa protagonista di un’avventura unica, la prima donna ad essere arrivata così a nord, per cui suscita la curiosità e l’ammirazione di frequentatori e frequentatrici dei salotti. Tra questi ritrovi, uno dei più famosi è quello di Fortunée Hamelin, una nobildonna spregiudicata che, durante l’ultimo periodo della Rivoluzione, era stata una Marveilleuse, famosa per passeggiare nei giardini pubblici completamente nuda, avvolta solo in uno scialle velato. Forse a casa di lei, durante un ricevimento, d’Aunet incontra Victor Hugo, già quarantenne, e comincia la relazione che le cambierà la vita. Hugo rimane affascinato dalla sua personalità e nel 1843 inizia un ciclo di opere che ha per oggetto una giovane donna; la figura di d’Aunet è riconoscibile in numerose poesie, a partire dall’inizio di La Fete chez Thérese, dalle Contemplations, che allude probabilmente al primo incontro con la ragazza:
«Thérese la duchessa cui donerei,
Se fossi re, Parigi, se fossi Dio, il mondo,
poiché è soltanto Thérese la bionda;
Questa bella Thérese, dagli occhi di diamante,
Ci ha invitato nel suo giardino incantato».
Therèse de Blaru è appunto lo pseudonimo che d’Aunet usa come scrittrice.
Nel frattempo rimane di nuovo incinta, ma dopo la nascita del secondo figlio, Georges, decide di chiedere la separazione dal marito, diventato sempre più geloso. Un atto di coraggio, perché nella Francia del tempo il divorzio, approvato durante la Rivoluzione, era stato nuovamente abolito. Forse per gelosia, forse per evitare di pagarle qualsiasi forma di sussidio, Biard la fa seguire dalla polizia e a luglio 1845 la scopre in flagrante in un appartamento, proprio in compagnia di Hugo. Lo scrittore non subisce alcuna conseguenza, perché essendo Pari di Francia invoca l’immunità dai procedimenti: anzi, la sua identità viene apparentemente ignorata. Sul numero del 10 luglio del quotidiano Le National viene riportata la notizia mantenendo però l’anonimato dell’uomo, il quale oltre allo scandalo teme la reazione della sua amante “quasi-ufficiale”, l’attrice Juliette Drouet, che ha fama di essere estremamente gelosa. Nel sottolineare l’imbarazzo sia del marito tradito che del commissario, entrambi all’oscuro dell’identità dell’illustre amante, Le National si riferisce a Hugo come a «un’insigne personalità, che associa al lauro del Parnaso il mantello d’ermellino dei Pari». Invece d’Aunet è immediatamente arrestata e rinchiusa a St. Lazare, la prigione delle prostitute, dove trascorre alcuni mesi. Viene salvata dall’intervento delle amiche salottiere, prima fra tutte proprio Fortunée Hamelin, che aveva favorito la loro relazione. Tuttavia, è necessario il contributo della Duchessa d’Orléans per permettere il trasferimento della giovane donna in un convento, dove rimane fino a dicembre 1845.
Nel frattempo, però, ha perso la custodia dei figli e il diritto a qualsiasi sostentamento; uscita dal convento alloggia presso una zia e deve trovare una qualche forma di introito, così collabora con diverse riviste: curerà una rubrica di moda su L’événement, una rivista di politica edita da amici di Hugo, e pubblicherà alcuni feuilletton. Dopo la scoperta della relazione con Hugo, l’ambiente salottiero che l’aveva salutata con curiosità e interesse al ritorno dal viaggio al nord non esita a ostracizzarla e criticarla. Sono particolarmente feroci i commenti degli amici dello scrittore; le viene attribuito un amante durante il viaggio alle Svalbard; Hugo è compatito per l’ingenuità d’aver ceduto alle lusinghe di questa donna «dalla grazia ondeggiante e serpentina».
D’Aunet lo rivede ed è anzi ricevuta in casa sua dalla moglie Adèle, della quale diventa amica intima. Lo scrittore cerca invano di tenere nascoste le svariate relazioni amorose alle sue diverse amanti, ma d’Aunet decide di troncare: «Non posso» ― afferma ― «rimanere sul fondo di questa umiliazione in cui mi trattenete, mantenere questo odioso ruolo di una cortigiana che, per mantenere il legame con l’amato, accetta una relazione in cui l’onore e la dignità sono ugualmente calpestati. Non posso essere questo tipo di donna; certe anime sono avvelenate dalle loro convinzioni. Così sono io. Vi darei il mio sangue e la mia vita, ma non la mia coscienza».
