Tutti gli chef più famosi al mondo per lo più sono uomini. Sono uomini gli chef che conducono MasterChef, uno dei programmi televisivi di cucina più famosi; è un uomo Massimo Bottura, lo chef dell’Osteria Francescana di Modena, considerata il miglior ristorante al mondo nella classifica “The World’s 50 Best Restaurants”. In questa lista così autorevole, un unico ristorante ha per chef una donna: il ventunesimo, cioè il ristorante Arzak di San Sebastián, in Spagna, gestito da Elena Arzak Espina, che lavora al fianco del padre, lo chef Juan Mari Arzak. Elena Arzak (1969), capo chef congiunto del ristorante tre stelle Michelin Arzak insieme a suo padre, viene nominata miglior chef donna del mondo nel 2012.
La rivista Restaurant, che ogni anno realizza la classifica dei 50 migliori ristoranti, ha anche istituito a parte il premio di miglior chef donna (per il 2016 assegnato a Dominique Crenn del ristorante Atelier Crenn and Petit Crenn di San Francisco), che sembra davvero pensato come una specie di quota rosa.
In Italia, Elena Fabrizi, che tutti conoscono come “Sora Lella”, la sorella del famoso attore Aldo Fabrizi, è la prima chef in televisione. Dal piccolo schermo lei lancia continuamente il suo proclama in difesa di una cucina semplice e genuina, gustosa e di facile preparazione.
Le chef non solo sono meno famose e riconosciute rispetto ai colleghi uomini, ma sono anche in numero inferiore. Nel Regno Unito, nel 2015 solo il 18,5 per cento dei cuochi professionisti è una donna; mentre il numero assoluto degli chef è in aumento (rispetto al 2014 sono 21.000 in più), la percentuale di chef donne è in calo e così anche il loro numero assoluto.

Sembra molto strano e quasi un paradosso che ci siano molti più uomini che donne, dato per scontato che per secoli cucinare è stata un’attività femminile e spesso continua a esserlo all’interno delle case.
Mentre nelle cucine domestiche hanno sempre lavorato le donne, in quelle dei ristoranti ci sono sempre stati soprattutto uomini. Al giorno d’oggi il soffitto di cristallo comincia a scricchiolare. Una cucina può essere paragonata a un’organizzazione militare, soprattutto nei grandi ristoranti. Qui vige un sistema gerarchico, definito alla fine dell’Ottocento dallo chef e scrittore di testi di cucina, il francese Auguste Escoffier, basato sui gradi dell’esercito, tutti declinati al maschile: l’insieme delle persone che lavorano sotto lo chef (che in francese significa “capo”) costituisce la brigata di cucina, una struttura gerarchica organizzata in forma di piramide dal gradino più alto al più basso.
Lo chef non è solo un ottimo cuoco, ma anche il capo della brigata di cucina, il manager, un uomo d’affari che comanda e dà ordini. In quanto “comandanti”, per tradizione gli chef sono uomini. Per le donne è difficile raggiungere il top come lo è stato in tutti i campi: cucinano a casa e sono considerate delle semplici cuoche. In più la donna manager in maternità può seguire il lavoro da casa, la chef può lavorare solo in cucina, tra i fornelli.
Le donne vengono sì arruolate nelle brigate di cucina, ma funziona come nell’esercito. Ben poche arrivano a diventare generali, quelle che ce la fanno rimangono una minoranza e sempre per lo stesso motivo: gli uomini essendo liberi da impegni famigliari si prendono i posti migliori, e poco importa se seguendo questo schema vengono tarpate le ali a chissà quanti talenti femminili, con la conseguenza di privare la società di contributi geniali.

