Lo spazio delle donne

C’è una foto famosissima, scattata durante la Maratona di Boston del 1967, dove si vede una donna, Kathrine Switzer, strattonata da alcuni giudici di gara che tentano di impedirle di correre. Alle donne era vietato partecipare a una maratona e per farsi spazio la maratoneta si era iscritta ricorrendo a uno stratagemma, indicando solo le sue iniziali (K.V.Switzer) e ottenendo il pettorale 261. Questa immagine, come riferisce Daniela Brogi nel suo libro Lo spazio delle donne, racconta un’azione, uno stress, uno stratagemma e ci dice che, senza essere identificata per il genere, cioè dando per scontato che fosse un uomo, K.S. meritava di essere ammessa, cioè di non essere esclusa. «Questo è il perimetro simbolico del merito collaudato da un mondo fatto solo a misura degli uomini.

Kathrine Switzer strattonata alla Maratona di Boston del 1967

Fino a prova contraria, lo spazio è naturalmente degli uomini, a meno che non si eserciti un’azione, uno stress, uno stratagemma». Le biografie, le opere e le esistenze di metà o forse più dell’umanità sono state lasciate ai margini della storia, formando «una zona fuori campo che, d’altra parte, come accade al cinema, va messa in dialogo e in tensione critica e creativa con il centro dell’inquadratura…». In questa frase, che attinge al linguaggio cinematografico che Daniela Brogi, autrice del pamphlet Lo spazio delle donne ben conosce, è racchiusa l’idea centrale e innovativa di questo libro, apparentemente leggero ma prezioso. Un testo che può leggersi in un pomeriggio di studio o di vacanza ma che ha un pregio indubitabile: ci fa pensare e ci invita alla condivisione e all’azione. Brogi, docente di Letteratura italiana per stranieri all’Università di Siena, scrittrice, critica letteraria e cinematografica, conosce bene il potere delle storie e parte dal presupposto che «a seconda di come raccontiamo e definiamo il mondo, possiamo […] riuscire a conservare o trasformare lo stato delle cose, anche nel senso di riprodurre, o smantellare, le disuguaglianze», prima di tutto la disuguaglianza di genere. Il libro, dotato di una ricca bibliografia finale e pieno di richiami ad autrici e testi femminili, oltre che a immagini e vicende significative, con molte importanti citazioni, è un viatico per le persone giovani, che farebbe bene leggere anche agli uomini.

Mentre racconta, con parole sue o con parole di scrittrici, l’autrice rintuzza una serie di possibili e diffuse obiezioni che ci capita continuamente di sentire nel discorso pubblico riferito alle donne e questo è un valore aggiunto di questo libretto indispensabile, il cui titolo ha fatto risuonare in me un bellissimo progetto, realizzato da un gruppo di scuole del Lodigiano, alcuni anni fa, per il Concorso Sulle vie della parità di Toponomastica femminile, intitolato proprio Spazio alle donne. Scuole come città ideali che ricordano le donne benemerite.
Nel primo capitolo, Fare spazio, si sottolinea come lo spazio che le donne rivendicano per sé non debba essere visto come un luogo segreto in cui appartarsi (ne abbiamo avuti abbastanza nella storia), ma il posto finalmente riconosciuto a una donna, che solo così può comportarne un vero riconoscimento. Gli spazi possibili per le donne sono stati nella storia emblematicamente il recinto (la minorità in cui siamo state rinchiuse per millenni, escluse dall’alfabetizzazione, dalla scuola, dagli incarichi pubblici, dalle professioni di prestigio, dalle accademie d’arte) il mondo inabissato (tutte le opere delle donne che, in vari campi del sapere e della società, sono state volutamente ignorate o oscurate), l’interstizio (una smarginatura, come la definirebbe Ferrante, dove descrivere identità destabilizzate e traumi) la mappa (l’osservazione di come lo spazio è occupato dagli uomini o dalle donne). Analizzare la composizione di una lista elettorale, un talk show, un panel, un tavolo per un negoziato di pace, un comitato di redazione è una presa di posizione culturale ed etica, come ammonisce Brogi.
Il quinto spazio possibile è il fuori campo attivo, «lo spazio liberato da abitudini sessiste riprodotte con naturalezza», un nuovo ecosistema che comprenda sguardi multiculturali e perciò «contemporanei del futuro» (Pontiggia).

