Carissime lettrici e carissimi lettori,
lo ammetto: sono di parte. Forse è destino di noi umane e umani essere partigiani/e, che vuole dire schierarsi, dichiarare, far apparire la propria posizione. Con il proprio agire, con il proprio pensare, premessa dell’agire. Dalla politica, alla cultura, dalle scelte sociali alla moda, persino al nostro modo di mangiare, alle scelte alimentari. Siamo quello che mangiamo, ma siamo soprattutto quello che scegliamo.
Le scelte personali sono inevitabilmente di parte e ci rendono comunque faziosi/e, nonostante le esigenze della deontologia professionale che coinvolge e appartiene a ciascuno/a di noi.
Una premessa. La meravigliosa filosofa ungherese Agnes Heller (1929- 2019) che voleva studiare Fisica e Chimica, («Volevo dimostrare che anche le donne potevano essere scienziate, e lo volevo fare con la scelta di una scienza dura») è stata nella sua vita una grande filosofa e saggista, la massima esponente della Scuola di Budapest, la corrente filosofica del marxismo, parte del cosiddetto dissenso dei paesi dell’est europeo, prima del crollo definitivo dei regimi dell’est del continente nostrano. Heller ha avuto una vita difficile e fu costretta anche a vivere fuori della sua Ungheria, ma di ritorno diventò l’assistente del grande György Lukács (1885–1971). Di Agnes Heller adoro questa frase diventata quasi un mantra: «Se qualcuno dovesse chiedermi, come filosofa, che cosa si dovrebbe imparare al liceo, risponderei: prima di tutto, solo cose inutili, greco antico, latino, matematica pura e filosofia. Tutto quello che è inutile nella vita. Il bello è che così, all’età di 18 anni, si ha un bagaglio di sapere inutile con cui si può fare tutto. Mentre col sapere utile si possono fare solo piccole cose» (Agnes Heller, Solo se sono libera).
Facciamo dunque cose inutili, tante. Desideriamo di rendere occupata la nostra mente, quella dei nostri figli e figlie, dei nostri alunni e alunne, di cose inutili perché, lo garantisce Heller, tutto questo ci sarà utile, molto utile. Questo deve essere, mi va di ripeterlo, un mantra che ci sia guida per tutta la vita.
Una notizia di questi giorni mi ha colpito e, proprio perché di parte, mi sono addolorata. Mi sembrava che fossimo stati/e depredate delle cose inutili, come appena dimostrato. Seppure, e lo vedremo, mi sono sentita in compagnia. La notizia riguarda l’iscrizione alle scuole superiori dei e delle ragazzine che stanno frequentando l’ultimo anno delle medie inferiori. Tutto è già nel titolo: Addio al classico. Poi lo stesso quotidiano continua: «La lunga marcia dei licei si è tradotta col tempo anche in una nuova fisionomia di questo tipo di scuole dove ormai il liceo classico, che un tempo era considerata la scuola della classe dirigente, viene scelto dal 5,8 per cento delle famiglie (un anno fa era al 6,2 per cento). Mentre la parte del leone la fa lo scientifico, (ma soprattutto quello senza l’insegnamento del latino! n.d.r.) che ormai assorbe più di un ragazzo su quattro (26,1 per cento). Anche in questo caso le differenze regionali sono molto forti: in Lombardia, infatti, il classico ha avuto un vero e proprio crollo verticale: ormai lo sceglie solo il 3,7 per cento dei quattordicenni; mentre lo scientifico tradizionale perde consensi (11,7 per cento) a favore di quello con l’informatica al posto del latino (9,9 per cento). Mentre in Lazio il classico va ancora alla grande (9,2 per cento) così come lo scientifico tradizionale (22 per cento contro l’8,2 dell’opzione senza il latino). Da segnalare l’avanzata costante, da un lato del liceo linguistico che raccoglie sempre più consensi fra le ragazze (passando dal 7,4 al 7,7 per cento), dall’altro del liceo delle Scienze umane, l’ex magistero, che grazie all’opzione economico-sociale attrae sempre più ragazzi, che pensano poi di proseguire gli studi in ambito economico o giuridico (11,2 per cento contro il 10,3 dell’anno scorso)».