Nel frattempo Hugo, che si era opposto al colpo di stato di Luigi Napoleone Bonaparte, è sfuggito all’arresto e ha riparato in Belgio. Resterà all’estero fino al 1870 e sarà invece sua moglie, con la quale ormai d’Aunet ha stretto un solido vincolo d’amicizia, a interessarsi a lei e a introdurla nel circolo letterario della Revue de Paris; d’Aunet, dunque, non è più soltanto una femme salonnière, oggetto di curiosità per le sue avventure e il suo anticonformismo prima, giudicata per la sua immoralità poi; ora entra a far parte di un prestigioso circolo di intellettuali. Nel numero di agosto 1852 della Revue viene pubblicato un estratto dal titolo Voyage d’une femme au pôle arctique, Suède et Norwège, che riporta alcune osservazioni sul suo viaggio nell’estremo nord d’Europa. Il testo completo, intitolato Voyage d’une femme au Spitzberg, è pubblicato nel 1854 dalla prestigiosa casa editrice Hachette e ha immediatamente un enorme successo: viene ristampato sette volte nei trent’anni successivi, arricchito di immagini originali.
La fama consente all’autrice di pubblicare anche altri libri. Tra questi, diversi romanzi: Un mariage en province, Une vengeance, L’Héritage du Marquis d’Elvigny; qualche racconto: Étiennette, Silvère, Le Secret; infine alcune opere teatrali: Une Place à la Cour, Silvère (un atto, tratto dal racconto), Jane Osborn, rappresentate al tempo con un certo successo. Se si esclude il resoconto di viaggio che l’ha resa famosa, tutte le opere di d’Aunet sviluppano la stessa tematica: le protagoniste sono donne infelici, oggetto di vessazioni e violenze, vittime di mariti crudeli, spesso private dei figli. L’autrice, che ha definitivamente abbandonato il cognome del marito per conservare solo l’ultimo, quel d’Aunet che probabilmente non appartiene nemmeno alla sua famiglia d’origine, sembra rivivere le tappe più tristi della sua esistenza attraverso i romanzi.
Nel complesso, il successo letterario non migliora particolarmente la sua situazione: ha superato solo in parte le difficoltà economiche, ma è ancora costretta a chiedere aiuto al vecchio amante Hugo. Soprattutto, con il trascorrere del tempo, rimane una donna sola, senza il sostegno di una figura maschile accanto, senza solide amicizie. Nel gennaio 1870 si trasferisce in un piccolo appartamento all’ultimo piano di un edificio di rue de Rivoli dove, ormai anziana e malata, muore il 21 marzo del 1879. La assiste il figlio Georges, dal quale era stata separata subito dopo la nascita. Il giovane, che sembra non averla dimenticata, condivide con lei lo spirito irrequieto: dopo il diploma all’Ècole Navale affronta alcune sfortunate esperienze di navigazione e, alla morte della madre, decide di aggiungere il cognome di lei al proprio, sposarsi e intraprendere una carriera diplomatica dalle alterne fortune, ostacolata, tra l’altro, proprio al cognome materno.
Per molto tempo d’Aunet viene ricordata soltanto come una delle tante amanti di Hugo: sono proprio i biografi dello scrittore a denigrarla, quasi per ristabilire l’onorabilità di lui. Hubert Juin, già nel 1884, afferma che si è «installata» presso Biard per conquistare la propria indipendenza nel modo più «comodo», cioè attraverso il matrimonio; per potersi poi affermare, sfruttando l’amicizia con Hugo, come scrittrice. «Troppo sicura della sua giovinezza e della sua trionfante bellezza», la definisce Louis Barthou nella biografia di Hugo del 1919; per Souchon, nel libro del 1951, è semplicemente «odiosa». Solo nel 1992 Wendy S. Mercer rivaluterà la figura di d’Aunet, con la Prefazione a una nuova edizione del Voyage e un articolo su Studi francesi dal titolo Léonie d’ Aunet (1820-1879) nell’ombra di Victor Hugo: un talento oscurato dal sesso che conclude: «Il messaggio essenziale trasmesso sia dalla carriera di Léonie che dalla sua opera sottolinea l’insoddisfazione per il ruolo assegnato alle donne nel XIX secolo. Inoltre, Léonie celebra la femminilità e si ribella alle leggi scritte da uomini per limitare il ruolo attivo delle donne nella società».
Léonie d’Aunet riposa, secondo la sua volontà, nel piccolo cimitero di Ville-d’Avray, a sud-ovest di Parigi, ma il suo nome non compare nell’elenco delle personalità che vi sono sepolte.
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Articolo di Rossella Perugi

Laureata in lingue a Genova e in studi umanistici a Turku (FI), è stata docente di inglese in Italia e di italiano in Iran, Finlandia, Egitto, dove ha curato mostre e attività culturali. Collabora con diverse riviste e ha contribuito al volume Gender, Companionship, and Travel-Discourses in Pre-Modern and Modern Travel Literature. Fa parte di DARIAH-Women Writers in History. Ama leggere, scrivere, camminare, ballare, coltivare amicizie e piante.