UNA STANZA TUTTA PER TE. PROTAGONISTA

È passato quasi un secolo da quando Virginia Woolf, nel celebre saggio Una stanza tutta per sé, riconosceva a uno spazio personale il valore simbolico di autonomia per le donne, dopo secoli di sudditanza patriarcale. In un’epoca in cui le scrittrici si fingevano uomini (le sorelle Bronte pubblicavano sotto pseudonimo), la lingua tagliente e a tratti ironica, della celebre scrittrice inglese, spaziava oltre la ristretta ottica maschilista, per recuperare una voce letteraria che rappresentasse anche la prospettiva femminile libera da stereotipi, luoghi comuni, falsi miti. Perché ieri come oggi, scrivere storie è tuffarsi nell’avventura di un viaggio libero, senza mappe da consultare, senza regole da seguire e, proprio per questo, aperto a orizzonti sempre più ampi.

Ma allora come trasmettere regole per imparare a scrivere? Un vero laboratorio di scrittura non insegna semplicemente tecniche, enunciati, trucchi del mestiere, ma fornisce gli stimoli necessari per alimentare la passione narrativa, lasciare emergere la propria voce, creare un proprio stile come chi dipinge crea la sua pennellata. Continuando con l’analogia, «Questo non è un laboratorio!», avrebbe detto il pittore surrealista René Magritte. Perché, effettivamente, questo non è soltanto un laboratorio. È qualcosa di più. Nato da diverse ore di lezione in presenza prima della pandemia, i suoi contenuti sono stati collaudati con persone di tutte le età, professioni, livello culturale e, soprattutto, l’apprendimento pratico ha sempre prevalso sulle astratte nozioni teoriche. Insomma, in questo laboratorio non ci sono regole rigide, se non l’invito a concentrarsi – con grande esattezza e attenzione – su ogni parola, su ogni riga, su ogni pagina, senza perdere mai di vista l’insieme della storia.

L’importanza del personaggio
(Modellare protagonista, antagonista e altri personaggi)

Non esistono romanzi privi di protagonista. Il personaggio principale il più delle volte coincide con l’essenza stessa della narrazione. Ogni storia ha una figura di primo piano che può essere umana, animale oppure immaginaria, presa, ad esempio, dai personaggi dei fumetti, dalle fantasie sugli extraterrestri, sugli elementi della natura (alberi, montagne, fiumi, valli, laghi eccetera). Vittorio Metz, scrittore, sceneggiatore, regista umorista, diceva che chi scrive può fare di un personaggio tutto quello che vuole: farlo morire sia al primo che all’ultimo capitolo, fornirgli sentimenti che contrastano con il suo aspetto fisico, farlo piangere, ridere, ammalarsi, impazzire, innamorarsi di un uomo grazioso e gentile o di una donna ostile e antipatica.

Il/la protagonista è il fulcro della storia ed è bene che chi lo ha creato approfondisca bene la sua conoscenza prima di lanciarla nell’azione, delineandone l’aspetto fisico, il modo di pensare, il carattere, l’ambiente da cui proviene, il livello culturale, i gusti, il timbro di voce, la gestualità, la camminata, il nome ed eventuali soprannomi. La sua caratterizzazione può essere ottenuta attraverso la descrizione di piccole abitudini come, ad esempio, la predilezione per qualche colore, un qualche elemento immancabile nel vestire, un cibo prediletto o detestato, un tic, la passione o l’antipatia per qualcosa.

Nelle storie letterarie, l’esasperazione della caratterizzazione dei personaggi, in genere, nuoce alla verosimiglianza, alla loro credibilità. Mentre nei romanzi di genere (giallo, rosa, genere comico, poliziesco, fantasy, noir e altri) le “esagerazioni” sono quasi sempre molto apprezzate da lettori e lettrici, perché funzionali alla trama e allo stile della narrazione (si pensi per esempio alla figura del nullafacente imbranato in molti romanzi di Wodehouse, a quella del grande investigatore Nero Woolf nei romanzi di Rex Stout, alla simpatica protagonista del Diario di Bridget Jones).

Questo non significa che i personaggi dei romanzi letterari siano tutti d’un pezzo, lineari e perfetti come statue. Al contrario, se si vuole creare un personaggio davvero credibile e vivo, è bene attribuirgli qualche elemento di incoerenza, qualcosa di irrisolto, di contraddittorio e conflittuale che, con il procedere della vicenda, accentuerà la tensione narrativa fino a quando, dopo avere preso delle decisioni, si muoverà in una direzione precisa fino allo scioglimento della tensione.

Nel cuore del/la protagonista e di ogni personaggio riuscito bene, batte forte un desiderio che mette in moto l’intera storia e ne costituisce il motore. Il desiderio può essere alimentato da obiettivi semplici (fare sbocciare fiori in giardino, preparare una buona cena, organizzare una gita), oppure da obiettivi complessi (trovare il grande amore, lasciare il lavoro per mettersi alla ricerca di un’attività che corrisponda alla propria vocazione, rispettare una dieta dal primo all’ultimo giorno, cambiare radicalmente stile di vita). Il desiderio può essere concreto o soltanto teorico, positivo (come partecipare a un’opera di volontariato) oppure negativo (come vendicare la morte di un figlio). Ai fini narrativi qualsiasi desiderio va bene, ma è importante che la motivazione sia forte (potentemente sentita) poiché questo aiuta chi legge a identificarsi meglio con le vicende narrate, con i moventi e le emozioni del/la protagonista, facendoli calare nella sua pelle ed entrare meglio nel vivo della storia.

