Editoriale. Piccola storia ignobile

Carissime lettrici e carissimi lettori,

tutto per due lettere dell’alfabeto che insieme formano un articolo determinativo femminile singolare. Il dilemma è quello che ormai il dizionario Treccani della lingua italiana ha sfatato con il beneplacito di un’autorevole voce, quella dell’Accademia della Crusca, che approva come grammaticalmente corretti i nomi al femminile delle professioni (architetto/architetta –avvocato/avvocata) e l’indicazione con l’articolo del genere di chi si nomina. Cosicché è grammaticalmente corretto dire il presidente se è un uomo (il vir del latino o l’aner dei greci) e la presidentese riguarda una donna.
Un semplice e, all’apparenza, piccolo problema che ha dato corda alla stampa e all’informazione di questi giorni quando, visto il risultato delle urne, ha preso vita un governo con alla guida una persona di genere femminile che ha annunciato la sua volontà, legittima ma di origine ideologica, di farsi chiamare al maschile.  Nonostante il tetto di cristallo che dice e dicono abbia sfondato, nonostante le regole esistenti che offre la grammatica, nonostante il bailamme di opinioni. Un bailamme forse legittimamente scatenato dal desiderio di chi ha dettato di farsi nominare sempre al maschile nelle comunicazioni del Parlamento, o da chi, come la stampa, si deve occupare dell’agire della persona seduta sullo scranno più alto del governo e che per la prima volta in Italia deve parlare di una persona al femminile.
Il vocabolario riferisce il significato di la come articolo determinativo femminile singolare e dunque quale «forma femminile corrispondente all’articolo maschile illo: costante davanti a qualsiasi iniziale consonantica, elisa davanti a iniziale con un’origine latina da illa, femminile di ille, quello». In seconda istanza è un pronome personale e dimostrativo, femminile (la prendo, la guardo, la ricordo ecc).  Infine come forma allocutiva: «la prego» o neutra: «quanto la fa lunga». Inoltre la è la sesta nota della scala naturale di do (dalla notazione ideata da Guido D’Arezzo). Poi si passa al, un avverbio, accentato, che però riguarda generalmente lo spazio e il tempo: farsi più in là, al di là dello spazio e del tempo, in là con gli anni.

Insomma, così, con una discussione di genere si è aperto il governo attuale, (sarebbe il caso di dire che abbia avuto il suo la!), il primo in Italia presieduto da una donna.
È vero, una donna è a capo del governo italiano. Ma questo significa veramente e concretamente aver rotto il tetto di cristallo e aver liberato il Paese dai pregiudizi di genere? Un po’ sì. Ma è necessario aggiungere anche un netto diniego che ciò sia avvenuto. Perché una donna deve essere una politica, certo, però deve dimostrare di trovarsi sempre dalla parte delle donne e delle minoranze quando sono toccati i diritti e deve, anche attraverso il proprio comportamento, indicare la strada delle riforme. Anche le titolazioni di certa stampa con una donna sola al comando mimano eccessivamente un concetto macho del potere che invece, se gestito dal femminile, e comunque al di là delle caratteristiche sessuali, pensavamo diverso, con standard addirittura opposti. In un post su un social ho trovato scritto: «Al di là delle narrazioni, delle foto di rito e dell’impatto sull’immaginario collettivo di una donna alla guida del governo il successo di Una Sola in termini di possibilità non sposta molto nella vita delle altre. Il dato politico è che Meloni ce l’ha fatta nonostante sia una donna non perché è una donna». E la differenza è fondamentale!
Scivoloni, e grandi, ce ne sono stati, anche quando le donne sono state nominate. Una donna, come un uomo, soprattutto se ha costruito la sua vita per fare la Storia di questo Paese (o nazione, come oggi detta il governo) deve essere nominata con nome e cognome. E invece le tante, ricordate dalla Presidente (noi la chiameremo sempre così) vengono nominate, in un mix di posizioni anche ideologiche, solo con il nome, creando pericoli di confusione, sforzando rimandi e congiunzioni.

