18 novembre 1910. Il Black Friday delle suffragette

«Sono consapevole che i fatti nudi e crudi, narrati senza tanti giri di parole, potranno generare incredulità». Una sorta di avvertimento risuona nelle parole tratte dall’autobiografia di Emmeline Pankhurst, fondatrice del movimento delle suffragette Women’s Social and Political Union (Wspu), facendo da premessa al suo racconto degli eventi che prendono il nome di Black Friday. Il venerdì nero o «quell’orribile giorno», come lo definisce lei. Più volte ricorrono dei preamboli, come drammatici confini della narrazione, da varcare per addentrarsi nel resoconto di un fatto che, nelle memorie del movimento per il voto alle donne del Regno Unito, è senza precedenti. Come la nota introduttiva alla lettera di Georgiana Margaret Solomon pubblicata sul giornale Votes for Women indirizzata all’allora Segretario di Stato per gli affari interni Winston Churchill, a proposito di quegli avvenimenti: nessuno e nessuna suffragista può leggere le sue dichiarazioni senza esserne profondamente scossa. Una sorta di soglia drammatica, che sembra ricordare quel gradino da dove la stessa Emmeline Pankhurst si è trovata a guardare «una scena che spero di non dover mai più rivedere», e che bisogna ripercorrere nell’affrontare quegli eventi che nella storia delle suffragette rispondono al nome di Black Friday. Oggi questa espressione, nella maggioranza dei casi, rievoca tutt’altro; per le suffragette era un evento inscindibile da un dolore condiviso per «una violenza che forse eccedeva tutto ciò che era accaduto prima», come ricorda Sylvia Pankhurst, attivista, figlia di Emmeline e testimone dei fatti che seguiranno: era il 18 novembre 1910.

Emmeline Pankhurst ed Elizabeth Garrett Anderson il 18 novembre 1910

Da mesi le suffragiste e le militanti della Wspu, denominate suffragette, erano in attesa che il Conciliation Bill diventasse legge. Queste ultime, nella speranza che il progetto seguisse l’iter sotto l’egida del neoeletto governo liberale, avevano posto una tregua alla militanza e intrapreso una campagna propagandistica in favore del progetto. Il Conciliation Bill, sostenuto da un comitato misto di parlamentari, prevedeva la concessione del voto alle donne in possesso di una determinata proprietà. Secondo la Wspu non era una misura sufficiente, ma poteva comunque essere propedeutica al raggiungimento degli obiettivi del movimento.

Nonostante le promesse sul suffragio femminile, il Conciliation Bill non incontrava il favore del Primo ministro liberale Herbert Henry Asquith e non rappresentava una priorità per il suo governo. Un fatto diventato evidente alle suffragette quando, pur avendo il progetto superato la seconda lettura, non trovava lo spazio per diventare legge. Con questa consapevolezza la Wspu si è riunita a Londra il 18 novembre 1910, giorno in cui è stato decretato lo scioglimento del Parlamento per il 28 successivo. In questo modo sarebbe tramontata ogni possibilità di fare un passo, seppur parziale ma comunque atteso, per il suffragio femminile. La delusione è dilagata tra le attiviste della Wspu: alla delegazione guidata da Emmeline Pankhurst, diretta a presentare una petizione al Primo ministro ­– che non le ha ricevute ­– si sono uniti gruppi di militanti. Partite da Caxton Hall e da Celement’s Hill, le attiviste in blocchi da non più di dodici persone – per non contravvenire alla legge – si sono dirette al Parlamento. E lì, su un gradino della Saint Stephen’s Entrance, Emmeline Pankhurst, inascoltata, si è trovata a osservare il doloroso scontro. 