Vi ho detto sopra che non mi sono sentita sola in questo mio dispiacere. Nel primo giorno di questo mese dedicato costantemente all’antica festa del Carnevale, che sovverte i ruoli e mette tempo ai riti ancestrali, ho letto e ricevuto un conforto nell’appuntamento quotidiano di un giornalista (Massimo Gramellini) con il suo pubblico: «Poche notizie mi rendono pessimista sul futuro – scrive Massimo Gramellini nel suo angolo quotidiano – come la caduta inarrestabile delle iscrizioni al liceo classico: il prossimo anno lo frequenterà appena il 5,8% degli alunni di terza media che proseguiranno gli studi. Il classico non è nello spirito del tempo, secondo cui la scuola serve solo a trovare lavoro. E poiché si pensa che il mondo di domani avrà più bisogno di tecnici che di umanisti, studiare l’Iliade sembra a molti una perdita di tempo. Avrei parecchio da obiettare su questo punto (fior di economisti e ingegneri provengono dal classico), ma prendiamolo per buono. Però non fin dall’adolescenza, dai. A quattordici anni – prosegue Gramellini – nessuno sa ancora chi è: invece di restringergli il campo, bisogna allargarglielo a dismisura. Tutte le passioni della mia vita le ho assaggiate a quell’età, comprese la musica e lo sport, di cui leggevo le cronache sotto il banco durante le lezioni più noiose. Ma erano le cronache di Gianni Brera, uno che sapeva coniugare il racconto della partita con l’epica di Omero. È vero, il classico non ti spiega come funziona il mondo, ma in compenso ti abitua a chiederti perché. A capire le cause delle cose, a snasare il conformismo degli anticonformisti, ad addestrare i sensi e la mente per riuscire a cogliere la bellezza in un tramonto o anche solo in una vetrina. Il classico è come la cyclette: mentre ci stai sopra, fai fatica e ti sembra che non porti da nessuna parte. Ma quando scendi, scopri che ti ha fornito i muscoli per andare dappertutto».
Ecco il punto. Non è questione elitaria, o meglio lo è. Ma di chi vuole guardare meglio e lontano, al di là della siepe dove ci conducono i versi di un grande e incontestabile poeta come Giacomo Leopardi. Però, ovviamente io sono di parte!
Un filo rosso lega un altrettanto recente episodio di cronaca nera e un libro sulle donne, La resistenza delle donne (Le partigiane, appunto) scritto da Benedetta Tobagi e commentato, insieme all’autrice, durante una trasmissione televisiva, da un’altra grande scrittrice, Dacia Maraini.
L’episodio che ha segnato la cronaca nera di questi giorni è il non chiarito delitto di Alatri, una cittadina del frusinate non lontana da Roma. A morire, sembra a causa di uno sbaglio (!), è stato un ragazzo diciottenne, Thomas Bricca, ridotto in fin di vita, e poi deceduto all’ospedale San Camillo di Roma, mentre era seduto, vicino a un bar su una scalinata sovrastante un parcheggio da cui sono partiti gli spari. Per l’età della vittima e, sembra, la sua innocenza, l’episodio rimanda a quello ancora più ingiusto e crudele verso Willy Monteiro, morto ammazzato di botte da due fratelli, a Grottaferrata nel settembre del 2020, per essere accorso in favore di un amico.
Il filo rosso è l’educazione e la rieducazione e i luoghi deputati che devono favorirla, prima fra tutti la Scuola, intesa non come luogo del nozionismo, ma posto di crescita interiore, di cultura. Per questo mi sembra esatto l’intervento che ha fatto durante un noto talk mattutino, l’onorevole Nicola Fratoianni: «Temo che nonostante le ottime intenzioni del sindaco, la paura e la preoccupazione per la sua comunità, per la violenza che vedeva crescere, che quella richiesta di aiuto fosse una richiesta di per sé incapace di affrontare questa dimensione, la crescita della violenza come linguaggio, che è il frutto di qualcosa di molto più profondo. Affrontarlo con la chiave della sicurezza è del tutto inappropriato. Ma non per ragioni biologiche, ma perché non funziona, perché è impensabile affrontare questa dimensione con la lente di ingrandimento della criminalità, della repressione, del crimine, che pure va represso ogni volta che si presenta in qualsiasi forma senza ambiguità. Siamo di fronte a qualcos’altro: c’è una generazione intera che in questo paese cresce ogni giorno dentro una dimensione di pauroso spaesamento con una gigantesca perdita di punti di riferimento, dove la comunità scompare e si trasforma nella banda, nel piccolo gruppo, come luogo di protezione rispetto all’assenza di futuro. C’è una dimensione di carattere sociale culturale. Occorre puntare sulla scuola. Dobbiamo puntare sulla scuola, molto sulla scuola. Non lo può fare un sindaco da un giorno all’altro, non lo risolve neanche un governo in un mese. Quindi diamo la giusta dimensione al problema. Noi dovremmo gridare: scuola, scuola, scuola,ovunque scuola, cultura, luoghi di aggregazione, politiche sociali, associazioni, musica. Questo è il punto. Perché che sia la periferia del paese, il piccolo centro, la periferia della metropoli, nulla cambia se non c’è nulla, Se non c’è nulla quello diventa l’unico rifugio di una generazione che rischia di essere dentro una condizione generale di spaesamento e la violenza diventa l’unica forma di espressione».
Di rete e di sorellanza, e dunque di educazione a stare insieme, di necessità di una scuola comunicativa di cultura e non di nozioni, parla Dacia Maraini a commento del libro di Benedetta Tobagi sulle partigiane: «Importante – dice Maraini – è secondo me saper ricordare. Perché questa è un’epoca in cui veramente si tende a dimenticare, si tende a scoraggiare la memoria, soprattutto la memoria che riguarda le donne, veramente e completamente cancellata. Si getta nell’oblio tutto quello che potrebbe essere un esempio un modello. Ci sono molte di queste donne che hanno fatto la Resistenza che sono un modello perché sono coraggiose, facevano solidarietà, costruivano rete, con le altre donne. Per questo è importantissimo ricordare».
