Seconde generazioni e produzione musicale

Si affronta la situazione di chi si sente all’ultimo posto, “un numero zero”, di chi avverte la sensazione di essere o di provenire sempre dalla parte “sbagliata” e la rabbia di non essere mai nel posto giusto. In Italia la strada per la piena integrazione è ancora molto lunga, ma è ormai assodato che gli/le artiste di seconda generazione sono sempre più numerose e continuano meritatamente e inesorabilmente a guadagnarsi ambiti in precedenza riservati solo alla popolazione d’origine.
Si tratta dunque del fenomeno dell’integrazione delle seconde generazioni, giovani nate/i in Italia da genitori immigrati o arrivate/i piccolissimi e, in maniera particolare, delle espressioni artistiche attraverso le quali cercano un riscatto. Una sorta di doppia identità: il privilegio, ma allo stesso tempo, la penalizzazione nel poter osservare entrambe le parti dall’esterno perché non si appartiene mai pienamente a nessuna di esse.
È probabilmente questo il sentimento che queste/i giovani italiani di seconda generazione provano. Una sorta di distacco, di disagio nei loro confronti che avvertono sia da parte dei/delle proprie connazionali di origine, sia da parte delle/degli autoctoni nella nuova terra in cui si sono trasferiti. Sono viste/i con un misto di gelosia e di aspettativa, in quanto hanno abbandonato il luogo natio, hanno tradito quel piccolo mondo di affetti, usanze e abitudini consolidate e restano in attesa di vedere i possibili sviluppi di questa nuova vita all’estero oppure sono percepite/i sempre come estranei, mai pienamente parte del contesto, spesso come “fenomeni”, quasi sempre con connotazione negativa, da attenzionare.

I giovani musicisti e musiciste, scrittori e scrittrici, artisti e artiste, di cui si parla rappresentano, dunque, la voce di un mondo sommerso che cerca spazi e riconoscimenti; le piattaforme tecnologiche quali YouTube ne sono ogni giorno la prova: video e audio si susseguono come in una fioritura inarrestabile. Tutto ciò costituisce una riscossa, concede la possibilità di aprire la mente, di andare oltre la cultura tradizionale. La musica, in particolare il rap, è uno degli strumenti più consoni per esprimere i propri stati d’animo e la propria attività di denuncia verso le disuguaglianze.
È anche grazie a queste nuove opportunità di comunicazione che i/le giovani italiane sono ormai consapevoli che la società è multietnica, non ha solo i caratteri con cui le precedenti generazioni sono cresciute e con cui erano abituate a relazionarsi. Fortunatamente i ragazzi e le ragazze di oggi hanno sviluppato una coscienza probabilmente più aperta all’inclusione. Le nuove sonorità e i temi che si rappresentano nella produzione musicale hanno un fascino travolgente che induce a seguire i nuovi artisti e artiste, a cantare strofe accattivanti e ritornelli in arabo o in altre lingue.

Nella parte iniziale del lavoro si presenta un breve excursus riguardante la tradizione culturale musicale araba, sottolineando come nel primo periodo islamico non esistesse un pentagramma e una base melodica scritta, ma tutto si basasse sull’abilità di improvvisazione della/del cantore. Nel corso dei secoli si evidenzia una lenta evoluzione che diventa rilevante solo nel ventesimo secolo, grazie soprattutto all’influenza esercitata da generi tipicamente occidentali come la dance e il rap.
In effetti, come si evince dal secondo capitolo, in passato la concezione musicale araba era molto ancorata a un’interpretazione del corano derivante dalla dottrina salafita, in base alla quale la sharia vieterebbe l’ascolto della musica che non sia religiosa, perché considerata come haram, peccato, e ritenuta in grado di distogliere dalla preghiera di Allah.
Nonostante questa tesi così radicale, si sono sviluppati, negli ultimi decenni, forme libere da questi limiti, tra i quali si è distinto il Taqwacore, genere punk-rock, il cui nome stesso è l’unione tra le parole Taqwa che significa pietà, ma anche paura di Dio e hardcore, per indicare la durezza dei suoni.
Questo stile è anticipatore e manifestazione già dagli anni ‘80 di un movimento di protesta e di libera espressione delle proprie idee contro la chiusura della religione islamica verso la musica profana. Anche in luoghi caratterizzati da un sottile equilibrio politico, si distinguono figure quali la “First Lady dell’hip hop arabo” Shadia Mansour, rapper anglo-palestinese e altre/i artisti reggae impegnati politicamente nell’ambito della primavera araba.

Addentrandosi nel nucleo del lavoro si analizza, in una prima parte, la situazione del fenomeno delle seconde generazioni al di fuori del nostro paese e, in un secondo momento, la loro sempre più rilevante affermazione in Italia. “La forza della cultura di fronte alla cultura della forza”: è questo lo slogan con cui Médine, uno degli artisti più in vista del gruppo dei “nuovi” francesi, si impone nella scena musicale internazionale.
Egli si rivolge ai/alle giovani con uno stile talvolta anche aggressivo e particolarmente provocatorio, ma con l’intento di esprimere a pieno la propria identità musulmana, non associabile al fondamentalismo islamico, con la volontà di distaccarsi dalla dura realtà emarginante delle banlieu.