«Mai in tutti i tentativi che abbiamo fatto per portare la nostra delegazione al Primo ministro ho visto tanto coraggio da parte delle donne e tanta violenta brutalità da parte di poliziotti in uniforme e uomini in borghese. Era allo stesso tempo uno spettacolo di strazio e coraggio vedere quelle piccole delegazioni combattere contro una forza schiacciante, e poi vederle separate e disperse, contuse e maltrattate», racconta Sylvia Pankhurst.
Per circa sei ore «le nostre donne furono colpite, fatte inciampare, le loro dita e le loro braccia intrecciate, i loro corpi piegati, e gettate con la forza, se anzi non caddero stordite, a terra. Alcune barcollarono in piedi per essere ulteriormente ferite», scrive Georgiana Margaret Solomon nella sua lettera indirizzata a Winston Churchill, in cui ha denunciato le aggressioni, anche sessuali, subite da lei stessa e da altre attiviste. Eccolo, lo spettacolo agghiacciante che la militante ha sentito chiamare “The New Football”: donne ferite, picchiate e prese a calci. Donne scagliate a terra, come il disegno di legge per cui lottavano; come Ada Wright, ritratta in una emblematica fotografia apparsa sulla stampa il giorno successivo a quel 18 novembre.

Ada Wright, nella copertina del The Daily Mirror, 19 novembre 1910

La brutalità della polizia non si è fermata neanche di fronte alla disabilità della militante Rosa May Billinghurst, la cui sedia a rotelle è stata ribaltata. In quella giornata le suffragette hanno incontrato sia l’ostilità sia la solidarietà degli astanti. Secondo l’analisi di Emmeline Pankhurst il comportamento della polizia era concertato, affinché le suffragette non fossero arrestate, bensì intimidite «in modo talmente rude da terrorizzarle e indurle a fare marcia indietro». Alla fine della protesta sono comunque state fermate 119 persone, di cui 115 donne e quattro uomini. Il giorno successivo sono state rilasciate tutte: il Segretario di Stato per gli affari interni ha deciso che «non ci sarebbe stato alcun vantaggio pubblico nel procedere con l’accusa, e di conseguenza non esisteva motivo a procedere contro le detenute e i detenuti». Una mossa attuata, nell’ottica del movimento, in vista delle future elezioni. In una indagine informale sul Black Friday sono state raccolte 135 testimonianze, di cui 29 riferivano aggressioni di natura sessuale. Sono state trasmesse dal comitato promotore del Conciliation Bill al Ministero dell’interno affinché fosse aperta una inchiesta pubblica sul comportamento della polizia: Winston Churchill si è rifiutato.

Una scena del Black Friday del 18 novembre 1910

La morte di due attiviste, seppure non possa essere collegata con evidenza al Black Friday, ha seguito quel giorno di violenza. Quella di Mary Clarke, sorella di Emmeline Pankhurst, provata dalla violenza dell’evento e da una successiva carcerazione, e quella di Henria Williams poco più di un mese dopo per arresto cardiaco. Una suffragetta in conseguenza degli abusi di quella giornata, riferisce Emmeline, ha sviluppato una malattia che dopo un anno di sofferenze l’ha condotta al decesso.

Dopo il Black Friday i metodi della militanza della Wspu sono cambiati. Di fronte al ricordo di quel dramma, queste sono le parole della fondatrice del movimento: «Non possiamo essere allegre, non possiamo essere felici, non possiamo mantenere lo spirito giusto, che significa successo, se ci soffermiamo sulla parte dura del nostro movimento». È un dolore che poteva offuscare la mente, ma che doveva essere affrontato condividendone la memoria, a cui oggi ci sembra di poter accedere attraversando soglie fatte di parole. Così tuttora ricordiamo quel giorno, il Black Friday, per ciò che ha rappresentato nella storia del movimento delle suffragette.

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Articolo di Nicole Kheiraoui

Ama scrivere, insegnare e si interessa di studi di genere. Conclude il percorso di studi filosofici con una laurea in Storia della filosofia francese contemporanea all’Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Ha lavorato per diversi anni nell’ambito della comunicazione e dei media. Attualmente frequenta il Master Studi e Politiche di Genere presso l’Università degli Studi Roma Tre.

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