Nel suo impegno finalizzato alla realizzazione del desiderio (il movente che innesca la vicenda) è fondamentale che il/la protagonista sia pronta a cambiare se stessa: pensieri, atteggiamenti, stile di vita, valori. Anche nel caso il cambiamento non avvenga (si pensi all’antieroe irrisolto della letteratura decadente) chi legge dovrebbe avere la precisa sensazione che per realizzare i propri obiettivi il/la protagonista continui a sognare di cambiare, continui a progettare le scelte che sarà in grado di fare una volta acquisita maggiore sicurezza e determinazione, magari rinunciando a qualcosa. Desiderio e cambiamento, dunque, sono due schemi narrativi pressoché inscindibili: il desiderio porta avanti la storia, mentre il cambiamento rappresenta l’apice, il momento di svolta, il culmine degli accadimenti.

Altro elemento narrativo fondamentale è la rete di relazioni che lega chi è protagonista agli altri personaggi. Il/la protagonista, spesso ha un rapporto conflittuale con un/una antagonista, ha poi dei rapporti di protezione reciproca con amici/che, parenti e conoscenti, un rapporto di intimità con il/la partner di sempre, un rapporto d’amore con l’uomo o la donna del cuore, e tutti gli altri tipi di rapporti con gli altri personaggi della storia (ad esempio, subordinazione verso il capufficio, simpatia per gli amici/che, antipatia verso i nemici/che).

Tutto ciò crea una vasta mappa di scambi umani dalla quale dipende l’ingranaggio complessivo della storia. Spesso, quando l’autore o l’autrice lavora bene ascoltando da vicino – con il cuore e con la mente – ciò che il/la protagonista esprime, si generano dalla storia stessa delle varianti di percorso non previste nella stesura iniziale della trama. Sono proprio queste varianti che rendono la storia pienamente viva, aperta a nuove interpretazioni, ogni volta che la si rilegge o che torna alla mente come se la storia fosse un organismo dotato di vita propria.

I personaggi possono essere piatti, nel caso abbiano una fisionomia costante che non cambia nello svolgersi della storia; in genere si tratta di personaggi secondari, strettamente funzionali alla vicenda narrata e all’azione di altri personaggi più importanti. Oppure possono essere a tutto tondo, nel caso abbiano una psicologica complessa che si esprime attraverso una personalità forte, vivace, ben caratterizzata (tuttavia, senza arrivare mai alla marionetta); il lettore o lettrice ne conosce i tratti profondi, i desideri e le motivazioni che, nel loro insieme, presentano almeno un aspetto conflittuale interiore da risolvere; si tratta in genere di personaggi che invariabilmente, nel corso della vicenda narrata, in base alle diverse esperienze, cambiano idee e atteggiamenti, proprio come accade alle persone reali.

La natura umana è complessa. Ecco perché in una storia niente è più noioso di un personaggio stereotipato che agisca in modo prevedibile, mostrando sempre lo stesso aspetto (ad esempio la giovane moglie innamorata, il marito pantofolaio, la nonna affettuosa, il bambino dispettoso, il capufficio autoritario, eccetera). Per creare un buon personaggio è meglio evitare di inventare un tipo umano completamente buono o cattivo. I tratti contrastanti – a volte sottili, a volte marcati – servono a rivelare la complessità della natura del personaggio. Questo non significa che non ci debba essere coerenza nel suo modo di agire: ogni azione che non corrisponda, almeno in parte, ai tratti basilari della sua personalità, se non giustificata da motivi plausibili, toglierebbe credibilità al personaggio. Sintetizzando, ogni cambiamento – assolutamente necessario per la dinamica della storia – deve nascere in modo spontaneo dal desiderio profondo del personaggio di scegliersi un “destino” che corrisponda il più possibile ai suoi sogni e bisogni. È bene ricordare che nella fitta rete della trama (anche la più semplice e lineare!) niente è affidato al caso, ogni bivio pone il/la protagonista di fronte a una scelta che avrà conseguenze nello sviluppo della storia.

Da dove nascono i personaggi? Il più delle volte basta guardarsi attorno, fare un tuffo nella propria memoria oppure pensare a figure storiche, a celebrità del mondo dello spettacolo, a personaggi famosi della narrativa (per esempio, si potrebbe scrivere una rivisitazione ambientata nel futuro, basandosi sulla storia di Pinocchio). Se si impara a guardare con cura, si scopre presto che l’ispirazione è ovunque. Può nascere da persone che frequentiamo, da sconosciuti intravisti per la strada. Oppure anche dall’osservazione attenta di certi tratti della propria personalità, dalle caratteristiche di un segno zodiacale che ci piace o che detestiamo, da una carta dei tarocchi, da un dipinto, da un animale, una pianta, un oggetto che colpisce la fantasia.
Come si manifestano sulla pagina, i vari personaggi, senza disporre del corpo fisico, della voce, dei gesti ma solo le parole di chi li descrive? Oltre al nome (e a eventuali soprannomi), ci sono quattro modi essenziali per mostrare le caratteristiche di un personaggio, in tutte le sue dimensioni: azione, dialogo, aspetto fisico, pensieri.