Secondo il censimento Fipe del 2020, all’incirca un’impresa di ristorazione su tre è gestita da donne, in Italia. La loro presenza in cucina o in sala è accertata; la difficoltà risiede nel loro percorso di crescita, poiché spesso si imbattono in ambienti ostili e fondati su ostacoli molto più severi per il sesso femminile che per quello maschile.
Nonostante i numerosi stereotipi della donna esclusivamente casalinga, anche in cucina la strada per la parità è ancora molto lunga; tuttavia, qualche passo avanti è stato fatto, anche grazie a chef donne che hanno resistito di fronte alle difficoltà e che hanno lottato per le proprie creatività e ambizione.
Oggi le cucine dei ristoranti sono più aperte alle donne che in passato, però ci sono ancora dei pregiudizi nei loro confronti. Una parte numerosa degli uomini di questo settore, pensa ancora che le donne non siano abbastanza forti né fisicamente né emotivamente per riuscire a lavorare in ambienti così stressanti come le cucine dei grandi ristoranti. Anche i clienti dei ristoranti hanno a volte pregiudizi di genere.
Molte donne per avere successo come chef devono provare il loro valore più degli altri. Da un lato devono comportarsi da leader, in maniera forte, mascolina, autoritaria, e quindi evitare di piangere anche se nervose, rispondere a tono agli scherzi e alle allusioni sessuali fatte dai colleghi, trasportare padelle stracolme e pentoloni pesanti senza chiedere aiuto, ma nemmeno devono dare ordini come farebbe un uomo, perché potrebbero danneggiare la propria autorità e contravvenire alle regole del savoir faire declinate sul tocco della femminilità. In pratica devono comportarsi come madri o sorelle maggiori per farsi rispettare dai colleghi uomini.
Sono non poche quelle che smettono di lavorare nelle cucine dei grandi ristoranti prima di arrivare a dirigerne una perché gli orari sono massacranti, si lavora anche sette giorni alla settimana, spesso fino a quattordici ore di seguito e sempre all’ora dei pasti: per una donna che vuole avere figli è molto difficile portare avanti la carriera di cuoca.
Secondo la chef Amanda Cohen, che gestisce il ristorante di New York Dirt Candy, è in parte colpa dei media se oggi non ci sono chef donne famose. I giornali e i critici prendono meno in considerazione le chef e questo fa sì che anche chi vuole investire in un ristorante sia meno propenso ad affidarne la guida a una donna perché sa che se ne parlerà meno.
Avendo come punto di riferimento “La Rossa”, ossia la guida Michelin, in Svizzera, su 122 ristoranti stellati, sono pochi quelli che hanno donne al comando. Tra esse ricordiamo: Tanja Grandits del ristorante Stucki di Basilea (2 stelle); “Lisi” Bernadette Lisibach del ristorante Neue Blumenau a Lömmenschwil (1 stella), e Marie Robert, de Le Café Suisse (1 stella). Nel 1987 viene nominata “miglior chef donna in Svizzera” e nel 1991 “Chef dell’anno” Agnes Amberg, diventata famosa con l’omonimo ristorante aperto a Zurigo nell’agosto del 1980.
Irma Dütsch è una delle cuoche svizzere più famose del mondo, riconosciuta come “Grande Dame” del panorama culinario svizzero, prima chef elvetica a ricevere una stella Michelin e la prima donna a essere accettata dall’associazione “Les Grandes Tables de Suisse”.
A tutt’oggi solo il 4% delle Stelle Michelin al mondo sono donne, una cifra irrisoria. Le donne tristellate si contano sulle dita, anche se fortunatamente negli ultimi anni le cose stanno decisamente cambiando in meglio a favore della grande ristorazione femminile.
Di donne che hanno fatto e fanno la storia della gastronomia ce ne sono da un continente all’altro, e la qualità delle loro creazioni dovrebbero convincere sempre più la critica mondiale a puntare sulla “asessualità” della cucina, a pensare solo al piatto e non a chi lo prepara, in pratica a bandire una volta per tutte il sessismo maschilista.
Pochi anni fa, nella presentazione italiana della “Rossa”, l’unica donna a ricevere un premio è stata Karime Lopez, prima e unica cuoca messicana ad avere questa onorificenza. A chi le chiedeva come mai fosse la sola donna a essere insignita del premio, lei ha risposto senza peli sulla lingua: «Le donne in cucina ci sono, sono brave, siete voi a doverle cercare meglio».