La controparte del libro di Brogi è, per sua stessa dichiarazione iniziale, la cultura patriarcale, che non riguarda genericamente tutti gli uomini, ma un mondo di privilegi della cui scomparsa è ora di prendere atto, con buona pace di chi ancora, per pigrizia mentale e conformismo, lo rimpiange. «Che fare?», si chiede Brogi nel titolo di un paragrafo del libro. Occorre smettere di inserire nei Manuali e nelle antologie appendici di testi di donne, aggiungere tessere al mosaico, o sedie in più allo spazio occupato naturalmente dagli uomini. E men che meno riprodurre la logica dell’harem o del club per soli uomini.
La tradizione va ripensata completamente, riconsiderando, studiando e raccontando «presenze e mancanze secondo una sintassi e un’architettura diverse». Trascurare il contributo che le donne hanno dato agli ultimi centocinquant’anni di storia, ignorare che, come ha scritto Hobsbawn, il femminismo è stata la rivoluzione più riuscita del XX secolo e che il Novecento è stato il secolo delle donne è incultura e non bisogna avere paura di dirlo. Spesso le donne che hanno avuto la gentile concessione di essere ricordate sono state le eccentriche, le originali, le outsider, le zitelle, fatte oggetto spesso di descrizioni che, mentre ne sottolineavano la follia, la santità, la stranezza ne ingigantivano le caratteristiche più stimolanti per l’immaginario maschile, come è accaduto, ad esempio, a Cleopatra o a Sibilla Aleramo, rinarrate come grandi seduttrici, oscurando la loro bravura e intelligenza.
Occorre costruire, «come avviene nel cinema, una dialettica fra campo e fuori campo, tra visibile e invisibile, che dia espressione al fuori campo attivo […] elaborare mappe centrifughe, capaci di spingere l’attenzione anche verso i bordi e di interrogarci non solo su cosa vediamo o leggiamo, ma anche su come lo facciamo», occorre insomma inforcare quelle «lenti di genere» di cui parla Paola Di Nicola in La mia parola contro la sua.

Rimettere in asse il passato, smettere di descrivere le donne che ce l’hanno fatta con gli epiteti beffardi che sono stati usati dalla cultura patriarcale, utilizzare un linguaggio che riconosca il femminile soprattutto negli incarichi pubblici e di prestigio, conquistare una prospettiva che ci faccia guardare simultaneamente sia allo spazio che le donne non hanno avuto, sia a quello che hanno avuto, ma che è stato reso invisibile, irrilevante e a volte addirittura caricaturale. Il secondo capitolo, Spazi del genio e della creatività ribadisce il significato di femminismo, (che non è l’opposto del maschilismo), termine difficile da usare nella società italiana, senza suscitare reazioni difensive e ne riprende la definizione corretta, tra le altre quella che ne dà l’Enciclopedia Treccanionline. Brogi racconta dell’oblio in cui in Italia è stata confinata un’autrice geniale come Carla Lonzi insieme alle tante antenate dimenticate.

Particolarmente interessante è la contrapposizione tra il Manifesto del futurismo di Marinetti, presente in tutte le antologie delle nostre scuole e il Manifesto di Rivolta femminile di Carla Lonzi, ignorato per incultura di chi le antologie le ha scritte. Notevoli il richiamo al libro meno conosciuto in Italia di Louise Alcott, Lavoro. Una storia di esperienze, in cui l’autrice parla di una Lega tra sorelle e la parte del saggio che riflette sia sulle donne geniali, scomode per definizione, a volte costrette a nascondersi dietro pseudonimi maschili, che sull’importanza di riconoscersi come amiche geniali tra donne, sulla scia di quel libro unico nel suo genere e per certi aspetti rivoluzionario, che è la tetralogia de L’Amica geniale di Elena Ferrante, che ha il coraggio e il pregio di raccontare la storia della seconda metà del Novecento attraverso l’amicizia tra due donne. Nel capitolo che indaga sulla genialità femminile, l’autrice scrive una verità incontestabile, che ci spinge a riflettere: «Il disprezzo nei confronti delle donne, infatti, in molti casi […] non è solo una conseguenza del maschilismo, ma è la sua principale condizione di esistenza e di autorappresentazione. Anche per questo l’intelligenza femminile, oltre a essere un imprevisto, poteva (può) essere così ingombrante […] La donna che pensa è scandalosa, ridicolizzabile, anche linguisticamente…».

Insomma, al coraggio di scrivere e prendere parola di tante donne del Novecento, si è contrapposto un atteggiamento di metodico e sistematico «scoraggiamento» dei tentativi delle donne di dimostrare la loro bravura e il tentativo di diminuirne l’autorevolezza, ad esempio chiamando Nilde la Presidente della Camera dei deputati con il mandato più lungo della storia. Nel terzo capitolo, Spazi e frasi fatte del maschilismo benpensante, Brogi evidenzia e smonta moltissimi luoghi comuni sulle donne ed è questa la parte più utile per chi voglia cimentarsi nell’opera di demolizione quotidiana e condivisa di una cultura patriarcale al tramonto, ma ancora purtroppo molto diffusa, anche tra le donne. In questa parte del testo è quanto mai opportuna la Timeline delle conquiste dei diritti delle donne, che andrebbe inserita in ogni manuale scolastico perché entri a pieno titolo nella cultura e consapevolezza collettive, anche dei e delle docenti, una Timeline da cui partire per smontare quei luoghi comuni, in primis la questione del merito, che, ripetuti ossessivamente e per abitudine, finiscono per insinuarsi tra le nostre parole in modo automatico e acritico, senza una vera partecipazione della coscienza. «Il merito, inteso come l’insieme dei giusti motivi per cui le persone sono apprezzate e riconosciute, diventa una parola equa e oggettiva in un contesto di parità e reciprocità, altrimenti è un alibi […]».