Nella seconda parte è protagonista la realtà italiana e, soprattutto, il panorama artistico e musicale della cosiddetta “Rete G2”, seconde generazioni dell’immigrazione nel nostro paese. In modo meno aggressivo rispetto alla Francia, ma ugualmente incisivo, rimarcano la propria identità multietnica, proponendo ideali di completa integrazione e di piena realizzazione dei propri obiettivi. Tra i personaggi più in vista ricordiamo, innanzitutto, la figura di Khalid Chaouki, scrittore, giornalista, politico italo-marocchino e fondatore dell’associazione Giovani Musulmani d’Italia. I suoi scritti nonché i suoi interventi politici, sono volti, da un lato, a denunciare il pregiudizio esistente nei confronti della comunità musulmana; dall’altro, a porsi contro le forme di intransigenza dell’islam radicale, ma anche contro l’ipocrisia di situazioni più moderate quali il ruolo subalterno delle donne o la passiva accettazione della violenza fondamentalista.
Esempio del suo attivismo è la partecipazione al video provocatorio di Amir Issaa “Ius Music”, pubblicato su YouTube, il cui principale messaggio è il riconoscimento dello Ius Soli ai/alle figlie di genitori stranieri nate in territorio italiano.
Nel video il giovane Amir, rapper italo-egiziano, si batte ancora una volta contro i luoghi comuni e gli stereotipi che egli stesso ha dovuto subire. Amir, simbolo ormai della lotta interraziale, ultimamente si è dedicato all’attività didattico-scolastica e universitaria in cui ribadisce temi quali la necessità di integrazione e di libertà di espressione con corsi in diverse parti del mondo; il tutto anche attraverso lo studio del genere rap, denominatore comune di questo movimento evolutivo.
Anche il rapper italo-siriano Zanco è un valido esponente di questa rete di giovani, portavoce di un riscatto multiculturale. Soprannominato “El Arabe Blanco” per via della sua carnagione chiara, considerata come una sorta di contraddizione rispetto alle sue origini, si è distinto nel progetto musicale #powerpopuli, finalizzato alla realizzazione di una “potente moltitudine”, basata su un principio di rispetto e unione pacifica tra popoli.

C’è poi chi è riuscito a emergere tralasciando temi più impegnativi per dedicarsi ad argomenti apparentemente più popolari, ottenendo così una platea più vasta. Primo fra tutti Mahmood, salito alla ribalta con la vittoria al Festival di Sanremo nel 2019 col brano Soldi. Il suo caso offre un ulteriore spunto di riflessione sulle trasformazioni e sulle contaminazioni che ormai influenzano la cultura nazionale italiana, tanto che in quell’occasione si è parlato di un “caso Mahmood”.
Egli è e si sente italiano a tutti gli effetti, ma non per questo rinuncia a far emergere la sua identità composita, costituita sia dalle tradizioni e dai valori del luogo in cui è nato, sia dai ricordi della cultura egiziana paterna. Si tratta di cantanti esempio di una società in evoluzione, che rifacendosi a diversi generi musicali, riescono a collegare le proprie origini straniere all’identità italiana.
A ulteriore testimonianza di questa inclusione il cantante italo-tunisino Ghali è stato scelto dal comune di Milano per scrivere e interpretare il video Yes Milano, diffuso durante il periodo di chiusura dovuta alla pandemia, come appello agli italiani per ripartire un passo alla volta. Un messaggio di uguaglianza in un periodo in cui la pandemia non ha fatto distinzioni tra “messe e ramadan”, ricordandoci che «solo insieme siamo umani/e più che mai». Considerando un ambito più statistico, i dati analizzati dal Dossier Statistico dell’Immigrazione del 2020 non rassicurano nell’ottica di un immaginario di convivenza paritaria.
La maggioranza dei/delle nate in Italia non riesce a ottenere la propria cittadinanza a causa di leggi obsolete e le presenze irregolari nel nostro paese aumentano progressivamente. Unica soluzione possibile è incentivare il dialogo costruttivo tra istituzioni, tra associazioni di tutela delle minoranze, cittadine/i e media. Solo una sinergia d’intenti e una cittadinanza attiva possono condurre a una totale accettazione di una realtà multietnica, rispettosa e garante delle aspettative e dei diritti delle diverse parti.

Qui la tesi integrale.

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Articolo di Cecilia Mazzone.

Nata in Sicilia nel 1999, è laureata in Comunicazione Pubblica e d’impresa all’Università Sapienza di Roma. Frequenta la magistrale in Organizzazione e Marketing per la Comunicazione d’impresa presso lo stesso ateneo. Ama la danza, la musica, il cinema e le piace analizzare le dinamiche evolutive della società.

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