Figlia del duca di Milano Filippo Maria Visconti (l’ultimo della dinastia Viscontea) e della nobile amante milanese Agnese del Maino, Bianca Maria nacque nel castello di Settimo Pavese (attuale Settimo di Bornasco) il 31 marzo 1425. Nel 1430 divenne la legittima erede al trono ducale, ufficialmente riconosciuta dall’allora imperatore del Sacro Romano Impero Sigismondo di Lussemburgo in cambio del versamento di 1200 ducati. La motivazione della scelta, così rara all’epoca, fu dovuta all’impossibilità del padre di avere figli con le sue due spose ufficiali. Dopo una lunga trattativa tra le casate Visconti e Sforza, venne data in moglie a Francesco Sforza, capitano di ventura dello stesso duca di Milano e più vecchio di lei di ben ventiquattro anni.
A seguito delle nozze, celebrate in pompa magna il 21 ottobre 1441 nella chiesa di San Sigismondo a Cremona all’età di soli 16 anni, la vita coniugale fu movimentata più per colpa del marito che della moglie. Contrariamente alla ferma osservanza del principio di fedeltà da parte della Visconti, lo sposo si rivelò ben presto un amante dei letti di altre donne. Molto probabilmente Bianca Maria non prendeva bene questa infedeltà.
Viene ricordato, infatti, che nel 1443, in occasione del primo di questa serie di tradimenti, Bianca Maria fece allontanare l’amante che venne poi “misteriosamente” uccisa; in più impedì al marito di vedere il figlio nato da quel rapporto illegittimo.
Tuttavia, quest’atto fu solo una sfumatura negativa (almeno per gli standard morali odierni) di una personalità complessivamente molto più sfaccettata. La duchessa si dimostrò infatti più volte misericordiosa e attenta al sociale, soprattutto verso le persone più povere. Basti pensare che, tra le tante opere di beneficenza compiute in vita, a lei si deve in particolare la promozione e la costruzione dell’Ospedale maggiore di Milano.
Inoltre, Bianca Maria Visconti fu tutt’altro che una donna in balia degli eventi, ma anzi seppe essere di estrema utilità al marito sia come consigliera che come diplomatica e amministratrice. Ciò è provato sia dal fatto che Francesco Sforza le affidò la reggenza del territorio della Marca Anconitana (corrispondente circa all’attuale regione Marche), sia dal fatto che le delegava tranquillamente dei compiti esecutivi e amministrativi quando era impegnato sui campi di battaglia. Queste sue abilità derivavano dall’istruzione di stampo umanistico che aveva ricevuto per volontà paterna nell’infanzia e nella prima metà dell’adolescenza ad Abbiategrasso; non per niente, nel corso della vita fu grande amante della cultura e dell’arte.
Ma che cosa c’entra Bianca Maria Visconti con Pavia? Nata nella provincia pavese, ad un certo punto si trasferì nel castello visconteo di Pavia con un manipolo di familiari sia del ramo visconteo che del ramo sforzesco (a cui si aggiunsero anche dei parenti per parte di madre), dove poi nacque il terzo figlio Filippo Maria e dove intelligentemente sviluppò delle relazioni con diversi personaggi influenti della zona. Il suo domicilio qui durò poco, in quanto seguì il marito alla volta di Milano nel marzo del 1450. Del resto, lo stesso castello fu edificato tra il 1360 e il 1365 da un suo parente, Gian Galeazzo II Visconti.
La questione che più mi ha incuriosito della biografia di Bianca Maria Visconti è stato quell’episodio di spietatezza avuto nei confronti dell’amante del marito. Tuttavia, prima di affrettarci a giudizi morali è meglio ricordare che, specialmente nel mondo medievale, «essere virtuosi e agire di conseguenza può richiedere un prezzo» (Henry Jacoby et al., La filosofia del “Trono di spade”. Etica, politica, metafisica, Milano, Ponte alle Grazie, 2015, p. 84).
