È la prima volta che l’artista egiziana Ghada Amer espone le proprie opere in Europa. E ad accoglierla non poteva essere che la città francomediterranea di Marsiglia.

Nata nel 1963 al Cairo, Ghada Amer ha studiato arti plastiche alla scuola Villa Arson di Nizza, dove si è vista negare l’accesso al corso di pittura in quanto donna, con la scusa delle scarsissime possibilità che avrebbe successivamente avuto per fare carriera nell’ambito artistico. Trasferitasi prima a Parigi e poi a New York, sarebbe rimasta per sempre segnata dalla discriminazione subita. L’assenza delle figure femminili (usate al massimo come modelle) nell’arte, non solo mediorientale ma anche occidentale, porta l’artista alla consapevolezza di dover sfatare alcuni tabù.

La sua mostra è divisa in tre sezioni e dislocata in altrettanti edifici.
La prima parte si trova nella cappella centrale del museo della Vieille Charité.
Qui sono esposte sculture astratte ispirate a diverse parti del mondo e realizzate principalmente in ceramica verniciata, tra cui vale la pena ricordare la serie intitolata Pensamiento mexicano. In queste sculture, l’artista ha dato spazio al libero flusso dei propri pensieri, fino a dipingere con la mano sinistra per avere meno controllo sul risultato finale.




Nella stessa sala si trovano i numerosi ritratti femminili della serie Suzy Playing. Sono volti stilizzati, ridotti all’essenziale, appiattiti su due dimensioni, realizzati su lastre di bronzo piegate e dipinte in resina a partire da bozzetti effettuati su cartone. Le donne ritratte sono attrici pornografiche, eterosessuali e non, ma le opere piatte e schiacciate vogliono proprio togliere loro il potenziale erotico. Come resistenza ai cliché pubblicitari, la bidimensionalità dei disegni contrasta con la tridimensionalità delle basi metalliche. Una guerra ai tabù combattuta attraverso il simbolismo delle forme.


L’esposizione prosegue nel Fort Saint-Jean, un antico forte militare situato tra il porto vecchio e il quartiere Le Panier, cui si accede attraversando il Museo della civilizzazione europea e mediterranea (Mucem).

L’opera esposta è più un’installazione che una vera e propria scultura. Nella terrazza del museo è allestito un piccolo giardino. Le piante che lo abitano sono esemplari di elicrisio corso, un vegetale molto robusto, tradizionalmente considerato immortale, che qui rappresenta la resistenza e la resilienza delle donne, in particolare di quelle che hanno preso parte ai movimenti noti come «Primavere arabe». Il carbone, simbolo delle fiamme e del furore, quindi della perseveranza di quelle donne, decora il giardino formando una scritta quantomeno particolare: la frase coranica «La voce della donna è fonte di vergogna» (صوت المرأة مصدر خزي) viene trasformata in «La voce della donna è Rivoluzione» (صوت المرأة ثورة).


L’ultima sede della mostra è il Fondo regionale per l’arte contemporanea (Frac), dove sono esposte opere realizzate in collaborazione con la scultrice iraniana Reza Farkhendeh. Qui l’erotismo e le rivendicazioni femministe costituiscono il tema centrale, ma la tendenza all’astrazione rimane lo stile ricorrente delle artiste.

I colpi di pennello sembrano uscire dalla tela per andare verso la tridimensionalità. I fili di cotone sono intrecciati alla tela, citando le celebri Ninfee di Claude Monet e creando una via di mezzo tra il dipinto e il ricamo.

Le autrici mettono in scena il gioco di parole tra i termini inglesi naughty («vogliosa», dispregiativo che la società patriarcale attribuisce alle donne non caste e pudiche) e knotty («nodoso», proprio come quei fili sulla tela), la cui pronuncia è molto simile.




I richiami erotici, evidenti nei dipinti di parziale nudo femminile, vogliono rompere gli stereotipi e liberare e riabilitare le donne vittime di mercificazione e oggettificazione. Ne è un esempio l’opera intitolata Witches and Bitches («Streghe e puttane»): due belle donne in atteggiamento intimo contrastano con una strega, la classica rappresentazione della strega dei cartoni animati (più che alle streghe medievali, assomiglia a quella di Biancaneve).

L’ultimo dipinto, una ripetizione seriale della stessa frase su sfondo colorato, cita la scrittrice statunitense Tish Tawer con il celebre slogan We are the Granddaughters of the Witches You could not Burn («Siamo le nipoti delle streghe che non siete riusciti a bruciare»).

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Articolo di Andrea Zennaro

Andrea Zennaro, laureato in Filosofia politica e appassionato di Storia, è attualmente fotografo e artista di strada. Scrive per passione e pubblica con frequenza su testate giornalistiche online legate al mondo femminista e anticapitalista.