La grande giornalista e attivista ultranovantenne bolognese Giancarla Codrignani (classe 1930), impegnata nel movimento per la pace e più volte parlamentare, recentemente ha scritto un commento sul discorso di insediamento della nuova Presidente del consiglio. Dopo l’elenco delle cose che la scrittrice ha trovato positive, è passata alle osservazioni critiche: «Però – scrive – a parte l’indubbia (dopo un secolo) scarsa simpatia per il fascismo e i totalitarismi, resta la doppiezza: l’Italia che esce dal Risorgimento e non dalla Resistenza, il presidenzialismo che valorizza per la presidenza della Repubblica, il voto popolare degli italiani, che sono quelli che votano Berlusconi, Beppe Grillo e voterebbero anche la padrona del mulino bianco. A parte lo spreco della vergogna per le malefatte di regime, c’è il cambiamento di denominazione dei ministeri, tutti da criticare, a partire dal merito legato a un’istruzione che non è più pubblica, oltre a essere non egualitaria. Per noi cittadini restano – aggiunge – soprattutto i vuoti: non basta dire quali sono i problemi reali, occorre dire come ci si propone di risolverli. Le bollette: che cosa propone, in concreto? Quali intese si propone di attuare? Quali proposte per la riforma dei Trattati europei? I migranti sfruttati in agricoltura…» (Giancarla Codrignani, NoiDonne, n.42).
Lo scivolone (ma secondo noi il termine è eufemistico) contro le donne, il poco rispetto dimostrato nei discorsi è importante e grave. Il primo signor presidente del consiglio donna (cosa che ci sembra sì, questa volta, cacofonica) ha continuato a scivolare proprio sul tema dell’immigrazione e sull’implicito rispetto dovuto a chi siede in Parlamento (e non solo!) e, semmai, ha una pigmentazione di pelle e provenienza diverse. Dopo l’annuncio di blocco delle navi delle ong, il nuovo presidente risponde, con accento davvero…paternalistico (qui ci sta proprio bene, il gesto macho), all’intervento dell’onorevole Aboubakar Soumahoro. Prima sbaglia a pronunciare il cognome e poi, per ben due volte, interpella l’onorevole Soumahoro con il “tu” e senza l’appellativo del suo ruolo nel parlamento. Il tono è paternalistico (con il quale, vorrei sottolinearlo, ci si rivolge a persone molto più giovani oppure giudicate inferiori).

«Al collega ‘Soumahoro‘ (!) mi sento di dire, tutti ci sentiamo scolari della storia, sai, altrimenti saremmo ignoranti del presente, senza futuro», esordisce la Presidente in risposta al più alto discorso dell’onorevole Aboubakar Soumahoro: «Signora Presidente del Consiglio dei Ministri, Onorevole Giorgia Meloni, un cafone di nome Giuseppe Di Vittorio disse in questa stessa aula che «la fame, la fatica e il sudore non hanno colore». Oggi, da cafone, voglio parlare a nome di chi, fuori di qui e indipendentemente dal colore della pelle, conosce – come me – la fame, la fatica e il sudore, di chi è precario, sfruttato, marginalizzato, ma vogliamo parlare anche a nome di chi porta sulla propria pelle le cicatrici della discriminazione o di chi ha un diverso orientamento sessuale, una diversa provenienza geografica, di chi lavora per mandare avanti l’Italia e si trova senza servizi, di chi vive in città dormitorio, di chi lavora ma non riesce a mandare avanti la famiglia, di chi è costretto a migrare, come i nostri giovani, o di chi viene nel nostro Paese.
L’Italia ha bisogno di patriottismo, non egoista ma solidale, l’Italia non ha bisogno di sovranismo egoista, isolazionista, fomentatore di caccia alle streghe. Ricordatevi che avete giurato fedeltà alla nostra Carta costituzionale, che è fondata sull’uguaglianza sociale, del rispetto dell’ambiente e dei valori dell’anti-razzismo e dell’anti-fascismo. Lei, presidente, dice di provenire dai bassifondi, ma anche io provengo da lì. Le voglio ricordare che italiani si nasce ma anche si diventa». E alle scuse della Presidente, accettandole, l’onorevole risponde: «Visto che la Presidente Meloni è anche Lei scolara della Storia – ha detto Soumahoro – parafrasando Gramsci, si ricorderà che durante lo schiavismo e la colonizzazione i neri non avevano diritto al Lei, che era riservato a ciò che veniva definito civiltà superiore. Ma forse – aggiunge con una punta di ironia – quando un underdog incontra un underdog viene naturale dare del tu!» (Il riferimento è al passaggio del discorso programmatico in cui la Presidente del Consiglio si è definita un’underdog, un’espressione inglese usata per indicare un atleta, oppure una squadra, dato per sfavorito secondo i pronostici!).