Le azioni compiute dal personaggio, sono il migliore veicolo di informazioni per chi legge. Ma esistono altri modi per rivelare il personaggio: la famiglia d’origine; l’ambiente sociale, i valori del tempo e del contesto in cui si muove, (si pensi, ad esempio, al bellissimo romanzo L’eleganza del riccio, alle riflessioni filosofiche e colte della protagonista ignorate dagli abitanti del palazzo signorile dove lavora e vive); le esperienze biografiche personali (perdita di persone amate, malattie, medaglie d’oro per attività sportive, eccetera.)

Per creare personaggi credibili, bisogna diventare acuti osservatori della natura umana e trovare poi le parole migliori per raccontare ciò che si è osservato. In altre parole, chi scrive storie, dovrà riassumere in sé qualità psicologiche, sociologiche, pedagogiche (di genitore, di figlio/a, di amico/a e anche di nemico/a). Solo in questo modo, proprio come le persone reali creano la propria vita, i personaggi immaginari riusciranno a creare le loro trame.

Riassumendo, un buon personaggio dovrebbe:
– avere una natura complessa (per risultare interessante e ricco di sfumature che meritino di essere scoperte e approfondite);
– avere uno o più obiettivi importanti che si manifestino con un desiderio intenso, una passione trascinante;
– impegnarsi a realizzare il suo desiderio;
– imparare qualcosa di importante, dopo avere cambiato aspetti di sé e atteggiamenti, nel corso della storia;
– essere il più possibile piacevole (risultare simpatico/a al lettore o lettrice, catturare la sua attenzione anche se è un personaggio negativo).
Scrivere una storia è in qualche modo anche una pratica di crescita personale, oltre che un modo per conoscersi ed esplorare la realtà che ci circonda. Le pratiche di crescita personale – a livello psicologico, affettivo, cognitivo – sono prove impegnative quanto scalare montagne, fare il giro del mondo in barca, superare una gara sportiva. Prove che esigono impegno, disciplina, pazienza, consapevolezza. Tant’è che ci sono romanzieri/e che considerano l’atto stesso dello scrivere una forma di preghiera, di connessione con l’inesplorato che è in noi e con il mistero che ci circonda.
Pronta/o per metterti alla prova? Ora tocca a te…

Esercizio n. 1: rilassati e prova ad assumere lo stato d’animo di bambini e bambine quando giocano. Il gioco è l’essenza stessa della creatività. Scrivi in modo automatico tutto quello che ti viene in mente. È importante scrivere a caso, tanto velocemente da travolgere la ragione, il buon senso, la forma, la grammatica e anche il significato. Non ti preoccupare: anche senza i consueti percorsi logici, verrà fuori la tua personale “impronta”, il tuo inevitabile controllo mentale ed emotivo. Scrivere in modo automatico ti aiuta a lasciare emergere qualcosa di nuovo non solo a livello di creazione artistica, ma anche nei processi mentali ed emotivi, con associazioni, collegamenti inattesi che ti saranno utile per procedere nella storia.

Esercizio n. 2: immagina un personaggio (il/la protagonista della storia che hai iniziato a scrivere, quello di un libro o di un film che ti è piaciuto e che ti ispira), assegnale un nome e un eventuale soprannome. Scegli un aggettivo, un sostantivo, un verbo, un colore, un numero, una frase interessante e cerca di includere gli elementi scelti nelle risposte alle domande che ti farai per descriverla. Ecco qualche esempio per le domande:
Come si chiama?
Quanti anni ha?
Di che colore ha i capelli? E gli occhi?
Ha qualche segno particolare? Qualche tic?
Chi sono i suoi amici/che? E la sua famiglia? Quali sono le persone con cui passa il tempo?
Dove è nato/a? Dove vive? Qual è il posto in cui si sente a casa?
Lavora? Se sì, che tipo di lavoro svolge? È felice della sua occupazione o vorrebbe cambiarla?
Qual è la sua più grande paura? Con chi si confida? A chi non aprirebbe mai il cuore e perché?
Ha qualche segreto?
Cosa la/o fa ridere o piangere?
È innamorata/o? Ha il cuore spezzato?

***

Articolo di Gabriella Maramieri

Laureata in Lettere a La Sapienza, giornalista dal 1990, si è occupata di critica letteraria per L’Indice, Noi donne, Leggendaria, Minerva, Wimbledon. È autrice di romanzi, racconti, poesie, favole. Dal 2006 affianca alla passione per la scrittura l’attività di Consulente familiare Aiccef (Associazione italiana consulenti coniugali e familiari) e quella di Coach professionista Icf (International coach federation) e Aicp (Associazione italiana coach professionisti).

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