Una persona alla volta

«La guerra piace a chi non la conosce» Erasmo da Rotterdam

In questi tempi cupi, di guerra per procura (proxy war) tra la Russia e la Nato “fino all’ultimo ucraino”, sanzioni draconiane con effetti boomerang, bombardamenti e distruzioni di città, giovani vite mandate a morire, mi sono chiesta spesso che cosa avrebbe detto Gino Strada, a proposito del nostro coinvolgimento nel conflitto. Il cofondatore, insieme alla moglie Teresa Sarti, di Emergency, di guerra se ne intendeva, molto più dei tanti politici politicanti che in questi mesi si sono riempiti la bocca di discorsi altisonanti; se ne intendeva per aver dedicato la sua vita a curare le ferite sui corpi straziati delle vittime, civili e militari, dei tanti conflitti nel mondo. Diceva di portare per sempre con sé l’odore dei corpi, del sudore e del sangue di tutte le persone che aveva cercato di salvare. Il regalo più grande che ci ha fatto prima di lasciare questa vita è un piccolo libro, Una persona alla volta, in cui il chirurgo di guerra si racconta, a partire dalla sua infanzia e adolescenza nella Stalingrado d’Italia, Sesto San Giovanni, che lo vede crescere in una famiglia di operai e antifascisti, dove lo studio è uno strumento di riscatto sociale e quella del medico, del «dutùr», come spesso ripete la madre, non è una professione: «l’è una missiùn».

Già da subito si rivela uno studente brillante, fa un’esperienza negli Usa dopo la quale gli viene proposto un contratto economicamente vantaggiosissimo, ma torna a Milano e appena può si reca in Pakistan a lavorare per la Croce Rossa in un centro chirurgico per feriti di guerra. Quell’esperienza cambierà per sempre la sua vita, dedicata da allora a curare i feriti, civili e militari, di tutte le guerre. Il libro è diviso in due parti: Cessate il fuoco, che racconta delle sue esperienze di chirurgo in paesi di guerra, della fondazione e delle attività di Emergency e Il diritto alla salute, che esprime il suo punto di vista sulla cura. Nella prima parte è entusiasmante ripercorrere il sogno che ha realizzato Emergency, condiviso in primis con la moglie Teresa e con alcuni amici e amiche, ma ciò che colpisce di più è il ragionamento di Strada sulla necessità di abolire la guerra. Non a caso l’esergo di Cessate il fuoco è una frase di Józef Rotblat, fisico polacco, genio assoluto, arruolato nel progetto Manhattan che aveva abbandonato, affrontando critiche pesanti, il programma Los Alamos: «Ricordatevi la vostra umanità e dimenticate tutto il resto».

Da qui si deve partire per comprendere quanto l’approccio e la visione di Strada siano lontani anni luce dai discorsi che sentiamo fare nei talk show che monopolizzano i palinsesti televisivi dal 24 febbraio scorso. Strada a Kabul vive sulla propria pelle una delle conseguenze più terribili della guerra, che riscontrerà in ogni altro luogo in cui si troverà ad operare: «Se nove vittime su dieci sono civili, però, non è più normale. Non è più la stessa guerra, non si dovrebbe neppure più chiamarla tale». La lotta di Emergency contro le armi disumane e senza tempo, che sono le mine antiuomo, in particolare i Pappagalli verdi (dal titolo del suo primo libro che ce le fece conoscere) destinati a mutilare i bambini, armi che «dilatavano la guerra», lotta portata all’attenzione dei media, raggiunge risultati insperati, tra cui la messa al bando nel 1997 delle mine antiuomo. E Gino Strada va in tv a indicare anche le aziende – «del gruppo Fiat, per chi se ne fosse scordato» che in Italia producevano quelle armi di distruzione di massa. «Una corsia pediatrica in un ospedale per feriti di guerra? – si chiederà il cofondatore di Emergency – Che cosa c’entrano i bambini con la guerra?».
Eppure negli ultimi conflitti le vittime in numero maggiore sono proprio civili, donne, anziani e bambini, persone che probabilmente non conoscono nemmeno le cause della guerra e non hanno preso parte alle ostilità. Strada ricorda che l’ultima guerra all’Afghanistan è stata iniziata autonomamente dagli Stati Uniti, subito dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre, «nel silenzio condiscendente di quasi tutta la comunità internazionale», nella piena illegalità internazionale e l’Italia vi si è aggregata, in spregio alla Costituzione, «manipolando e stravolgendo lo Statuto dell’Onu e le risoluzioni del Consiglio di sicurezza». E ricorda come quando cercava di esporre le ragioni per le quali l’Italia non doveva partecipare alla missione in Afghanistan, le reazioni erano perlopiù accuse di essere un traditore dell’Occidente e un amico dei terroristi.
«Ogni appello all’umanità e alla ragionevolezza cadeva nel vuoto». Un po’ come accade ora a chi cerchi in questa escalation pericolosissima perché si svolge tra Stati che possiedono moltissime testate nucleari, di parlare di pace, richiamando l’articolo 11 della nostra Costituzione ed è costretto a dover misurare le parole autocensurandosi come in un regime cosiddetto autocratico.