Quasi cinquanta anni fa Francesco Guccini scriveva Piccola storia ignobile. Era il 1976 e la canzone era compresa nell’album Via Paolo Fabbri 43 (la storica via bolognese dove abitava il cantautore, che ormai da molto tempo vive nell’ex mulino del nonno materno a Pavana, sull’appenino tosco-emiliano). Credo che questo testo sia di un’attualità bruciante. C’è tutto, oltre alla mentalità ostacolante l’aborto e chi lo pratica e all’ipocrisia e alla condanna sociale e familiare. C’è la volontà ideologica, da parte soprattutto della politica, di fare in modo che non sia mai la donna a decidere, soprattutto su sé stessa e su quelli che sono i suoi diritti. E malinconicamente, sopra ogni cosa, aleggia la triade estremista: dio patria e famiglia conduttrice di un pensiero al potere.

Ma che piccola storia ignobile mi tocca raccontare
Così solita e banale come tante
Che non merita nemmeno due colonne su un giornale
O una musica o parole un po’ rimate
Che non merita nemmeno l’attenzione della gente
Quante cose più importanti hanno da fare
Se tu te la sei voluta, a loro non importa niente
Te l’avevan detto che finivi male

Ma se tuo padre sapesse qual è stata la tua colpa
Rimarrebbe sopraffatto dal dolore
Uno che poteva dire: “Guardo tutti a testa alta”
Immaginasse appena il disonore
Lui che quando tu sei nata mise via quella bottiglia
Per aprirla il giorno del tuo matrimonio
Ti sognava laureata, era fiero di sua figlia
Se solo immaginasse la vergogna
Se solo immaginasse la vergogna
Se solo immaginasse la vergogna

E pensare a quel che ha fatto per la tua educazione
Buone scuole e poca e giusta compagnia
Allevata nei valori di famiglia e religione
Di ubbidienza, castità e di cortesia
Dimmi allora quel che hai fatto chi te l’ha mai messo in testa 
O dimmi dove e quando l’hai imparato
Che non hai mai visto in casa una cosa men che onesta
E di certe cose non si è mai parlato
E di certe cose non si è mai parlato
E di certe cose non si è mai parlato

E tua madre, che da madre qualche cosa l’ha intuita
E sa leggere da madre ogni tuo sguardo
Devi chiederle perdono, dire che ti sei pentita
Che hai capito, che disprezzi quel tuo sbaglio
Però come farai a dirle che nessuno ti ha costretta
O dirle che provavi anche piacere
Questo non potrà capirlo, perché lei, da donna onesta
L’ha fatto quasi sempre per dovere
L’ha fatto quasi sempre per dovere
L’ha fatto quasi sempre per dovere

E di lui non dire male, sei anche stata fortunata
In questi casi, sai, lo fanno in molti
Sì, lo so, quando lo hai detto, come si usa, ti ha lasciata
Ma ti ha trovato l’indirizzo e i soldi
Poi ha ragione, non potevi dimostrare che era suo
E poi non sei neanche minorenne
Ed allora questo sbaglio è stato proprio tutto tuo
Noi non siamo perseguibili per legge
Noi non siamo perseguibili per legge
Noi non siamo perseguibili per legge

E così ti sei trovata come a un tavolo di marmo 
Desiderando quasi di morire
Presa come un animale macellato stavi urlando
Ma quasi l’urlo non sapeva uscire
E così ti sei trovata fra paure e fra rimorsi
Davvero sola fra le mani altrui
Che pensavi nel sentire nella carne tua quei morsi
Di tuo padre, di tua madre e anche di lui
Di tuo padre, di tua madre e anche di lui
Di tuo padre, di tua madre e anche di lui

Ma che piccola storia ignobile sei venuta a raccontarmi
Non vedo proprio cosa posso fare
Dirti qualche frase usata per provare a consolarti 
O dirti: “È fatta ormai, non ci pensare”
È una cosa che non serve a una canzone di successo
Non vale due colonne su un giornale
Se tu te la sei voluta cosa vuoi mai farci adesso
E i politici han ben altro a cui pensare
E i politici han ben altro a cui pensare
E i politici han ben altro a cui pensare

Buona lettura a tutte e a tutti. Che metaforicamente la dea Speranza sia sempre con noi!