Cominciamo, su invito dell’autrice, a smettere di chiamare quote rosa, sminuendole, una cosa seria come le quote di genere e facciamo nostre le acute argomentazioni con cui smontare le obiezioni che ci sentiamo rivolgere, spesso purtroppo anche da donne, ogni volta che chiediamo che sia una donna a occupare una carica istituzionale: «Ma non solo perché è donna. Deve averne il merito». E perché questa domanda non si fa mai quando si propone un uomo? E quanti uomini mediocri hanno raggiunto posizioni di potere, commettendo anche errori? E perché anche alle donne non è riconosciuto il diritto di sbagliare?
Il quarto capitolo, Spazi e stile affronta la violenza ulteriore, rispetto all’impossibilità di occupare uno spazio, con cui gli scritti delle donne sono stati spesso relegati nella cosiddetta extraletterarietà, con la svalutazione della narrativa degli spazi marginali occupati dalle donne.

Scrivere diari, autobiografie, memorie famigliari, raccontare il mondo materno e il rapporto, spesso conflittuale, madre-figlia, scrivere di storie d’amore ha voluto dire essere relegate a una scrittura di serie B, meno importante. Ma il margine può diventare spazio di libertà, come ci ricorda Bell Hooks. Ed è venuto il tempo che anche gli uomini si occupino delle opere delle donne: le leggano, le guardino, le studino, ne scrivano, come hanno sempre fatto le donne.
Il quinto capitolo è intitolato Spazi aperti ed è il più denso di indicazioni operative per decostruire il patriarcato (Dispatriarcarsi, come dicono le femministe sudamericane), ancora molto presente nella nostra società, nel nostro linguaggio, nel nostro pensiero e nei nostri discorsi e per combattere il cosiddetto paternalismo benevolo. «Nel linguaggio cinematografico il fuori campo è ciò che non viene mostrato ma che tuttavia esiste, perché vive nello spazio di cui l’inquadratura è solo una minima parte. Lo spazio delle donne costruito insieme può funzionare come fuori campo attivo, vale a dire come tipo di messa a fuoco dinamica che genera dubbi e domande attorno a ciò che si vede, creando una dialettica tra ciò che è visibile e riconoscibile e ciò che invece è invisibile, ma tuttavia è implicato». Allestire una mostra, pensare un’antologia, programmare un’iniziativa culturale o politica si può fare attivando il fuori campo, in un terreno di complessità in cui la prospettiva è da ripensare continuamente, decostruendo il sistema simbolico maschilista.
Nel capitolo finale l’autrice sottolinea come sia la scuola il laboratorio per eccellenza per realizzare un modello di società veramente paritaria, antisessista, democratica e multiculturale. Una scuola, quella italiana, trascurata dal potere che vi ha investito pochissimo, proprio perché fatta soprattutto dalle professoresse, donne sottopagate e scarsamente considerate nella società. Ma è proprio nella scuola che occorre agire per fare spazio a tutto quello che le donne hanno scritto e pensato, praticando un femminismo da intendere come riconoscimento di uguali diritti e uguali spazi di rappresentanza, senza pregiudiziali verso il politicamente corretto, «condizione di esistenza e convivenza» nelle società abitate da pluralità, minoranze e diversità. Un’alleanza tra i femminismi e il multiculturalismo, in uno spazio costruito insieme agli uomini.

Riprendendo l’immagine iniziale, quella della maratona di Boston del 1967, se osserviamo il fuori campo della foto, accanto ai giudici che strattonano la maratoneta col pettorale 261 vediamo il fidanzato, che la sostiene e la aiuta a proseguire la sua corsa. Questo fuori campo suggerisce molto più di quanto appaia per la costruzione di una società paritaria e inclusiva.
«Lo spazio delle donne è un modo di costruire nuove prospettive, nuovi ponti e forme di reciprocità», frutto di mediazioni creative, come ci ricorda Luisa Muraro.
Con questa considerazione e con l’invito a costruire insieme una società mite e inclusiva, che mescoli culture e identità, che dia alle donne e a ogni soggetto rispettabilità e credibilità, si conclude il libro di Brogi, viatico per le giovani generazioni e breviario civile e femminista per tutte e tutti noi, ma soprattutto per le persone che, occupandosi di cultura, hanno il compito di costruire ponti tra le generazioni. Il libro è dedicato, forse anche per questo, alla memoria di Rosetta Gervasio, «professoressa, studiosa, amica indimenticabile».

Daniela Brogi
Lo spazio delle donne
Einaudi, 2022
pp. 128

***

Articolo di Sara Marsico

Ama definirsi un’escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la c maiuscola. Docente per passione da poco in pensione, è stata presidente dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano e referente di Toponomastica femminile nella sua scuola. Scrive di donne, Costituzione e cammini.

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