Tra le più rinomate chef spagnole c’è Carme Ruscalleda (1952), due stelle nel 1996, tre stelle nel 2005. Nata come cuoca autodidatta, questa donna determinatissima e instancabile è cresciuta esponenzialmente, al punto da guadagnarsi il titolo di chef donna più stellata del mondo prima dell’affermazione internazionale di Anne-Sophie Pic.
La Francia va fiera di Dominique Crenn (1965), nata in Francia ma cresciuta in America, partita da un orfanotrofio, prima e unica donna chef negli Stati Uniti a ottenere tre stelle Michelin, e le merita per il suo ristorante Atelier Crenn a San Francisco.
Regina indiscussa dell’alta ristorazione è Hélène Darroze (1967), che dopo essere stata nominata miglior chef donna al mondo nel 2015, nel 2021 è l’ultima chef transalpina a guadagnarsi con merito sei stelle Michelin per i tre ristoranti, The Connaught a Londra con tre stelle, Marsan a Parigi con due stelle e Villa La Coste in Provenza con una stella. E pensare che aveva iniziato la sua gavetta pulendo l’insalata nei ristoranti…

Annie Féolde, francese di Nizza dove nasce il 15 giugno 1945, proprietaria, assieme al marito Giorgio Pinchiorri di professione sommelier, dell’Enoteca Pinchiorri di Firenze (che tradisce nel nome la sua origine, infatti nasce come enoteca prima di trasformarsi in un ristorante altamente qualificato), nel 1982 ottiene la prima stella Michelin, alla quale non tarda ad aggiungersi nel 1983 la seconda. Poi nel 1994 diventa la prima donna chef in Italia e la quarta al mondo a conquistare tre stelle Michelin, la consacrazione definitiva tra le “dee” nell’olimpo gastronomico. La cuoca nizzarda, vera icona della cucina contemporanea, è anche una delle poche ad aver perso le tre Stelle e ad averle riconquistate. L’anno dopo l’onorificenza, a causa di un grave incendio all’Enoteca Pinchiorri, probabilmente doloso, va perduta gran parte della cantina e con essa la terza stella. Il premio della Guida Rossa torna puntualmente dieci anni dopo. Tra le specialità di Féolde le caramelle farcite di melanzane, i ravioli bicolori ripieni di formaggio di capra e salvia, e soprattutto il tiramisù, che grazie a lei fin dagli anni Settanta diventa il fiore all’occhiello della pasticceria italiana nel mondo.
Claire Vallée, in una Francia in cui predomina la carne, fa carriera con la sua cucina vegana. Il suo ristorante, l’Ona, che sta per “Origine non animale”, aperto nel 2016, viene premiato dalla Guida Michelin Francia 2021. Nessuno credeva che un ristorante vegano potesse ottenere successo, ma Vallée, grazie alla sua perseveranza e alla sua passione, ha dimostrato che con il talento tutto è possibile.

Una cucina di grande qualità è quella della lussemburghese Léa Linster (1955), vincitrice del Bocuse d’Or 1989, la prima e finora unica donna a raggiungere questo prestigiosissimo traguardo, un campionato mondiale di alta cucina che dal 1987 si tiene ogni due anni a Lione in onore di Paul Bocuse, uno dei più grandi cuochi di tutti i tempi. Dopo aver ricevuto una stella Michelin nel 1987, Linster, nominata Maître Cuisinier del Lussemburgo, insignita nel 1996 della Chiave d’Oro Gastronomica dalla Guida Gault Millau (una pubblicazione annuale pari per importanza alla rivale Guida Michelin, così chiamata dal nome dei due critici gastronomici che se ne sono resi promotori) e del Premio Michele Schumacher nel 2002, gestisce i ristoranti Restaurant Léa Linster, Au Quai de la Gare e Kaschthaus.
La svedese Emma Bengtsson (1981), due stelle Michelin al ristorante Aquavit di New York City, è la prima donna chef svedese a vincere due stelle e solo la seconda donna chef con sede negli Stati Uniti a farlo.
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Articolo di Florindo Di Monaco

Docente di Lettere nei licei, poeta, storico, conferenziere, incentra tutta la sua opera sulla Donna, esplorando l’universo femminile nei suoi molteplici aspetti con saggi e raccolte di poesie. Tra i suoi ultimi lavori, il libro La storia è donna e le collane audiovisive di Storia universale dell’arte al femminile e di Storia universale della musica al femminile.