Sfogliamo gli articoli di questo numero, cominciando da Neologismi, un viaggio attraverso le nuove edizioni dei Dizionari, lettura necessaria in tempi in cui l’uso del maschile inclusivo sta ritornando in auge, come ci ha ricordato la nostra direttrice responsabile. Proseguiamo con le donne di Calendaria, Laura Conti, uno spirito libero tra avanguardia e sguardo antico sul mondo, che ci ha insegnato che «l’ecologia non è solo fatta di piante e preservazione di specie animali, ma di lavoro, di periferie e di fabbriche» e Ildegarda di Bingen, «badessa benedettina, mistica e profetessa, ma anche cosmologa, guaritrice, linguista, naturalista, filosofa e probabilmente la prima musicista e compositrice nella storia cristiana». Le nostre serie continuano con In viaggio e nei palazzi: gli incontri nordici di Anna Maria Speckel, per Viaggiatrici del grande nord, in cui continuiamo a seguire l’esploratrice entusiasta del fascismo e del Mediterraneo. Una storia olimpica. Da Londra 1948 a Roma 1960 è la carrellata di atlete olimpioniche nel primo periodo di pace in Europa. Eva è La terza lezione del corso del Cti sull’eco-teologia che racconta la decostruzione e ricostruzione dell’immagine di Eva inserendola poi nei tre punti cardine del corso: natura, casa comune e teologia della creazione. L’articolo Gae Aulenti e il Femminile nell’architettura ci illustra le opere di una «protagonista di primo piano della storia dell’architettura contemporanea».
Parliamo di scuola con Educazione civica europea in ottica di genere. Parte seconda in cui ripercorreremo le tappe che hanno portato all’integrazione europea e con Girotondo per Gea, la presentazione di un bellissimo progetto comune dell’Istituto di istruzione superiore Matteo Raeli di Noto, che ha vinto il premio speciale Caleidoscopio della IX Edizione del Concorso “Sulle vie della parità”. Ritorniamo a parlare di fantascienza in «Pensiamo da creature e ci decliniamo femmine». Intervista a Nicoletta Vallorani, «la scrittrice femminista di fantascienza più sensibile e compiuta» nel panorama italiano contemporaneo.
Insolite e bellissime le due recensioni di questa settimana: Hallo Hallo Halloween, sulla lettura recitata della terza parte di una saga pubblicata da Edizioni Effetto, piccola ma attiva Casa Editrice torinese, di cui non anticipiamo nulla ma che sicuramente vi stupirà; e Vite che tornano di Esther Diana, pubblicato da Sampognaro & Pupi Edizioni di Siracusa, un’altra saga familiare raccontata dal punto di vista di tre gatti. Della presentazione di un altro libro, Mappa femminile della città di Milano di Lorenza Minoli, che ha aperto la Rassegna milanese Voci di donne, ci parla l’articolo Da città invisibile a visibilità delle donne nella città, che ha dato voce alle tante donne appartenenti a tutte le categorie sociali, dalla nobile alla proletaria, e alle loro espressioni artistiche.
Chiudiamo con quella che è diventata una dolce abitudine a cui non sappiamo rinunciare, la ricetta che ogni settimana valorizza ciò che ci offre la Terra e che oggi è Crema di funghi, augurandovi buon appetito.
SM

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

2 commenti

  1. Un bellissimo editoriale, come tutti, che spesso non riesco a leggere per tempo, ma che recupero e ne godo della carica di potenti manifesti nella nostra difficile realtà contemporanea. Grazie

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    1. Valeria carissima mi ricordo e sento il tuo sostegno fin dall’inizio. So che i tempi sono brutti e altri ne vengono peggiori . Ti ringrazio consola!

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