L’album di famiglia

C’è solo un modo per arrivare a Borgo: la Renault 4 di Edi.
Ogni altro mezzo che da fuori volesse raggiungere il paese troverebbe la strada bloccata dalla cocciutaggine del tempo, fermo e sospeso tra le curve dei cipressi e delle biancane; un tempo sentinella, pronto a chiedere ai forestieri e alle forestiere il dazio della contemporaneità.
Borgo se ne sta lì, indifferente al giro rotondo degli orologi e a quello caduco dei calendari, come le insegne dei “Dopolavoro” che, testarde, allargano le spalle ad affrontare e fermare sole e intemperie, a dire che il nonostante è la sola lingua che sappiano parlare.
Un paese senza nome, Borgo. E un nome che va bene sempre, che serve al lettore e alla lettrice per immaginarlo a proprio modo, per sentirlo proprio, per sentirlo casa.
Perché L’album di famiglia sa esattamente di questo: della modernità trattenuta da un passato carezzevole e spensierato, nel quale gli odori sono densi e i colori tanto netti da riempire i contorni senza bisogno di alcuna linea di demarcazione.
Quando giri le pagine, a colpirti è il profumo di gelsomino e di resina, il polverone delle strade sterrate, il chiacchiericcio delle cicale, il silenzio appeso che rende l’estate la contraddizione di sé stessa.
Il passato sembra rimanere, a Borgo. Ma, lì, il passato sa anche tornare, inaspettato come un incidente, pronto a sistemare lividi e ammaccature, a farne di nuovi, a mettere a posto conti aperti da forse troppo tempo.
E questo passato pare ripresentarsi proprio con Edi, la protagonista del libro, una quarantenne londinese, indipendente ed emancipata, che sceglie di non rinunciare né ai suoi ricordi né alle seconde possibilità.
Edi arriva e Borgo la fa entrare, nonostante ella rappresenti il turbinio confuso di una vita impegnata e impegnativa, il tempo veloce che fugge lasciando dietro di sé l’insoddisfazione di aver comunque mancato qualcosa.
I due però si conoscono: Edi andava lì da piccola a trascorrere le vacanze estive, e il paese ha da tempo deciso di adottarla: in fondo, se ti sposti ostinatamente con una Renault 4 è perché vuoi abbandonare la frenesia per la pazienza dell’attesta.
Non c’è un solo momento nel quale questa donna appaia fuori posto o fuori contesto. La sua emancipazione fa da eco a quella delle altre donne che si incontrano tra queste pagine, le quali, ciascuna a modo proprio, si tengono stretto il proprio diritto di scegliere. E di non essere scelte.
E se non è il giungere di Edi a incrinare l’ingranaggio perfetto del presepe laico che è Borgo, sarà la morte di un borghigiano a mettere in funzione il cambio di marcia, la sterzata non voluta ma inevitabile quando un ostacolo si pone lungo la strada.
Perché i funerali, da che mondo è mondo, aprono le porte delle chiese, delle case, dei paesi e dei segreti.
Dopo la dipartita di Ludovico, uomo tanto gaudente quanto immaturo, si susseguono una lunga serie di eventi, più o meno inaspettati, che solo sul finale riescono a incastrarsi perfettamente: un po’come un vecchio album di fotografie messe alla rinfusa ma che hanno, ciascuna, il proprio posto. Una volta trovata la giusta connessione, non è soltanto la vicenda di Ludovico a venire dipanata, ma è la storia dell’intera comunità ad avere, finalmente, la corretta sistemazione.

L’album di famiglia è un racconto dal sapore dolce delle chiacchiere fatte a bassa voce nell’atmosfera profumata delle sere d’estate: quelle confidenze che sono ricordi preziosi perché costruiti nella stagione eterna in cui tutto sembra possibile.

E il passato, anche a distanza di anni, riesce ancora a trasformarsi in futuro.

Valentina Olivastri
L’album di famiglia
Youcanprint, 2021
pp. 162

***

Articolo di Sara Balzerano

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Laureata in Scienze Umanistiche e laureata in Filologia Moderna, ha collaborato con articoli, racconti e recensioni a diverse pagine web. Ama i romanzi d’amore e i grandi cantautori italiani, la poesia, i gatti e la pizza. Il suo obiettivo principale è quello di continuare a chiedere Shomèr ma mi llailah (“sentinella, quanto [resta] della notte”)? Perché domandare e avere dubbi significa non fermarsi mai. Studia per sfida, legge per sopravvivenza, scrive per essere felice.

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