Nel caso specifico, lasciare che il marito facesse le sue scappatelle avrebbe potuto comportare un futuro atteggiamento troppo remissivo nei confronti del duca, una perdita di immagine e rispetto da parte della corte e del popolo, nonché il rischio che l’amante potesse giocare una qualche influenza sull’uomo. Questa situazione mi ha ricordato il saggio Lord Eddard Stark, la regina Cersei Lannister: giudizi morali da prospettive diverse, scritto da Albert J. J. Anglberger e Alexander Hieke.
Infatti, tenendo comunque conto di quanto appena detto, c’è però da considerare anche la possibilità che questo allontanamento (e successiva morte) dell’amante possa essere stato dettato esclusivamente dal profondo amore che la duchessa provava nei confronti del marito (un amore simile a quello che Cersei prova per i propri figli e che va a guidare tutte le sue scelte morali nel corso della storia di George R. R. Martin).
Se fosse vero, ovviamente, tale atteggiamento non renderebbe virtuosa Bianca Maria, perché «secondo l’etica della virtù, se un aspetto del carattere è vissuto all’eccesso smette di essere una virtù» e diventa un vizio (op. cit., p. 85), specialmente in quelle situazioni in cui due virtù diverse possono entrare in conflitto tra loro (in tal caso: l’amore nei confronti di una persona contro la misericordia verso un’altra). In questo senso, potrebbe essere che l’eccessivo amore che Bianca Maria provava per il coniuge l’abbia fatta diventare particolarmente violenta; in altre parole, Visconti non ha cioè amministrato «la giusta dose di virtù» (Ibidem) o meglio, non ha raggiunto l’aristotelico “giusto mezzo”. L’amore che provava era sbilanciato, di conseguenza ha dimenticato completamente la misericordia. Inoltre, così come Cersei anche Visconti si è dimostrata essere una «consequenzialista egoistica “a estensione minima”…» (op. cit., p. 87), in quanto con la sua decisione «non tiene conto di tutti i soggetti coinvolti» (Ibid.).
Infatti, come nel caso di Lannister, anche per Visconti al momento della scelta esistevano pochi soggetti veramente importanti: lei e il marito; di conseguenza, la sua scelta avrebbe dovuto avere degli effetti positivi solo per loro e non anche per gli altri soggetti in gioco (l’amante uccisa e il figlio rimasto orfano di madre e padre). Ciononostante, dobbiamo ricordarci che il nostro giudizio morale potrebbe essere inevitabilmente influenzato dalla società in cui viviamo, caratterizzata da regole morali molto diverse rispetto a quelle del periodo storico a cui si fa riferimento. In questo senso, infatti, non bisogna dimenticare il fatto che «esistono sicuramente delle divergenze tra le diverse culture su cosa si debba considerare una virtù» (op. cit., p. 88). Si parla in tal caso di relativismo culturale, una teoria secondo la quale «culture diverse hanno codici morali diversi» (op. cit., p. 159), ma che non deve eccedere nel più estremo relativismo morale «secondo cui la verità morale è solo relativa» (Ibid.). Sarebbe infatti folle reintrodurre il delitto d’onore e il reato di adulterio nel 2022, così come sarebbe impensabile valutare l’azione di una donna medievale con gli standard che utilizziamo adesso. D’altronde, rimane da chiederci come giudicheremmo la duchessa se la scelta della misericordia avesse poi portato, invece, alla rovina di lei e dei suoi figli. Ai nostri occhi sarebbe virtuosa o ingenua?
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Articolo di Giovanni Trinco

Nasce a Padova nel 1997. Laureato in Scienze Politiche, attualmente è laureando in Comunicazione Digitale presso l’Università di Pavia. Appassionato di giornalismo e saggistica, riguardante la sociologia e la filosofia, spera che un giorno il progressive rock possa tornare di moda.