Riguardo alle donne e al lavoro femminile la Confartigianato ha pubblicato recentemente dei dati scoraggianti. Ha dato l’allarme su una situazione arretrata che ci vede ultimi tra i Paesi dell’Unione Europea. Interviene ancora Dacia Maraini «Secondo me bisognerebbe puntare di più sulla meritocrazia, quella vera che indica ed evidenzia il valore della persona. Il fatto che da noi i migliori e le migliori se ne vadano all’estero dopo avere studiato e quindi avere investito sulla loro preparazione è un segno di una mancanza di rispetto verso la qualità e il talento e la capacità dei nostri figli, figlie, fratelli, sorelle. Bisogna puntare di più sulla scuola, sull’istruzione. Non si può pensare di andare avanti soltanto perché si appartiene a una categoria, a un partito, a una famiglia. Bisogna riconoscere la qualità delle persone, puntare su di loro, pagarle di più, investire di più. Bisogna investire di più sulla scuola prima di tutto e poi sulla ricerca. Sono due cose che, secondo me, in questo momento sono molto trascurate nel nostro paese».
Abbiamo parlato dell’utilità di interessarsi di cose inutili. La poesia secondo il regista e poeta iraniano Abbas Kiarostami «è per noi mediterranei già nella sua radice, il greco poièin: un modo per fare qualcosa quando tutto sembra mancare, utilizzando al meglio ciò che si ha, con l’aiuto dell’immaginazione». Le tre composizioni che leggiamo oggi sono un elogio esplicito all’inutilità che ci donano tutto l’utile possibile per vivere perché ci riempiono la mente e, per dirla in maniera romantica, il cuore.
Abbas Kiarostami, da Il vento e la foglia.
1.
Quando non ho nulla in tasca
ho la poesia
quando non ho nulla in frigo
ho la poesia
quando non ho nulla nel cuore
non ho nulla.
2.
Nella mia vita
né tanto lunga
né tanto breve
ha nevicato per quasi dieci anni.
3.
Qualcuno al di là del muro
qualcuno al di qua
non lo sa
né l’uno
né l’altro
solo il poeta lo sa.
Buona lettura a tutte e a tutti.
Nella nostra presentazione degli articoli di questo numero cominciamo dalle donne di Calendaria 2023, due scrittrici che hanno vinto il premio Nobel per la letteratura: Grazia Deledda, per cui la scrittura fu una vera passione che perseguì con determinazione e tenacia e Sigrid Undset, autrice norvegese dalla scrittura «potente e vichinga».
Proseguiamo nella lettura con Un fare anonimo e instancabile. Uno tra tanti. Casa Amalia,la storia di una delle tante opere di civiltà e di solidarietà al femminile tanto frequenti ma poco visibili nella nostra società.
Continuano le nostre serie: una nuova puntata della rubrica Credito alle donne ci introduce a un aspetto particolare degli studi economici: La lenta e difficile conquista del credito da parte delle economiste, come sempre osteggiate e attratte da tematiche diverse da quelle scelte dagli uomini. Chissà che cosa sarebbe stato il nostro mondo se i temi scelti dalle donne fossero stati considerati prioritari! Le campionesse delle Paralimpiadi estive. Da Londra 2012 a Tokyo 2020 ci fa conoscere le imprese di nuove atlete nelle varie specialità, La virtuosa e il mostro. La figlia si addentra sulla diversa educazione che è spettata alla figlia nelle nostre famiglie. Le cavaliere nell’epica cavalleresca rinascimentale. Clorinda è la seconda parte della trilogia iniziata con Bradamante, guerriera celebrata da Matteo Maria Boiardo e Ludovico Ariosto nei loro poemi cavallereschi incentrati sulla figura del paladino Orlando. Le regine della pasticceria. Parte seconda ci porta dolcemente nel mondo delle maestre gelatiere. Dai territori lombardi ci addentriamo nel racconto dello spettacolo teatrale Ritorno alla vita, per celebrare la Giornata della memoria, mentre Il gennaio di Toponomastica femminile ci descrive le iniziative di Toponomastica femminile nelle diverse Regioni italiane.
Nella sezione Juvenilia Percorsi di parità nel territorio e sui libri di testo ci presenta i progetti di scuole del senese e del rietino che hanno partecipato al Concorso Sulle vie della parità di Toponomastica femminile. Il 6 febbraio cade l’anniversario che vogliamo ricordare in questo numero, quello che ricorda la nascita della donna cui dobbiamo una grande scoperta, quella del primo cranio di ominide. Ce lo racconta l’autrice di Le sorprendenti scoperte di Mary Leakey, archeologa.
Veniamo ai nostri consigli di lettura: Riscoprire le saghe familiari è la recensione doppia di questa settimana, che ci porta a conoscere la bellezza per un genere che nel nostro tempo ha riacquistato la meritata importanza.
Come sempre ci lasciamo con la nostra ricetta vegana, semplice ed economica, Salsa con piselli fondenti e liquerizia, augurando a tutte e tutti buon appetito.
***
Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.