Pavia. Via Maria Corti, o sulla difficoltà della trasmissione della cultura alle generazioni successive

La vita e il contributo intellettuale della critica, filologa, scrittrice Maria Corti (1915-2002) è particolarmente legato all’istituzione del Fondo manoscritti dell’Università di Pavia. Al giorno d’oggi tale fondo viene tranquillamente «annoverato fra i più importanti archivi italiani deputati alla conservazione e allo studio del patrimonio archivistico e bibliografico moderno e contemporaneo» (“Storia”, centromanoscritti.unipv.it, 26 aprile 2021), ma all’epoca questo non era altro che un progetto visionario e pionieristico. Infatti, alla fine degli anni Sessanta mancava ancora «quasi completamente l’attenzione per la conservazione dei manoscritti contemporanei», con l’unica eccezione del «Fondo Guido Gozzano, costituito nel 1967 presso l’Università di Torino» (p. 901, Dario Mantovani et al., Almum Studium Papiense. Storia dell’Università di Pavia. Volume 3. Il Ventesimo secolo. Tomo II, Milano, Cisalpino Istituto Editoriale Universitario, 2020). È la stessa Maria Corti a descriverne le origini, scrivendo come «il Fondo manoscritti di autori contemporanei dell’Università di Pavia» nacque nel 1969, ossia quando lei decise «di donare all’illustre università lombarda… una piccola privata raccolta di autografi di Montale, Gadda e Bilenchi» (ibidem). Numerose sono le motivazioni che Corti attribuisce alla necessità della nascita di tale fondo: «salvare un materiale prezioso soggetto all’usura e agli errori di eredi inesperti o disattenti»; «impedirne la vendita all’estero»; «evitare il pericolo che i manoscritti» finiscano «nelle mani di “amatori” e collezionisti, tendenti a sottrarre il materiale prezioso alla consultazione e alle ricerche degli studiosi» (ibidem).

Contrariamente a quanto si può pensare, la riuscita e il successo di questa impresa era tutt’altro che certa all’epoca. La stessa Corti, in un discorso datato all’anno 1991, confessò come inizialmente non si sarebbe mai immaginata che il fondo avrebbe successivamente raggiunto una tale quantità e qualità impressionante di materiali; usando le sue parole, per l’accademica era come se «uno pensasse di metter su un bel negozio e si trovasse poi il materiale della Rinascente» (op. cit., p. 908). Una similitudine buffa, ma che aiuta a far comprendere l’atteggiamento di postuma incredulità che Maria Corti provava. In seguito alla sua morte, avvenuta il 22 febbraio 2002, i suoi progetti e le sue volontà furono portate avanti dai colleghi e dalle colleghe, nonché da allieve e allievi, per i quali il fondo aveva come obiettivo ultimo di fornire loro «dei materiali su cui studiare filologicamente» (ibidem).

Il Fondo manoscritti di autori contemporanei venne ufficialmente riconosciuto dallo Stato italiano il 18 dicembre 1973 e nel 1980 fu creato il Centro di ricerca sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei. Quest’ultimo «custodisce ricche raccolte di materiale documentario relativo agli scrittori degli ultimi due secoli (manoscritti, dattiloscritti, epistolari, prime edizioni, fotografie, disegni, dipinti ecc. )», nonché quelle relative a «studiosi, artisti, scienziati, editori, riviste e istituzioni culturali», a cui si aggiunge «una biblioteca specializzata, costituita principalmente da biblioteche d’autore» (ibidem, “Storia”). Il tema della conservazione della cultura in vista di una successiva fruizione delle generazioni future è un argomento fondamentale che risulta ancora attualissimo. Contrariamente a quanto si potrebbe comunemente pensare, infatti, l’introduzione del digitale non ha risolto in maniera definitiva il problema del passaggio delle informazioni tra generazioni; anzi, molto probabilmente lo ha addirittura complicato. In questo senso, assolutamente illuminante è la spiegazione fornita dal divulgatore Paolo Attivissimo nel video Cicap Live: Memorie digitali, dove finiranno le nostre testimonianze?.

Innanzitutto, Attivissimo punta a sfatare una falsa credenza, ossia che i supporti della tecnologia moderna abbiano a prescindere delle durate di conservazione più lunghe (sia conosciute che stimate) rispetto a quelle dei supporti tradizionali. In questo senso, un cd tradizionale non riuscirebbe a battere un papiro ben conservato. I cd, infatti, possono andare incontro a fenomeni di deterioramento sorprendentemente rapidi se mal tenuti (possono venir rovinati persino da un fungo mangiatore di plastica). Tuttavia, specialmente nel passaggio dal supporto analogico a quello digitale, la questione diventa non soltanto la resistenza materiale del supporto, ma anche la sua “forma di lettura”.

Mentre infatti i supporti tradizionali come la pietra e la pergamena rappresentano delle soluzioni facilmente leggibili (purché si conosca la lingua), al contrario per i supporti digitali molto spesso si richiede un lettore, cioè un dispositivo capace di leggere e di fornire all’utente il contenuto. In questo modo il problema della conservazione e della riproducibilità del supporto digitale si estende anche necessariamente al lettore. Di conseguenza, il problema fondamentale della conservazione delle informazioni a lunghissimo termine tramite dispositivi digitali viene a consistere nel decidere quale sia il supporto più adatto. Questa decisione dovrà tener inevitabilmente conto sia dell’obsolescenza dei supporti che della carenza di lettori idonei a leggerli. Il rischio diventa quindi il fatto che non siamo più in grado di ottenere delle informazioni o perché queste sono depositate su supporti non più leggibili, o perché non si riesce più a trovare la tecnologia in grado di leggerli. In questo senso, l’esempio che Attivissimo porta è illuminante: mentre ricostruire da capo un giradischi è tecnicamente abbastanza semplice, la ricostruzione di un videoregistratore è molto più complicata (perché richiede certi componenti complessi per la cui creazione è necessaria una filiera di produzione a sua volta complessa, se ancora esistente). Ciò è più evidente quando si parla dei fogli elettronici o documenti digitali. Un file Word non è un vero e proprio documento (come quello cartaceo), ma si tratta di un insieme di istruzioni informatiche che, se correttamente interpretate dall’apposito programma, permettono a un monitor di visualizzare il contenuto. Questo significa quindi che se si vuole leggere quel file non basta averlo a disposizione, ma serve anche il programma che sappia leggere quelle istruzioni informatiche e renderle human readable.

Non finisce qui però, perché quel determinato programma per funzionare avrà bisogno di un idoneo sistema operativo, costruito con determinati componenti elettronici e sulla base di una specifica documentazione o “istruzioni di assemblaggio”. Ecco che, specialmente dal punto di vista dei documenti digitali, si aggiungono due ulteriori problemi oltre a quelli del materiale e della forma: la disponibilità dei componenti e l’ottenimento delle licenze per la corretta ricostruzione delle tecnologie che ne permettono la lettura. Se vi interessa l’argomento, vi invito a guardare direttamente il video; se, invece, siete appassionati del mondo della scienza in generale, vi consiglio di interessarvi alle attività e alle iniziative promosse dal Cicap (Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze).

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Articolo di Giovanni Trinco

Nasce a Padova nel 1997. Laureato in Scienze Politiche, attualmente è laureando in Comunicazione Digitale presso l’Università di Pavia. Appassionato di giornalismo e saggistica, riguardante la sociologia e la filosofia, spera che un giorno il progressive rock possa tornare di moda.

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