Nella prima parte del libro Gino Strada arriva a dire che la guerra non può essere umanizzata. Deve solo essere abolita. «Nel secolo più violento della storia umana c’è stato un mutamento della guerra e dei suoi effetti» –  scrive il chirurgo d’urgenza. I civili sono diventati molto più dei combattenti le vere vittime della guerra. Alcuni dati: nella prima guerra mondiale 70 milioni di giovani furono mandati a massacrarsi al fronte e più di 10 milioni non tornarono a casa; 6 milioni furono i civili che persero la vita in atti di guerra o per fame, carestia, epidemie. Nella seconda i morti furono tra i 60 e i 70 milioni, con il 60% di vittime civili. Con le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki «l’uomo aveva creato la possibilità dell’auto distruzione». Dopo il 1945 in altri 265 conflitti interni o internazionali la percentuale di vittime civili ha continuato ad aumentare.

Non si può umanizzare è il capitolo in cui Strada racconta come Einstein avesse ben capito, insieme a molti altri scienziati, di diversa provenienza ideologica, che la guerra non può avere regole, né limiti e come, nella Conferenza di Ginevra del 1932 sul disarmo, ebbe modo di pronunciare queste semplici parole necessarie: «La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire». Nella seconda pare del libro, dedicata al diritto alla salute, disciplinato all’articolo 32 della nostra Costituzione, preceduta da una citazione di Giulio Alfredo Maccacaro, di cui nel libro si scoprirà la grande influenza che ha avuto su Strada, lo stesso si sofferma sul concetto di cura, parola straabusata in tempi di pandemia, e presto purtroppo dimenticata.
Bisogna curare tutte le persone allo stesso modo, sia che siano ricche, sia che siano povere ed è per questo che Emergency ha costruito ospedali e formato persone in moltissimi luoghi, anche in Italia, come a Castel Volturno, regno del caporalato, del lavoro nero e dello sfruttamento delle persone. Bellissime le descrizioni dei due ospedali «scandalosamente belli» di Khartoum in Sudan e in Uganda e del sogno che ne è alla base. Spietata la critica di quello che è diventata in Italia la sanità, Italia che era stata messa al secondo posto nel mondo per il suo sistema sanitario, pensato da una donna, Tina Anselmi, dall’Organizzazione Mondale della sanità. «Ci eravamo lanciati nella professione medica in anni in cui la medicina era uno strumento per la rivoluzione e adesso (i medici ndr) si ritrovano a dover fare i manager alle prese con costi e ricavi, ingerenze politiche più o meno dirette, organici insufficienti e avvocati in corsia».

