Un fare anonimo e instancabile. Uno tra tanti. Casa Amalia

Sono soprattutto i Comuni di appartenenza delle vittime a sostenere economicamente Casa Amalia, una delle tante case protette che danno effettivo rifugio alle donne vittime di violenza e/o in difficoltà e ai loro figli, quando ci sono. Rifugio effettivo perché, nessuna di loro, a Casa Amalia, è stata rintracciata dal suo persecutore. La politica di chi segue queste sfortunate, non in grado di gestire sé stesse e i loro bimbi, è infatti quella di allontanarle il più possibile dai luoghi della vita convissuta con chi, un giorno, probabilmente anche amato, si è tramutato nel loro incubo.
Casa Amalia è una delle case rifugio a indirizzo segreto che le protegge. Ha alle spalle un’associazione di volontariato e, naturalmente, un’Amministrazione comunale sensibile. Ma le associazioni sono fatte di persone e, senza Giovanna, questa associazione, nata una ventina di anni fa, così come la stessa Casa, aperta da più di dieci anni, non esisterebbero.
Da sempre Giovanna ha avuto la vocazione a soccorrere i bisognosi, fossero ricoverati in ospedale, ragazze madri, extracomunitari alle prese con i permessi di soggiorno, famiglie disagiate; e facendolo ha avuto la capacità di attrarre a sé altre persone che l’aiutassero. Tra quanti hanno tratto giovamento da tali attenzioni ci sono state le suore, tutte molto anziane, di un monastero, la cui stessa Madre superiora si era prodigata per gli altri finché aveva potuto. I rapporti tra Giovanna e la superiora sono stati tanto intimi e intensi, tanto la suora aveva apprezzato il suo instancabile fare, da concederle in comodato d’uso una casa da destinare ai fini che Giovanna aveva in mente.
La casa però era assolutamente inutilizzabile e troppo alto il costo di una ristrutturazione. A Giovanna, fervida credente, non rimaneva che affidarsi alla Provvidenza e pregare. Fatto sta che, Provvidenza o no, Giovanna si è imbattuta, poco dopo, nel bando di una Fondazione bancaria che metteva a disposizione per il Terzo settore, la somma necessaria e quello per la ristrutturazione della casa da adibire a fini umanitari è risultato essere l’unico progetto presentato. 

I primi ospiti di Casa Amalia sono stati un bimbo di otto anni gravemente malato e suo padre. Giovanna, però, aveva da tempo maturato in sé l’idea di destinarla esclusivamente all’accoglienza delle donne vittime di violenza, essendosi accorta, nella sua lunga esperienza, di quante ve ne fossero. La prima ospite è stata una donna ungherese, una violinista che il marito aveva tentato di strangolare davanti alle due bimbe di sette e otto anni. Anche la penultima arrivata è stata vittima di un tentato strangolamento, presente il figlio di soli sei anni che ancora, se ha un diverbio con un altro bambino, tende a imitare il gesto del padre! La Casa può ospitare non più di cinque nuclei (madre e minori). Quando vi arrivano si nota il loro spaesamento. Non semplice per loro è anche la convivenza, che sorge, a volte, anche per incomprensioni linguistiche; così, tra gli oneri della Casa, rientrano anche corsi di lingua per straniere. La loro diversità riguarda ogni ambito: può essere ospite una pittrice raffinata o una donna che mangia con le mani; riguarda anche il cibo, viste le diverse etnie di provenienza, la preparazione del quale è di loro cura: un autista, a giorni alterni, le accompagna a fare la spesa e loro devono, insieme, gestire la somma che hanno a disposizione dall’Associazione per un certo numero di giorni. 

Giovanna funge da Presidente, anche se non si limita alla supervisione, non disdegnando di macinare chilometri di strada, nonostante la sua cagionevole salute, per recarsi a un Consultorio, in Procura, per accompagnare un bimbo dal dentista o altro; l’Assistente sociale cura naturalmente i rapporti con i Servizi sociali; due Educatrici si occupano sia di gestire, per quello che riguarda bambine e bambini minori, i rapporti con la scuola, con pediatre/i, altre varie figure specialistiche, con i centri sportivi…, sia i rapporti con i tribunali per minori ma anche civili e penali. Fondamentale il supporto bisettimanale della psicologa, non solo per le donne e i minori, e delicato quanto difficile è il dialogo con i piccoli e le piccole, gli adolescenti e le adolescenti, ma anche per il personale che deve sapere come comportarsi, quali parole usare e quali no con donne che hanno visto in faccia la morte.

Come per ogni attività ci sono soldi da gestire, bilanci da far quadrare, e a ciò sono adibite due ragioniere. Certamente l’Associazione gode delle sovvenzioni statali e comunali, riceve donazioni liberali e si avvale del 5×1000 ma nonostante ciò, per raccogliere denaro, si prodiga in altre svariate attività.
Caso 1. Natale 2022. Al Megastore di giocattoli a incartare:
«Io lascio trenta centesimi»
«Signora, noi la carta la compriamo. Il suo pacco è lungo due metri. Cos’è uno scivolo? Per la nostra casa d’accoglienza cosa lascerebbe? Mi spiace…. non posso… ci rimetto…»