Terribile la descrizione della sanità in Calabria, in mano a ‘ndrangheta, massoneria, politici e imprenditori e in cui a Emergency è stato più difficile che a Khartoum prendere in gestione l’ospedale applicandovi il proprio modello di sanità. Interessanti considerazioni e dati sono contenuti anche nel capitolo Il vaccino disuguale, in cui sono riportati i profitti abnormi delle case farmaceutiche e la diversa condizione in cui si sono trovati gli abitanti dei Paesi poveri nell’affrontare la pandemia, premessa per consentire al virus Covid-19 di mutare e di infettare sempre di più, anche le popolazioni dei Paesi ricchi. Più che di epidemia o di pandemia, secondo Strada quella che abbiamo attraversato e stiamo ancora attraversando è stata una sindemia. «La combinazione di una malattia di tipo virale – il Covid-19 – e una malattia di tipo sociale, la povertà, in cui era sprofondata una parte delle nostre città, quella dei lavoratori e del terziario, dei precari, delle persone sole». Ma ormai ci siamo dimenticati e dimenticate delle manifestazioni di solidarietà, siamo tornati a parlare di costi e ricavi, considerando la sanità «solo una spesa da contenere e non un diritto da garantire», l’unico definito fondamentale dalla nostra Costituzione.

Nell’ultimo regalo di Gino Strada alle persone che non hanno paura di parlare di utopie sono tanti i ritratti femminili: da Teresa, la donna bellissima che ha condiviso con Gino il sogno di Emergency, alla figlia Cecilia che ne è divenuta Presidente per un certo periodo, a Rossella, l’attuale Presidente di Emergency, a Simonetta, la nuova moglie, che ha condiviso con Gino il periodo della malattia, dovuta ad anni in cui non si è risparmiato e si è quasi dimenticato di se stesso, alle tante infermiere, anestesiste, compagne di strada che hanno condiviso i momenti più difficili del progetto di Emergency.
Struggente la figura di Sadako Sasaki, la bambina che creava gli origami a forma di gru. Il libro, da consigliare soprattutto a scuola, si chiude con queste parole, che facciamo nostre, perché le condividiamo dalla prima all’ultima: «È arrivato il momento di decidere che priorità ci diamo come società: la vita delle persone o la guerra? Salute, istruzione gratuita, un lavoro dignitoso e protezione o fame e sofferenza per molti? Non è troppo tardi per andare in una direzione più giusta. Non lo faranno i nostri governanti, non lo faranno i politici, spetta a noi in quanto persone e non in quanto cittadini di questo o quel Paese, in quanto persone che si riconoscono semplicemente come membri della stessa specie, invertire la rotta per evitare la sofferenza di centinaia di milioni di esseri umani. Non è troppo tardi per far sentire la nostra voce di cittadini del mondo». Dopo aver letto questo libro si capirà ancora meglio da che parte si sarebbe schierato un uomo che è stato uno dei punti di riferimento per tutte e tutti noi in questi anni.
La guerra, anche quella che si invoca o si fa per porre fine ad altre atrocità, «per far finire tutte le guerre» non può funzionare perché è di per sé antitetica alle ragioni che la sostengono: la guerra è la negazione di ogni diritto», è la giustificazione dell’omicidio e oggi stermina due terzi di persone innocenti, civili, donne e anziani, persone che non hanno mai imbracciato un’arma e che ignorano i cosiddetti “motivi” della guerra. Il libro ha una bella postfazione di Simonetta Gola, che ricorda il percorso che ha portato a scrivere quello che entrambi chiamavano “l’incompiuto” e si chiude con un’appendice che riporta il Manifesto per una medicina basata sui diritti umani, che tutti i nostri politici dovrebbero leggere e che dovrebbe ispirare le politiche sanitarie rispettose della nostra Costituzione. Sarebbe un bel modo di manifestare riconoscenza a un uomo e a un medico che mentre curava le vittime della guerra continuava a rivendicare diritti, «una persona alla volta», con uno sguardo profondamente politico. «La guerra non è mai la soluzione, ma sempre il problema» non si stancava di ripetere e affermava che «l’utopia è solo qualcosa che ancora non c’è». Grazie, Gino, di avercelo ricordato, anche se probabilmente anche tu oggi saresti stato arruolato, come in passato spesso ti è capitato, tra i sognatori e gli utopisti, oppure tra i sostenitori del nemico di turno.

Una persona alla volta
Gino Strada
Feltrinelli, Milano, 2022
pp. 176

In copertina. Ricordo di Gino Strada, con una sua celebre frase «I diritti devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi».

***

Articolo di Sara Marsico

Ama definirsi un’escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la c maiuscola. Docente per passione da poco in pensione, è stata presidente dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano e referente di Toponomastica femminile nella sua scuola. Scrive di donne, Costituzione e cammini.

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