«Ma allora che offerta è?» «Signora non si tratta di fare offerte…»
«Allora io vado dal direttore!»
L’episodio, per fortuna, è un’eccezione, una delle poche, ma lo si riporta come esempio di quell’indifferenza alla sofferenza altrui che, purtroppo, in alcune persone ancora persiste; la maggior parte, invece – sarà stato anche per l’atmosfera natalizia, ma sarà stato soprattutto per le instancabili parole di Linda, che ha incartato per tutto dicembre pacchi e pacchetti, circa duemila, riciclando orgogliosa gli scarti per i fiocchi – ha lasciato donazioni consistenti. E lei parlava, incartava e parlava, spiegando a centinaia di persone che cos’è Casa Amalia, e tentando di coinvolgerle, con parole semplici: «Sa, adesso il marito vuole il bambino, ma quando lei era incinta, la prendeva a calci sulla pancia!»; oppure: «Dovrebbe vederla, è l’ultima che è arrivata! È disperata! Piange sempre! Quel disgraziato ha drogato il figlio di quindici anni e insieme le hanno violentato la figlia di quattordici anni! Si rende conto?».
E così ha raccolto, insieme naturalmente ad altri volontari, una bella somma.

Ma io l’ho vista, Linda, la sera della Vigilia. Era sfinita, senza voce e molto stanca. «Domani dormirò tutto il giorno» mi ha detto solamente.

Caso 2. Al capannone.
Così lo chiamano, ma in effetti è un deposito, ci sono i mobili vecchi da rivendere, insieme a tutto il resto: oggetti svariati, vestiti, borse, scarpe, cose utili per la casa e per la prima infanzia che vengono generosamente donati all’associazione. Si carica, si scarica, si sposta, si seleziona, si restaura, si aggiusta, si incolla, si crea, si stira, si cuce, si rimedia… tutto per far prendere valore a ogni bene col fine di rivenderlo.
Si approntano pesche di beneficenza per le sagre di paese: si cercano locali, si raccolgono i premi e li si numerano, si trasportano, si sistemano, si vendono i biglietti.
Si partecipa ai mercatini delle fiere con la propria merce e si organizzano anche tornei di burraco.
Insomma ci si avvale di qualunque attività che porti alla Casa quell’euro in più che occorre perché è sufficiente che uno dei minori abbia urgenza di un apparecchio ortodontico che il budget subito ne soffra. Attualmente, ad esempio, ci sono tre donne che devono munirsi di patente auto. A bambini e bambine della Casa, inoltre, non si nega il diritto di praticare uno sport, di partecipare a un viaggio d’istruzione, di possedere un computer, di sostenere una visita medica specialistica. Ed ecco qua che i soldi non bastano mai.

All’inizio del loro percorso le donne sono economicamente sostenute totalmente anche dal punto di vista economico. Una volta tranquillizzate, e compreso di essere ormai al sicuro, nonostante il trauma che le segnerà per sempre, l’Associazione si impegna a trovare loro lavoro. Purtroppo a causa della loro preparazione culturale spesso carente o dei problemi relativi alla lingua, non sempre le offerte sono qualificanti e i salari adeguati. Permettono comunque, dopo circa tre mesi di permanenza nella Casa, di passare al regime definito di semi-autonomia, vanno cioè ad abitare da sole con i propri figli, o insieme tra loro, in appartamenti che l’Associazione ha in affitto e per i quali provvede anche alle bollette energetiche. L’autonomia vera si avrà quando saranno in grado di provvedere a sé stesse e ai propri figli sganciandosi dall’Associazione. Fatto è che tante realtà, come quella di Casa Amalia, si reggono anche grazie all’instancabile, anonimo fare di chi, come Giovanna, ha a cuore la condizione di chi soffre. Grazie soprattutto a lei e a chi l’ha seguita, tantissime donne hanno goduto del soccorso della Casa e il loro numero non è calcolabile, visto che questa, come le simili disseminate sul territorio nazionale, è intesa anche come luogo di transito, nel senso che dopo qualche tempo la destinazione viene cambiata; oppure altre non hanno avuto la necessità, fortunatamente, di terminare l’intero percorso, cosa fatta invece, si stima, da più di 100 nuclei.
E dunque, da una parte ringraziamo, Giovanna in primo luogo e chi è come lei, ma dall’altra, consigliamo chi ha bisogno: le Case proteggono a tutti gli effetti; offrono non solo accoglienza ma anche percorsi di uscita dalla violenza, percorsi formativi, l’aiuto nel reinserimento lavorativo e sociale, rimangono un punto di riferimento permanente. I percorsi per arrivarvi ci sono e sono ben delineati. Il primo passo, il più difficile, è quello di uscire dall’isolamento, fare una telefonata, chiedere aiuto, denunciare. 

Naturalmente i nomi che qui si sono fatti, in primo luogo quello della Casa, non corrispondono, per ovvi motivi, alla realtà: nella società odierna in cui conta tanto l’apparire, il fare mostra di sé, è bello che resti per noi incognito il volto di Giovanna o di Linda, a rappresentare non soltanto sé stesse ma tante altre persone come loro.

In copertina: opera di Barbara Bertolin.

***

Articolo di Norma Stramucci

Laureata in Lettere con Perfezionamento in Scienze e Storia della Letteratura e Dottorato in Filologia, è stata docente di Letteratura e Storia fino al settembre 2019, occupandosi anche di formazione docenti. Ha al suo attivo, oltre a un sito personale, numerosi articoli, recensioni e pubblicazioni, tra cui Lettera da una professoressaSe mi lasci ti uccido, Soli 3 + (quell’altro).

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